Covid, Razzante: grave sottovalutazione effetti su economia. Agroalimentare e turismo tra i più colpiti

E’ gravissima la sottovalutazione degli effetti della pandemia sull’economia.

L’agroalimentare, poi, è uno dei settori più colpiti. E’ stato già detto, ma va opportunamente enfatizzato.

Rischiamo di vedere cumuli di frutta, vettovaglie, semilavorati, scatolame, carni, pesce, andare in malora a causa dell’effetto “induzione”: non tira più la domanda, se chi consuma all’ingrosso (attività turistiche e ristorative) non compra.

Bisogna avere il coraggio di essere crudi.

Le mafie, le agromafie, si stanno “sedendo a tavola” nei (sempre pochi) ristoranti e alberghi aperti, per l’assurda e inspiegabile, tuttora, regola delle chiusure a cena. Un virus “a tempo” non esiste, e nemmeno “a orario” e “a locale”. E non bisogna essere medici per saperlo.

Beninteso: circola un virus insidioso, malefico, che ha ucciso delle persone, ma che non sterminerà la terra, grazie all’eroismo e alla capacità di ricerca avanzata della medicina e della scienza. E chi dice il contrario compie un reato, il procurato allarme, punito dal nostro codice penale. Si esaltino per ciò i vaccini e i farmaci, non si profetizzino varianti del virus e sventure pur di andare in televisione.

Un po’ di ottimismo, per favore. La nostra psiche – studi scientifici internazionali da consultare – ne ha bisogno, perché i danni ad oggi fanno morti anche per questo.

Soprattutto per coloro che, all’unisono, confortati dal 90% dei commentatori, chiedono di “lavorare”. In sicurezza, ma di lavorare. Con sanzioni severe per chi non rispetta le misure precauzionali.

Molto o del pari più allarmanti sono i dati pubblicati da chi studia gli effetti disastrosi sull’economia.

Circa 2 milioni di disoccupati possibili da aprile in poi, salvo la proroga (credo difficilissima, ma auspicabile) del blocco dei licenziamenti. Misura assolutamente inutile se le imprese stanno chiuse e non lavorano, mica ci vuole uno studio accurato per affermarlo.

Secondo l’accreditato centro studi della CGIA di Mestre, circa il 73% di fatturato 2020 in meno per le agenzie viaggi; 70% per attività ricreative; alberghi – 53% (credo sia addirittura sottostimato); 35 % bar e ristoranti (anche qui, ad un’osservazione da strada, credo ci avviciniamo al 50% potenziale ad oggi).

45 miliardi di euro ha perso il commercio all’ingrosso nel 2020; 22 miliardi bar e ristoranti; 18 miliardi cinema e teatri; 18 miliardi il commercio al dettaglio.

Nel 2020 hanno chiuso – e non riapriranno – circa 500.000 imprese, oggi sono a rischio circa 300.000.

Secondo l’Istat, non secondo chi scrive, a rischio oggi altre 292.000 aziende (tessile, stampa, abbigliamento, mobili, edilizia). Micro-imprese (media di 6,5 dipendenti), il tessuto non solo produttivo, ma “connettivo” dell’economia reale, che media tra ingrosso e consumatori, che fa eccellenza, fondandosi ancora sulle relazioni personali e la taylorizzazione dell’attività.

Lavoro nero e usura stanno crescendo. Stimiamo una sommatoria esiziale di circa 100 miliardi, partita ante pandemia e consolidatasi nel tempo.

Il riciclaggio delle mafie resta a 130 milòiardi di euro annui circa, certamente in aumento, grazie alle possibilità lasciata ai colletti bianchi che, ormai, vendono anche via internet denaro e servizi alle imprese in difficoltà. E le comprano, soprattutto quelle che abbiamo citato.

L’evasione fiscale rimane a 100 miliardi circa annui, e non calerà con la lotteria degli scontrini. Che controlla semmai qualche piccolo evasore; ma quanti bar sognano oggi di fare tantissimi scontrini pur di lavorare?

Come si fa a credere che il fatturato e le risorse della ripresa arrivino da chi spende nei negozi con le carte di credito, se i redditi sono mal distribuiti (vedasi redditi di cittadinanza e bonus vari), quando ci sono? In quanti possono permettersi una carta di credito? I commercianti e professionisti pagano mediamente da 1 a 3 euro a transazione. Il contante non costa. Gli onesti continuano a fatturare. All’estero, dall’Italia, vanno 23 miliardi medi annui, credo anche di più (la stima è del quotidiano Le Monde). In Europa, nel 2020, si sono persi circa 185 milioni di dollari di imposte. Con quale vaccino recuperiamo tutto ciò?

