LATTE, QUELLO SCHEMA DI DECRETO ARRIVATO A BRUXELLES. L’ITALIA COPIA IL TESTO DALLA FRANCIA PER APPROFITTARE DEL TRENO IN CORSA E SALTARE TUTTE LE ‘FERMATE’ EUROPEE. ECCO ORA COSA SUCCEDE

firma-contrattoL’Italia sale sul treno francese per andare dritta alla meta senza perdere tempo tra una fermata europea e l’altra. Uno schema di decreto firmato da due ministri italiani, Maurizio Martina e Carlo Calenda, che inizialmente sembra non volesse firmare, per introdurre l’origine in etichetta, in fase di sperimentazione,  per i prodotti lattiero caseari freschi e trasformati. Il decreto annunciato da Matteo Renzi a Milano ospite della Coldiretti, potrebbe andare in porto sfruttando la corsa dei francesi.

L’Italia salta infatti sul treno francese bypassando una serie di passaggi lenti e farraginosi. Coglie l’opportunità approfittando dell’aria che tira in Europa copiando – da quanto apprende AGRICOLAE – praticamente in tutto e per tutto, o quasi, lo schema di decreto dei cugini d’oltralpe. L’ok alla risoluzione sull’etichettatura del Parlamento passata con 420 voti a favore che rappresenta un precedente importante e sta a dimostrare che in Europa sul tema dell’origine sembra ci sia una maggioranza che si sta facendo strada contro i poteri forti delle lobby del Nord. Ma non solo: si coglie al balzo anche la promessa fatta dal commissario Vytenis Andriukaitis  di dare l’assenso per la sperimentazione già nei prossimi mesi.

D’altronde anche Enrico Brivio, portavoce Commissione Ue per l’Ambiente e la Salute, aveva detto nei giorni scorsi che “l’Unione europea ha ricevuto una lettera dalle autorità italiane riguardante le misure per l’etichettatura d’origine del latte e dei prodotti derivati”.

In Europa funziona così: Quando un paese membro ha intenzione di far approvare un provvedimento a livello europeo, solitamente passa prima per una serie di incontri preliminari tra i funzionari del paese richiedente e le direzioni competenti al fine di ‘smussare gli angoli’ alla ricerca di un compromesso così da mettere a punto un testo condiviso. Finita la fase preliminare di lavori, il paese membro ‘ufficializza’ la richiesta inviando il testo – già messo a punto, quanto meno per quello che riguarda le linee di base – alle direzioni competenti che analizzeranno il testo per verificarne la validità politica e legislativa. Si apre così l’istruttoria che, con il placet delle direzioni competenti, avrà vita facile. Il tutto si dovrebbe chiudere – a fronte di un lavoro condiviso fatto a monte – nel range di tempo che va da alcune settimane a qualche mese.

Storia completamente diversa se lo stato membro invia un decreto senza essersi consultato con la Commissione in maniera preventiva. Si apre così un ‘calvario’ che passa quasi sempre per la discussione in commissione. E nulla può essere dato per certo.

Un’altra storia ancora è se invece il paese membro invia semplicemente una lettera di intento per richiedere un parere. Praticamente non accade nulla.

In questo caso l’Italia ‘salta’ a pie pari tutti i passaggi perché già fatti dai cugini di oltralpe nella proposta presentata di recente.

Ma cosa succede ora, dopo che lo Stato membro ha notificato la misura (la bozza/schema del Decreto)?

–          la Commissione europea ha 3 mesi di tempo per rispondere, durante i quali il Decreto non può essere adottato (“sospensione”);

–          la Commissione europea può non rispondere ovvero rispondere favorevolmente o con commenti, proponendo lievi modifiche – in questo caso lo Stato può adottare il decreto rispettando le osservazioni;

–          se invece la Commissione europea risponde con un parere circonstanziato (ovvero con delle obiezioni serie) lo Stato non può adottare il Decreto per altri 3 mesi.

–          se lo Stato membro adotta il Decreto senza ottemperare ai commenti della Commissione europea ovvero lo adotta nonostante il parere negativo della Commissione, quest’ultima può aprire una procedura d’infrazione davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (il cui iter dura in media dai due ai tre anni).

I pronunciamenti della Commissione sono secretati, quindi eventuali rilievi notificati allo Stato membro non sono disponibili. Un eventuale accesso agli atti da parte di un avente diritto è, per prassi consolidata, peraltro avallata dalla giurisprudenza Corte di Giustizia europea, non produttivo della conoscenza dei contenuti espressi dalla citata Commissione.

Poi, per quanto riguarda la questione in Italia, il percorso legislativo sarà tutto da vedere. Ma di sicuro avrà vita facile.