L’ANNO CHE VERRA, Antonio Piva: basta buoni propositi, ora meno burocrazia e piu credito

pivapivaCredo che sarebbe bene evitare di lastricare – come è avvenuto per gli anni passati –il 2014 di buone intenzioni. L’agricoltura italiana non ha bisogno di propositi più o meno seri. Ha bisogno di atti conseguenti, di azioni positive che mettano gli imprenditori del comparto in grado di poter agire almeno in condizioni di parità rispetto alle aziende di altri settori produttivi.

Alcune di queste azioni non richiedono oneri da parte dello stato, né investimenti, né riforme più o meno grandi.

Da anni è ormai all’ordine del giorno la necessità di liberare l’agricoltura italiana dalle pastoie della burocrazia. Oggi questa esigenza non è più rinviabile. Le aziende italiane hanno dimostrato con i risultati dell’export, vitalità e capacità di produrre, di innovare, di fare occupazione.

Bisogna che il pubblico dia una mano: non è possibile che un terzo del tempo di lavoro di un’impresa agricola sia divorato, improduttivamente, dagli adempimenti burocratici.

Sia chiaro che non chiediamo franchigie, né vogliamo eludere controlli e normative che garantiscono la sicurezza degli addetti e la salute dei consumatori. Chiediamo soltanto una burocrazia meno vessatoria che sappia tener conto delle caratteristiche dell’azienda agricola e delle esigenze degli imprenditori, il cui mestiere primario non è quello di compilare moduli, ma di produrre cibo sano, buono e a un prezzo sostenibile.

Il bene del comparto agricolo richiede, per l’anno che andiamo a inaugurare, un rinnovato impegno per il riequilibrio della filiera agroalimentare, allo stato dei fatti – e ormai da troppo tempo – gravemente sbilanciata a favore dell’industria di trasformazione e della grande distribuzione.

All’interno delle filiere dovrà trovare posto una reale valorizzazione delle materie prime: gli attuali meccanismi penalizzano gravemente la produzione di base. Le nostre filiere producono poco valore e quel poco viene iniquamente distribuito: questo squilibrio non giova all’agricoltura, ma alla lunga non giova a nessuno, perché una filiera iniqua è anche inefficiente. Alla lunga scaricare tutti gli oneri sul primario finisce col ritorcersi contro quanti finora ne hanno tratto vantaggi.

Gli agricoltori chiedono che venga riconosciuto l’impegno e l’inventiva coi quali, nella palude della recessione, hanno saputo sostenere l’economia dando respiro all’indotto, sostanza all’export. Per questo hanno investito e si sono indebitati. Oggi l’imprenditoria non può continuare a fare tutto da sola: ha bisogno che le banche aprano i cordoni della borsa: senza credito non c’è né innovazione né sviluppo: le banche non possono restare sorde alle nostre esigenze. D’altronde il rischio non è particolarmente gravoso. La maggior parte delle imprese non sono società di capitali e gli imprenditori garantiscono (e rispondono) con l’intero loro patrimonio.

Nel 2014 dovremmo fare, a tappe forzate, quello che altri nostri partner Europei (Spagna e Germania in primo luogo) hanno fatto meditatamente nel corso del 2013. Parlo della Pac, e in particolare di quella parte della politica agricola comune che la riforma ha affidato alla iniziativa dei singoli stati.

Sarebbe, più che un errore, un delitto riproporre una sorta di assalto alla diligenza nella quale lobbies, gruppi di potere, associazioni tirano l’acqua ciascuna al proprio mulino, ritagliandosi piccoli o grandi privilegi. Non abbiamo bisogno di una Pac a toppe come il vestito di Arlecchino, ma di un progetto che si basi su una visione nazionale dell’agricoltura, delle sue potenzialità e dei suoi punti di debolezza. Di una politica, insomma, certo articolata e flessibile che tenga conto di esigenze particolari, ma all’interno di un disegno complessivo. Sarà bene che il mondo agricolo si presenti ai tavoli con una voce il più possibile unitaria, e che lo stesso facciano le regioni: le istituzioni debbono fare la loro parte tenendo salda la barra del timone. La nuova Pac non deve essere lo strumento col quale si soddisfano le mille clientele, ma l’occasione – virtuosa – per il rilancio di un comparto che ha molte potenzialità, ma ha bisogno di camminare su gambe più robuste.

E di una maggiore attenzione da parte della politica. E di qualche certezza. Non credo alla stabilità come valore in sé, ma certo mi auguro che l’agricoltura non abbia ad assistere all’incredibile via vai di ministri che negli ultimi anni hanno salito e sceso le scale del Mipaaf a via XX Settembre

 

Antonio Piva

Presidente di CremonaFiere