Ed aspettiamo i vari recovery, o come vengono denominati, che si innesteranno su un debito pubblico che non ricordiamo nemmeno più per quanto è grande.

Ma almeno la spesa deve orientarsi bene. Immediati devono essere, senza se e senza ma, gli interventi non di ristoro, ma di detassazione (ovviamente dopo aver riaperto, con precauzioni, tutto ciò che è possibile ragionevolmente aprire!), di sanatorie fiscali, di pagamento dei debiti della Pubblica Amministrazione. A seguire, senza soluzione di continuità, partenza e ripartenza di cantieri, opere pubbliche e private, senza temere di essere tacciati di “keynesianesimo spinto”.

Il Professor Draghi, per fortuna, queste cose le sa. Le insegnerà al paese, ci auguriamo, e a coloro che saranno finalmente meritevoli di governarlo.

 

Ranieri Razzante

Direttore crstitaly.org




Razzante: Imprese a rischio fallimento. Ristorazione e turismo in default. No a buocrazia e sprechi di denaro

Crisi politica, crisi economica, crisi sanitaria. Una combinazione pericolosa per qualsiasi Stato e ordinamento democratico, soprattutto perché a funzionare bene rischiano di essere sempre di più le organizzazioni mafiose. Nei momenti di crisi, in generale, le forze antagoniste di quelle democratiche approfittano maggiormente del caos e delle fragilità del mercato legale.

Abbiamo chiesto a uno dei massimi esperti del settore, il Prof. Ranieri Razzante, docente di Legislazione antiriciclaggio nell’Università di Bologna, quali sono le reali minacce che l’Italia deve affrontare in questo delicato periodo.

Professor Razzante, qual è la sua valutazione generale dell’emergenza in Italia in questo momento storico?

“Il mix letale delle tre crisi che stiamo vivendo non solo non va sottovalutato, ma bisogna urgentemente intervenire per riempire i buchi creatisi nell’ordinamento costituzionale e nell’economia del Paese, altrimenti dobbiamo seriamente temere per l’ordine pubblico e per la nostra convivenza civile. Troppe persone ancora sono in stato di totale abbandono dal punto di vista reddituale, mentre la politica dà un pessimo esempio”.

Quali sono a suo avviso i settori maggiormente a rischio? Qualche giorno fa il Cerved ha pubblicato dati allarmanti su comparto turistico: cosa ne pensa?

“L’analisi del Cerved, unita a quella del Centro studi della Confcommercio, dovrebbe far rabbrividire chiunque, poiché si parla di un settore devastato e sull’orlo del collasso. Voglio ricordare che solo riferendoci a società di capitali (quindi non considerando i pubblici esercizi a dimensione familiare), circa 15.000 ristoranti su 33.000 sono a rischio di fallimento, laddove i ricavi del comparto sono calati del 56% nel 2020. Circa 3.000 su 8.000 hotel sono in chiusura, mentre oltre 2.000 su 4.300 agenzie di viaggi, sempre secondo il Cerved, sono a rischio di default. In ogni caso, secondo Confcommercio, oltre 300.000 imprese hanno chiuso e molte altre chiuderanno. Dove si pensa di collocare tutta la manodopera persa? Non certo in cassa integrazione o distribuendo redditi di sostegno”.

A quali altre imprese potrebbero nuocere le conseguenze delle chiusure da lockdown?

“Fermo restando che il Covid è pericoloso e va combattuto, le chiusure a scacchiera e spesso immotivate stanno producendo crisi a catena sull’indotto legato al turismo, tra cui spicca l’agro-alimentare, nonché sul made in Italy in generale”.

Quali sono i rimedi secondo lei più immediati ed efficaci?

“Proprio oggi è stata resa pubblica la nuova classifica di Transparency International sulla diffusione della corruzione, che vede l’Italia al 52esimo posto tra i Paesi virtuosi, su 180 totali esaminati. Fermo rimanendo che l’indicatore può non essere totalmente attendibile, il vero problema, già noto, ma in questo periodo esasperato, è la burocrazia. Dobbiamo snellire le norme relative agli affidamenti pubblici, all’accesso dei cittadini ai servizi, i controlli antimafia, gli adempimenti legati alle norme anticorruzione e sugli appalti. Nei controlli siamo bravi, non c’è bisogno di ingessare il mercato con lacci regolamentari che rallentano l’inserimento di nuovi investitori e la creazione di nuovo lavoro. La criminalità organizzata sta sopperendo alle carenze dello Stato nel sostegno alle imprese e alle fasce più deboli: i soldi ci sono ma vengono mal gestiti ed arrivano in maniera tardiva e insufficiente. Molte imprese, soprattutto quelle della ristorazione, sono già passate di mano; molti negozi e immobili sono stati ceduti a prezzi più che dimezzati. Senza dire delle inchieste in atto sulle forniture di presidi medici di prima necessità: laddove le ipotesi venissero confermate, saremmo di fronte a uno dei più grandi sprechi di denaro pubblico, e molti altri potranno essere perpetrati all’arrivo delle risorse del Recovery fund. Mi pare stiamo prendendo tutti questi rischi troppo alla leggera”.




