CORONAVIRUS, REGIONI PIU COLPITE SONO QUELLE CHE ESPORTANO PIU MADE IN ITALY IN CINA. MA MERCATO ANCORA MARGINALE. ECCO I DATI NOMISMA

Per il Made in Italy si chiude un’altra finestra di mercato dopo l’embargo russo, i dazi Usa e l’incognita Brexit. E i conti con il Coronavirus rischiano di essere ‘salati’ ma non troppo.

Quello cinese rappresenta infatti un mercato strategico dal punto di vista del potenziale ma non nei fatti. Sebbene l’export made in Italy abbia avuto dei tassi di crescita molto alti negli ultimi anni, la Cina è comunque ancora in una fase in cui necessita le commodities per il fabbisogno primario piu dei prodotti ad alto valore aggiunto.

L’Export di settore ha aumentato il dieci anni il suo flusso nel Paese asiatico del 15 per cento. Il mercato globale dei beni personali di lusso – riporta uno studio di Bain&Company per MEI.com – vale 249 mld di euro nel 2016, di cui la Cina rappresenta il 7%, ma i cinesi rappresentano invece ben il 30% del totale. Motivo per cui il mercato cinese era visto – almeno fino a un mese fa – come uno dei principali fattori di crescita del prossimo decennio, per tutte le aziende che sapranno approcciarlo con visione strategica.

Ma, da quanto emerge dai dati che AGRICOLAE ha chiesto a Nomisma, la Cina pesa sull’export agroalimentare italiano per l’1,2% del totale (a valori) mentre per il  2,2% sull’export del solo vino. Si tratta quindi di percentuali ancora marginali. La Cina infatti – che ha investito in terreni in Africa, cosa che ha dato non poco fastidio agli Stati Uniti, importa soprattutto commodity agricole di base come soia, carne, latte, ecc. E infatti i primi due paesi fornitori della Cina sono Brasile e Usa (che congiuntamente pesano per il 37% sull’import AA cinese e che rappresentano i top produttori/esportatori mondiali di queste derrate.

Per quanto riguarda l’import agroalimentare della Cina, l’Italia si trova al 29esimo posto.

In cima alla lista il Brasile, con il 26 per cento del totale e dagli Stati Uniti con l’11,3 per cento. A seguire il Canada, con il 6,2 per cento; l’Australia, con il 5,5 per cento; la Nuova Zelanda, con il 5,4 per cento; la Thailandia con il 4,5 per cento, l’Indonesia con il 4,1 per cento; la Francia con il 3 per cento; la Russia e il Vietnam a pari titolo con il 2,6 per cento; il Cile con il 2,5%; i Paesi Bassi con il 2,2 per cento; la Malesia con l’1,9 per cento; la Germania con l’1,7 per cento. Fanalino di coda, assieme alla Gran Bretagna e il Messico, l’Italia con lo 0,5 per cento.

Stessa situazione, più o meno, per quanto riguarda il vino dove l’Italia è al quarto posto con il 6,4 per cento dopo Australia, con il 35,4 per cento, la Francia, con il 28,7 per cento, il Cile, con il 14,1 per cento. A seguire la Spagna, (5,9%); gli Stati Uniti (1,6%); l’Argentina (1,1%); il Portogallo (1%); il Sudafrica, Germania e Nuova Zelanda a pari merito con lo 0,9%.

Diversificata la mappa delle regioni italiane che esportano in Cina.

Secondo quanto emerge dall’export agroalimentare in Cina delle singole regioni con il peso sul totale Italia e sull’export agroalimentare regionale, in cima alla lista c’è l’Emilia Romagna, con il 17,5 per cento dell’export totale italiano in Cina; la Lombardia con il 13,9%; il Veneto, con il 10,5 per cento; il Piemonte (con il 13,6%). Poi la Toscana con il 9% e la Liguria con il 5,8 per cento.

Ma – escludendo il caso della Liguria dove le cifre sono sovrastimate a causa dei porti da cui partono molti container per la Cina anche di merci non liguri – tutte le regioni presentano un’incidenza della Cina sul proprio export agroalimentare inferiore al 2%.

Può essere una casualità ma le regioni che esportano di più in Cina sono quelle più colpite per ora dal Coronavirus: Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte e Veneto.

CORONAVIRUS ASSESSORE AGRICOLTURA, IN VENETO STANDARD ELEVATI DI TUTELA SANITARIA E BIOSICUREZZA, INFONDATI ALLARMISMI SU FILIERA ALIMENTARE

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“Il mondo agricolo ha affrontato negli ultimi anni delle gravi emergenze sanitarie come l’influenza aviaria, la blu tongue o la peste suina quindi il settore si è già dotato da tempo di protocolli sanitari stringenti con controlli periodici e approfonditi. Questo è garanzia del fatto che i nostri allevamenti hanno i più elevati standard di tutela sanitaria e biosicurezza. Rassicuriamo i cittadini sul fatto che il virus non si trasmette attraverso gli alimenti, i  nostri prodotti sono certificati e sani”. 

E’ quanto dichiara l’assessore all’agricoltura dopo l’incontro con le categorie economiche del Veneto e dopo il vertice in videoconferenza con il ministro per le Politiche agricole e i colleghi delle altre Regioni.

Nel confronto con le Regioni e il Governo l’assessore del Veneto ha sollecitato che l’esecutivo nazionale affronti nel prossimo decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri alcuni temi cruciali per il settore: 

 i danni diretti subiti dalle 250 aziende agricole nella zona rossa, soprattutto allevamenti, a cui mancano gli approvvigionamenti. 
il riconoscimento della cassa integrazione anche per i lavoratori stagionali 
misure a sostegno degli agriturismi che stanno scontando l’azzeramento delle prenotazioni
proroghe dei mutui e stop al pagamento delle tasse 
vigilanza sulle speculazioni dei prezzi a cui già alcuni dei prodotti agroalimentari sono andati soggetti 
Attenzione alle problematiche della logistica e dei trasporti della filiera agroindustriale

“Chiedo infine che anche a livello nazionale si intraprenda una campagna informativa ed incisiva per diffondere la consapevolezza che i nostri prodotti non sono veicolo del virus e che il rischio contagio non viaggia con i trasporti.

L’assessore ha infine annunciato che a breve convocherà il Tavolo Verde con le categorie per fare il punto della situazione e discutere richieste e proposte da presentare al governo per affrontare le numerose problematiche create dall’emergenza  e dai blocchi sanitari, comprese logistica e trasporti.