Ettore Iani, una domanda al ministro: se fare agricoltura e’ figo, fare impresa nella pesca e’ da sfigati?

OK PESCABenchè fortemente sollecitata al momento del suo insediamento, il ministro De Girolamo non ha inteso delegare ad un sottosegretario i compiti di governo della filiera ittica. Speravamo che questo atto significasse una assunzione di responsabilità diretta per affrontare i numerosi problemi aperti, ma a distanza di mesi siamo costretti a prendere atto di un bilancio negativo. Verrebbe da chiosare se, come ha dichiarato la De Girolamo, “fare agricoltura è figo”, evidentemente fare impresa nella pesca è da sfigati.

L’assenza di una direzione politica forte ha non solo reso molto faticoso il confronto sulle partite cruciali della riforma della Politica comune della pesca e del nuovo strumento finanziario del FEAMP (Fondo Europeo Affari Marittimi e Pesca), ma ha pesato gravemente sul piano nazionale, causando una situazione di stallo che certo non giova a mitigare gli effetti della crisi straordinaria in cui si dibatte il settore. Ne è segno l’incertezza ed il ritardo nell’avvio del nuovo Programma triennale, e lo scarso impegno nel mettere mano alla urgente ristrutturazione amministrativa della Direzione Pesca, oggi inadeguata allo svolgimento dei nuovi e gravosi compiti cui è chiamata dalla attuazione della riforma europea.

Eppure è indispensabile un’Amministrazione efficiente a fianco delle imprese. Sia per limitare il peso del carico burocratico-amministrativo delle vecchie e nuove normative comunitarie (Regolamento Mediterraneo, Regolamento sulla pesca illegale IUU, Regolamento Controlli, Normativa igienico-sanitaria del “Pacchetto Igiene”, riforma PCP e FEAMP, nuova Politica Marittima Integrata dell’Unione Europea). Sia per rafforzare l’interlocuzione con Bruxelles sulle partite aperte (Piano nazionale piccoli Pelagici, Piano nazionale draghe, Revisione Regolamento Mediterraneo) che, non ultimo, per garantire, in un quadro di risorse nazionali in forte contrazione, il pieno e coerente utilizzo delle risorse finanziarie messe a disposizione da Bruxelles.

Solo qualche dato sullo stato di attuazione del FEP per capire di cosa stiamo parlando: al 31 dicembre 2012, nelle Regioni Convergenza, su oltre 636 milioni di euro stanziati ne sono stati impegnati poco più di 416 (65%) e spesi circa 245 (38,5%): nelle Regioni Fuori Convergenza su 212 meuro ripartiti, ne sono stati impegnati 131 ( 62%) e spesi 89 (42%). Una capacità di spesa attorno al 40% non può essere considerata un successo. Bisogna chiedersi se le responsabilità sono tecniche o burocratiche, oppure se manca il segno di una direzione politica strategica. Fatto sta che rimane da compiere un grande sforzo di concerto tra tutte le Amministrazioni e con il piano coinvolgimento delle rappresentanze economiche, sindacali, e della ricerca, per recuperare i ritardi nei restanti tre anni ed impostare su basi più proficue la prossima programmazione 2014-2020.

Deludente purtroppo anche il bilancio della Legge di stabilità. Non si va al di là degli interventi emergenziali (proroga al 2020 della scadenza delle concessioni demaniali per uso pesca e acquacoltura, riserva entro un limite di 30 meuro per la CIG in deroga), da cui però rimane esclusa la gravissima emergenza legata alla restituzione degli sgravi per Venezia e Chioggia, in cui le imprese rischiano di pagare con la bancarotta la lacuna dello Stato, che, nel tempo, ha mancato di avviare le dovute procedure amministrative di riscossione. Mancano misure di respiro come il rifinanziamento del Programma triennale, che viene addirittura decurtato di ulteriori 1, 2 milioni di euro nel triennio, e delle Convenzioni, o l’istituzione di un fondo per i servizi ambientali presso il ministero dell’Ambiente, che avrebbe agevolato lo sviluppo della multifunzionalità di impresa.