Razzante: operazione “Grande Carro” e rischi da Covid

Le mafie non fanno lockdown.

Noi continuiamo a fare terrorismo mediatico, a chiudere zone produttive del paese, attività economiche, danni finanziari ormai irrecuperabili.

Per fortuna le nostre Forze dell’ordine non abbassano la guardia anche sui reati veri, e contrastano le agromafie anche in queste ore, con l’operazione “Grande Carro”.

Giustamente il Ministro dell’Agricoltura ha evidenziato che la Puglia, ma direi il Sud, soffre dell’infiltrazione mafiosa anche nell’agricoltura, come più volte ho commentato da queste colonne.

Ma è altrettanto giusto evidenziare come – una volta di più – il danno all’economia sana è costante e senza limiti, soprattutto nei periodi di sofferenza del sistema.

Data per scontata l’esistenza di una forma virale sanitaria, e la necessità di protezione, vari sono i reati cui stiamo assistendo, non solo quelli mafiosi, sui quali è d’obbligo fare una riflessione.

Da parte di “privati” professionisti, numerosi “procurati allarmi” (art. 658 codice penale). Analizziamo il contenuto della legge, non dell’opinione di chi scrive: “Chiunque, annunziando disastri, infortuni o pericoli inesistenti, suscita allarme presso l’autorità o presso enti o persone che esercitano un pubblico servizio, è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda da euro 10 a euro 516”.

Il “pericolo inesistente” sta, secondo le statistiche ufficiali e l’analisi di una parte degli scienziati, nella morte pressochè “automatica” derivante da virus, e della “malinformation” sulle conseguenze del covid sui semplici “contagiati” (v. ultimi dati Ministero della Salute, resi noti dalla stampa e dalle TV, anche se pure qui bisognerebbe indagare il comportamento di talune fonti informative).

Ma ciò che interessa allo scrivente (per maggiore competenza di analisi in questa occasione) è che il reato di terrorismo, che purtroppo abbiamo conosciuto negli anni come devastante forma di lotta religiosa, politica, sociale, si può perpetrare in varie forme, non solo con gli attentati.

Vari siti e social stanno pubblicando notizie false, in un senso e nell’altro, e possono ben essere accusate di ledere l’ordinato svolgimento della vita democratica del Paese.

L’effetto annuncio delle misure, fatto costantemente in via disconnessa e con intonazioni allarmistiche, sta destabilizzando i mercati, le imprese, le realtà produttive e commerciali del Paese.

Non può esistere “ristoro” di nessun tipo contro questi danni; andiamolo a dire a chi ha subito – anche gli italiani – il vissuto delle stagioni del terrore, miste a quelle mafiose, che ora non servono più, perché alle mafie stiamo servendo, senza che facciano molta fatica, un piatto succulento: la crisi e la paura. E l’operazione in commento è solo una delle ultime, e molte ancora ve ne saranno.

Autorevoli studi, ed allarmi lanciati da chi approfondisce e contrasta questi fenomeni, dimostrano con certezza – questa sì – che di mafia e di economia malata si muore. La morte di un’impresa genera di sicuro un effetto “pandemico” inarrestabile, e i riflessi sull’ordine pubblico – sino ad oggi abbondantemente ignorati – sono dietro l’angolo. Le legittime proteste non sono affatto censurabili, ma si prestano a nascondere quelle “terroristiche” (come qualificare le violenze di piazza cui si sta assistendo, da parte di pochi, ma pericolosi, delinquenti?).

A pagare sono sempre le Forze dell’ordine. Cui va tutta l’affettuosa solidarietà, unitamente a coloro che vedono sempre più vicino il ricorso ad espedienti pur di sopravvivere.

Se bisogna fare terrorismo ingiustificato, beh, lo si faccia anche su queste tematiche. Probabilmente qui, tra le righe, lo abbiamo fatto.

Vanno compiute allora scelte urgenti tra queste opzioni negative, possibilmente annullandole tutte.

Investimenti corposi e urgenti sulla sanità, ad esempio, risolverebbero entrambi i problemi: salute ed economia, circoli virtuosi. Certo, stando attenti a chi prende gli appalti; in questo settore la criminalità organizzata è già ben presente. Come nell’agroalimentare, nel mercato delle droghe, con l’aumento vertiginoso che ci sarà per colmare i vuoti di profitto, ma anche – purtroppo – di attenzione sociale e certezze da parte dei più giovani. Aumenta il contrabbando, che torna alla grande, di alcoolici e farmaci, mascherine e strumenti di cura. La contraffazione, il traffico di organi, di esseri umani. I reati via internet, frodi e riciclaggio.

Senza dire del radicamento territoriale delle mafie – come prova ancora quello Foggiano condannato dalla Ministra -, agevolato da provvedimenti scoordinati delle Regioni: dove si chiude si creano difficoltà alle imprese, ai commercianti; stiamo attenti, ma davvero attenti. Così come sui ritardi nell’erogazione degli aiuti, nella burocrazia, nello smart working spinto, che crea disagi nei servizi di pubblica utilità. Senza dire delle libere professioni, stremate da leggi e carichi tributari insostenibili, che andranno a costituire un’altra bomba sociale.

Solo pochi virologi attenti stanno pensando a queste conseguenze letali, pur non avendone – all’apparenza – le competenze.

Gli studiosi come chi scrive hanno invece il dovere di rimarcare questi speculari aspetti.

 

Ranieri Razzante

Direttore www.crstitaly.org e www.antiriciclaggiocompliance.it




RAZZANTE: OMS HA COMMISSIONATO UNA COMMISSIONE CON MARIO MONTI. ITALIANI STANCHI DI PROFESSORI NECESSITANO VELOCITÀ E LIQUIDITÀ PER ECONOMIA REALE

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha commissionato una commissione! Si tratta di quella che dovrà occuparsi della salute e lo sviluppo sostenibile (testualmente) nell’era del post-covid. Al di là della scelta sulla presidenza italiana, affidata al professor Mario Monti, è bene approfondire quali dovrebbero essere le competenze e le finalità di un organismo, l’ennesimo, anch’esso formato da un numero cospicuo di membri, di varie estrazioni professionali e regionali. L’Italia notoriamente non ha una felice esperienza in tema di commissioni di esperti, e non tanto perché detti esperti non fossero all’altezza del ruolo loro affidato, ma solo perché – a mio avviso – non sono stati ben definiti i loro compiti ed utilizzati i risultati delle loro ricerche e proposte.

La logica delle istituzioni collegiali, e più in generale degli organi a composizione plurisoggettiva (ad esempio, i consigli di amministrazione delle società imprenditoriali), è precipuamente quella dell’apporto di esperienze e know how per finalità di accrescimento di produttività, redditività, efficacia ed efficienza di processi, procedure e della gestione degli enti che li hanno istituti. Nel caso di specie, il progetto è più ambizioso ed impegnativo, dato che si vorrebbe affidare alla commissione la formulazione di raccomandazioni sugli investimenti e le riforme atte a migliorare la resistenza dei sistemi sanitari e di assistenza sociale nei 53 stati membri della parte europea dell’Oms.

Intanto, una prima e banale riflessione ci porta a dire che la salute non ha bisogno di commissari, ma di scienziati e medici! In ogni caso, da questo punto di vista le strutture a presidio della sanità pubblica e privata vengono coordinate da precise regole statuali, che mi paiono immodificabili a livello di moral suasion. Mi si potrà obiettare che la commissione annovera tra i suoi componenti anche scienziati e imprenditori dei settori interessati. Ma le perplessità circa l’utilità finale della relazione, che si dovrà presentare entro il mese di settembre del 2021, rimangono ancorate quanto meno al fattore temporale. Le emergenze come il covid si governano con strategie di breve e medio periodo, con azioni legate per lo più alla imprevedibilità di eventi come le pandemie. L’unica programmazione possibile, e che invece scarseggia ancora sia a livello OMS che istituzionale, italiano ed europeo, è quella delle risposte dell’ordinamento economico e giuridico tese alla ricostruzione ed alla prospettazione di un futuro rassicurante per i cittadini. In un mio studio, appena pubblicato sulla Rassegna dell’Arma dei Carabinieri, ho enumerato una serie di priorità, molto banalmente legate all’osservazione dell’esistente, con le sue potenzialità e lacune. In primis, occorrono ,senza ulteriori attese politico-burocratiche, robuste iniezioni di liquidità, al massimo entro il prossimo ottobre, nel sistema dell’economia reale. Interventi strutturali e pochi bonus, creazione di cantieri non solo per grandi opere, ma di elaborazione di progetti tesi alla ricomposizione di un tessuto sociale slabbrato in più parti dall’emergenza ancora in corso. Governi forti capaci di decidere in poche ore, e attuare ancora prima, misure di semplificazione per l’accesso al mercato (o per il mantenimento delle quote già acquisite nel medesimo) delle strutture medio-piccole. Non solo in Italia, anche questo è banale ricordarlo, il tessuto imprenditoriale che sta già rimettendo in moto l’economia è quello delle PMI e delle professioni intellettuali, queste ultime soprattutto inspiegabilmente trascurate da qualsiasi progettualità. Urge inoltre un ripensamento totale dei settori della ricerca e dell’istruzione, non solo con la caratterizzazione della “sostenibilità”, concetto che da me per primo non credo molti abbiano realmente compreso.