Sconfortante anche il fatto che siano rimaste lettera morta, ma solo per mancanza di provvedimenti attuativi, tutta una serie di misure di semplificazione pure già approvate e ottenute con grande fatica nella passata legislatura: niente di fatto per portare al decollo gli adempimenti in materia di lavoro per le cooperative di pesca, per definire l’esclusione dell’accisa per la benzina utilizzata dai pescherecci, per rendere operativo il registro elettronico dei pescatori marittimi e delle imprese di pesca, per giungere ad una regolamentazione pesca sportiva, etc. Ritardi cui gioco forza si accumulano tutte le questioni ancora aperte, come quella della pesatura dei prodotti, prevista dal Regolamento UE sui Controlli, o della definizione della variazioni sostanziali in licenza, solo per fermarci all’esempio di casi in cui l’incertezza incide pesantemente sulla vita quotidiana delle imprese.

In questo scenario, costituirà un banco di prova la possibilità di inserire interventi correttivi ed integrativi attraverso lo strumento della legge delega, che è in scadenza a febbraio, e auspichiamo che questa occasione non sarà mancata per far fronte ai radicali cambiamenti attesi con il nuovo assetto normativo della PCP e per introdurre misure di semplificazione e sburocratizzazione a favore delle imprese.

Vista dal nostro punto di vista, questa situazione a dir poco critica sconta soprattutto il fatto che non si è stabilito, pur nella diversità di ruoli e funzioni di ciascuno, quel necessario rapporto fiduciario di collaborazione e di confronto tra le Associazioni, portatori di interessi legittimi, e le Istituzioni, rappresentate al massimo grado dal Ministro.

Ci auguriamo che lo sforzo di interlocuzione che il movimento cooperativo ha portato avanti e rilanciato attraverso il nuovo strumento del coordinamento Pesca dell’Alleanza delle Cooperative Italiane possa trovare nel prossimo futuro riscontri più puntuali e concreti. L’auspicio è che non sia una ingenua speranza quella di rilanciare di buona lena il confronto per dare risposte ad una crisi di settore (in 10 anni – 40% le catture, – 38% l’occupazione, – 31% la redditività di impresa,+240% i costi di produzione, +53 % il deficit della bilancia commerciale) che è insieme economica e occupazionale, per i problemi di redditività di impresa; ambientale, per gli effetti di un sovrafruttamento cui rispondere attraverso la sfida di una gestione condivisa e partecipata, e di immagine, da ricostruire sostituendo al pregiudizio dell’arraffamento indiscriminato la valorizzazione della pesca come risorsa multifunzionale del Paese.

Non ci stancheremo di rivendicare che il sistema pesca e acquacoltura è parte integrante dell’economia nazionale e come tale necessita di adeguate politiche di governo e di programmazione economica. Politiche volte a garantire non solo la sostenibilità ambientale delle attività, in un quadro di regole certe e condivise, ma anche la competitività del sistema imprenditoriale e la stabilità dei livelli occupazionali, attraverso la valorizzazione delle produzioni e la piena tutela dei consumatori.

Siamo ben consapevoli che la straordinarietà della crisi che la filiera ittica attraversa parte da lontano e non è certo imputabile alla responsabilità diretta del Ministro, ma siamo di fronte ad una situazione che oggi richiede non interventi ordinari ma una attenzione doverosamente straordinaria, per evitare il rischio di limitarsi a curare il cancro con una banale tachipirina.

La categoria ha bisogno di una iniezione di speranza e fiducia, che purtroppo in parte ha anche perso, come dimostra il fatto che, anche prima di settori, il disagio ed il malcontento sulle banchine hanno trovato sfogo nella protesta di movimenti populisti simili ai forconi. Solo il senso di responsabilità del sistema della rappresentanza ha consentito di contenere e governare il crescente disagio e malcontento, non senza ricevere colpi e ferite di cui ancora porta il segno. Un senso di responsabilità finora non premiato, ma che rimane un punto fermo su cui auspichiamo di potere costruire con il Ministro De Girolamo nei prossimi mesi quel più fattivo dialogo e confronto che i bisogni di rilancio e sviluppo del settore impongono.

 

Ettore Ianì

presidente nazionale di LegaPesca