Ad esempio, è sostenibile mantenere lo smart working? Le scuole e le università senza studenti? Il settore del turismo senza agevolazioni consistenti e finalizzate alla promozione di quanto il nostro paese non avrebbe nemmeno bisogno di mostrare? Cosa dire poi delle riforme fiscali e pensionistiche, delle politiche energetiche e di tutela del territorio? Credo che i cittadini italiani ed europei siano stufi di professori, tavoli e commissioni, mentre attendono con ansia decisioni illuminate dalla rapidità e dalla forza rassicurante di governi solidi e coesi

Ranieri Razzante 

Direttore crstitaly.org 




RAZZANTE: L’INGORGO FISCALE? LO RISOLVERANNO LE MAFIE

L’ingorgo fiscale lo risolveranno le mafie.

I soldi per acconti e saldi, al di là di poche imprese e contribuenti rimasti “sani” nel post-covid, rischiano di arrivare, è già stato autorevolmente detto, dall’usura e dal riciclaggio.

Il comparto agricolo sarà tra i più colpiti, insieme al commercio al dettaglio, al turismo, alla ristorazione.

Al di là delle funeste – ma sempre centrate – previsioni della CGIA di Mestre, abbiamo fatto una simulazione in base al fatturato (stimato) delle mafie, ad oggi immaginabile in 400 miliardi di euro annui. Di questi, circa 150 sono oggetto di riciclaggio, ovvero di reimmissione nell’economia legale, dove pagano dazio, è chiaro, in quanto il reinvestimento deve perforza (l’ho più volte detto e spiegato) sfociare in affari formalmente leciti (così come si fa nei mercati legali, seguendo le regole base del diritto e dell’economia).

Costituzione e acquisto di attività imprenditoriali, operazioni societarie e di finanza innovative, investimenti in borsa e sui mercati finanziari internazionali, acquisto di crediti in sofferenza ed NPL, tutto transitato e tramitabile presso banche e intermediari finanziari (in questo periodo, perfavore, attenti ai fondi di investimento, soprattutto esteri!), poichè non è ancora vietato aprire conti correnti per saldare obblighi pecuniari o sottoscrivere operazioni di investimento del proprio denaro. Tutti passaggi tracciati anche presso le banche dati del fisco e dello Stato (es. registro imprese), attraverso persone e strutture insospettabili al soldo delle cosche. Con la appena approvata direttiva PIF, i controlli aumenteranno.

Immaginando un’aliquota marginale per difetto al 40%, su questi investimenti il crimine verserà allo Stato circa 60 miliardi, così “giustificando” le operazioni compiute e riparandosi (per fortuna non sempre, grazie all’azione delle nostre Forze dell’ordine) dietro alla libertà di impresa, tutelata dalla Costituzione. Il riciclaggio, che ai sensi dell’art. 648-bis del codice penale, si può punire solo se l’occultamente delle somme illecite viene fatto con strumenti dissimulatori leciti, renderà due volte.

In primis, costo fiscale recuperabile ex lege; in seconda battuta, legittimazione di guadagni senza sostenere, di fatto, il prezzo dei medesimi, in quanto c’è tanto denaro da smistare, soprattutto in questo periodo, e alle mafie, ricordo, il denaro non costa nulla.

Il paradosso sta proprio in questo. Un periodo fiorente per pagare le tasse al posto di altri, prestando loro i soldi a usura, e guadagnando dalla restituzione delle rate usurarie (o impossessandosi delle imprese che non potranno attuare queste restituzioni), ripulendo il denaro così ottenuto con la (ignara) complicità del fisco. Che riceve pagamenti ovviamente tracciabili, poiché le imposte non si versano in contanti; ciò, ormai stresso chi mi legge da tempo, in spregio alla limitazione dei contanti ed alle inutili campagne per l’incremento dell’utilizzo di strumenti di pagamento diversi.

La mafia ambisce alla tracciabilità, sennò non può riciclare.

Soluzioni? Evitando demagogie?

Innanzitutto, non inseguire una Ferrari con una bicicletta…….

Semplificare il sistema fiscale (non sono originale, lo so, ma darebbe fastidio pure alle mafie un incremento di cittadini ed imprese adempienti verso il fisco con mezzi propri).

Abbassare la tassazione, perché è unica via – insieme ad una massiccia dose di investimenti statali (che si sostituirebbero a quelli mafiosi) – per uscire dal covid economico.

Aiutare le imprese in difficoltà “ora e subito”, senza discussioni pseudo accademiche su MES, recovery fund, et similia: soldi, oggi, non disponibili.

Gli strumenti ad oggi proposti non sono in linea con la ripresa……le mafie lo sanno bene.

 

Ranieri Razzante

 

Direttore di crstitaly.org, esperto di criminalità organizzata




UE, POGGIANTI: MACCHÉ PAESI FRUGALI! CHIAMIAMOLI EGOISTI

Non chiamiamoli frugali, per cortesia. Il termine “frugale” ha una connotazione positiva: distingue un comportamento virtuoso. Ma non mi sembra ci sia virtù nella condotta dai paesi che si stanno mettendo di traverso nella trattativa sugli aiuti ai popoli più duramente colpiti dal Covid 19.

Chiamiamoli egosti, invece.

La “loro” Europa è angusta, asfittica. Lontana mille miglia da quell’idea ariosa e nobile dei padri fondatori.  Un’ Europa che avrebbe dovuto superare la concezione ottocentesca delle piccole patrie, in nome di una patria più grande, pacifica, democratica, tollerante, solidale.

La pandemia nella quale siamo immersi avrebbe bisogno di questo: di un grande afflato fraterno. Quello che invece vediamo è un meschino spirito contabile: i governi che si trincerano dietro una presunta virtù, rancida e miope, non hanno capito una cosa: che quando arriva la tempesta il “si salvi chi può” è l’errore più grave che si possa commettere.

Da questo gurgite vasto si esce soltanto tenendoci per mano.

L’Europa, non solo l’idea di Europa, ma anche l’Unione concreta dei paesi che la compongono, anche quelli della concorrenza fiscale sleale e delle libertà politiche attenuate, si salva tutta insieme. O non si salva.

Franco Poggianti




LOTTA AL CONTANTE, RAZZANTE: LE MAFIE NON LO USANO. E INTANTO SI PENALIZZANO AGRICOLTORI

Agricoltura tra le più colpite dalle limitazioni al contante.

Un settore dove è necessario soprattutto al dettaglio. Gli incassi dei poveri fruttivendoli avvengono in contante, Come da tradizione, soprattutto nelle regioni del sud, dalle quali chi scrive  proviene, e non mi è parso di vedere tanti mafiosi a vendere la frutta.

Il contante è l’essenza altresi delle consegne dai grossisti ai dettaglianti, per importi modesti. Senno’ si fanno gli assegni. Imporre modalità diverse significherebbe caricare di costi inutili per la gestione dei pagamenti alternativi poiché, come è bene ribadire,  se vogliamo essere tecnici e non demagoghi, gestire le carte di credito costa, e questi costi, giustamente, non sono azzerabili e nemmeno, dato il livello dei budget delle banche ma , soprattutto, dei soggetti emittenti, un livellamento incentiverebbe utilizzi anche a fini’ illeciti. 1500000 carte hanno subito furti di identità nel 2018 nel mondo.

Ogni transazione con Pos passa per una rete gestita da societa’, peraltro anche  italiane, che tenderebbero a fallire con commissioni irrisorie. 

Le carte di credito nascono- studiamo- per le élite,  per le classi medie. Sono utili, è certo. Anche alle mafie, che oggi ci riscuotono pure il pizzo.

La cultura del sospetto ha già troppo pervaso il fisco italiano, bloccando un paesino quella  rete esiziale di piccole e medie imprese, vessate da controlli di congruità ,  livello di imposizione e burocrazia che ovviamente non toccano minimamente le imprese mafiose.

Queste non hanno contanti dui conti correnti, tranne che ovviamente non svolgano attività che ne richiedano utilizzo e che, per carita’, acquisiscono apposta (es. Ristoranti, supermercati) per smistare denaro. Che poi parte e gira con strumenti tracciati,  perché se non si fattura il riciclaggio- come reato- non si può fare.  Tassato, il denaro riciclato si legittima, per la gioia delle mafie.

Stupido chi si fa prendere con una valigetta in mano.

I controlli sulle transazioni bancarie e finanziarie, nonché sugli atti societari sono in Italia al massimo livello che in tutta l’Europa. Infatti si cerca nella Ue è in quei paradisi fiscali in essa presenti, ancora inspiegabilmente circola di costituire attività per eludere il fisco italiano. Questi dati sono pubblici, numericamente di gran lunga superiori alle operazioni della nostra brillante Guardia di Finanza attinenti sequestri di contante. Stiamo per attenti perché ingenerare la sfiducia verso la moneta ufficiale, elemento costitutivo di un regime Democratico, potrebbe creare paure e proteste che nulla avrebbero a che fare con la lotta all’evasione. E scoraggiare i consumi ed il risparmio. Se riusciamo a non tassare quest’ultimo.

Assai incongruente sarebbe poi, all’evidenza, il taglio dell’IVA cosiddetto selettivo proprio su quei settori, A quanto si apprende, che più di altri vedono l’utilizzo della moneta di conto (perciò “contante”)  nelle transazioni commerciali.

Numericamente negli ultimi 10 anni alle mafie sono stati sequestrati milioni in beni immobili, mobili, conti correnti, rapporti finanziari. Non sono così stupidi da controllare L’economia immettendo o requisendo contante.

Il ciclo produttivo, anche in agricoltura, si controlla e si infiltra con affari grossi, gestiti da sodalizi professionali e imprenditoriali di elevata qualità tecnica.

Vorrei poi vedere come si sposerebbe una limitazione assurda con il pagamento delle giornate di lavoro ai poveri migranti che si vuole regolarizzare, ovviamente con la necessaria prudenza, affinché possano comprarsi da mangiare in quel supermercato che farà loro lo scontrino, e che ovviamente non potrebbero permettersi una carta di credito che nessuna banca peraltro potrà consegnare a chi non può nemmeno aprire un conto corrente.

Da cittadino e da studioso, un appello forse non così forte come quello delle lobby in campo, ma con il centro di ricerca che dirigo, sulle mafie e sul terrorismo, continueremo senza sosta a studiare e tracciare i fenomeni criminali reali, Per quanto riguarda la finanza internazionale e criminale  , ora concentrati sul web, sui borsellini elettronici, sulle imprese cartiere, sulle criptovalute, sulle web extorsions, sulle offerte di denaro da intermediari abusivi, sui furti di identità e conseguenti clonazioni di carte di credito, sugli hackeraggi su conti correnti di ogni tipo.

La Banca Centrale Europea ha ricordato all’Italia più volte che la moneta serve ad includere nel settore dei consumi una fascia di popolazione che non lo sarebbe altrimenti. Le mafie sono già assai inserite, qualsiasi siano gli strumenti di pagamento che il mercato offrirà loro. E poi la storia del covid: abbiamo le prove delle infiltrazioni nei settori di cui anche qui abbiamo abbondantemente parlato. Tutte imprese, tutto fatturato, Peccato che in maniera fraudolenta con prodotti di scarso livello. Pagati da soggetti insospettabili con bonifici anche internazionali. Lavoriamo sui conti, non sulle tasche, Se non altro per una questione di capienza.

Ranieri Razzante

Direttore crstitaly.org




RAZZANTE: LE IMPRESE GARANTITE NON ANDRANNO ALL’INFERNO MA LA MALAVITA È PRONTA AD APRIRNE LE PORTE

Le imprese garantite non andranno “all’inferno”.

Una sintesi brutale, ma credo significativa, cui ci sollecita la Banca d’Italia con una comunicazione di oggi, pubblicata sul sito istituzionale.

Si parla di prestiti alle imprese, tutte (quindi anche del comparto agricoltura), relative garanzie e accordi cosiddetti “a saldo e stralcio”.

Il tutto nasce perché le garanzie concesse sono da sempre registrate (termine tecnico “segnalate”, ma non come nell’antiriciclaggio) da chi le concede, per lo più banche, alla cosiddetta Centrale dei Rischi, che risiede in Banca d’Italia.

Questo strumento venne introdotto per garantire le banche stesse da concessioni di prestiti (anche sotto forma di garanzie) a soggetti che ne avevano già beneficiato, e tuttora funziona così.

Tra i tanti errori di comunicazione sui finanziamenti agevolati Covid, è stato commesso anche quello di non far capire, fino in fondo, che le somme, transitando dal sistema bancario, dovevano giustamente seguire le regole di erogazione dei crediti stabilite prima dalla legge (D.Lgs. 385 del 1993, Testo unico delle leggi in materia bancaria) e, non secondariamente, se non per ordine delle fonti del diritto, dalle Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia alle banche.

Al di là del fatto che molte erogazioni – come portato a prova in Commissione d’inchiesta sul sistema bancario – sono state indebitamente messe a compensazione di perdite e scoperti pregressi, vanificando l’utilizzo “salvifico” per l’imprenditore richiedente, qui l’Autorità di vigilanza rimarca che non vanno segnalate in Centrale le garanzie pubbliche concesse in base a leggi, decreti e provvedimenti normativi.

Gli imprenditori beneficianti, quindi, non si vedranno segnalati, come sarebbe (speriamo di no) avvenuto in fase pre-Covid, e quindi eventuali altre richieste “ordinarie” di finanziamenti resteranno (speriamo) sempre possibili.

Così le facilitazioni del tipo suddetto, ossia garanzie concesse dal Fondo di garanzia per le PMI ai sensi del decreto liquidità, restano “eccezionali”, e quindi non computabili tra gli affidamenti ricevuti (avremmo avuto in tal caso una sorta di “doppia esposizione” del beneficiario nella Centrale suddetta).

Altra delicatissima questione che la Banca d’Italia (meno male!!) affronta è quella delle transazioni cc.dd “a saldo e stralcio”, cioè quelle raggiunte tra debitori e banche, senza contenzioso, stabilendo una somma di recupero che avvantaggi entrambi e chiuda la partita creditoria.

Lamentele giunte all’Istituto paventano la mancata concessione di nuovo credito a chi avesse già definito il suo debito come sopra, oppure la mancata informazione, a chi raggiungeva tali accordi, di essere comunque segnalati a sofferenza nella Centrale rischi. Ricordo che la segnalazione ultima preclude a chiunque di ottenere nuovo credito, per cui non si capiva come un’impresa potesse accedere ai finanziamenti agevolati, essendo numerosissimo il gruppo delle società in queste situazioni, già in pre-Covid!!

Si chiarisce allora (e solo con questo meritoria missiva dell’Autorità, che forse sarebbe meglio studiare, insieme ad altre leggi di settore) che detti accordi non portano – in estrema sintesi – a evidenze di “sofferenza” che siano preclusive di nuovo credito. Anche se le banche – questo va precisato – possono sempre, come imprese, decidere che non vi sono le condizioni per concedere i finanziamenti non obbligatori per legge, ma anche questo non è stato detto, secondo chi scrive, a sufficienza.

Stiamo attenti, e mai ci stancheremo di ripeterlo, che i vizi nella concessione del credito, soprattutto se arbitrariamente previsti, sia da circolari governative non chiare che, non ne parliamo, da comportamenti poco accorti e informati, portano (già accaduto) i debitori a chiedere soldi (sia per ripianare, sia per vivere) ai canali “non ufficiali”…….!!

Ritengo di non dover aggiungere altro……

 

Ranieri Razzante – Esperto di Legislazione bancaria e finanziaria




RAZZANTE: PER IL SIGNOR SAVIANO SIAMO TUTTI PROFESSIONISTI E, DUNQUE, POTENZIALMENTE MAFIOSI. MA NON FUNZIONA COSI

Siamo tutti professionisti. E quindi potenziali mafiosi. Lo studioso e tuttologo Roberto Saviano ha deciso così. Chi scrive studia i fenomeni mafiosi per davvero, senza proclami e senza ideologie. E sento il bisogno allora di spiegare al signor Saviano (non mi pare abbia altri titoli) alcune particolarità dell’utilizzo di liberi professionisti da parte delle mafie, magari con qualche cenno alla regolamentazione che il nostro ordinamento giuridico ed economico hanno previsto per contrastare gli (eventuali) “contatti” tra associazioni mafiose e mondo delle professioni.

1. Le mafie contemporanee, risparmiando a Saviano la storiografia che presumo (?!) conosca, si caratterizzano per la spiccata “professionalità” delle loro azioni, da quelle più efferate a quelle soft, come la penetrazione dei mercati legali attraverso l’inondazione di ricchezze di provenienza illecita per acquisire potere e consenso;

2. in questo contesto, ci sono vittime e carnefici: le prime sono i cittadini onesti, le regole, le istituzioni, mentre i carnefici sono i mafiosi e coloro che ne assecondano i comportamenti. Tra questi ultimi vedrei senz’altro i “professionisti dell’antimafia”, tra cui un numero consistente di scrittori, giornalisti, politici, magistrati, studiosi (come chi scrive), avvocati e commercialisti (come chi scrive), e tantissimi altri che hanno costruito le loro carriere con la semplice diffusione di patetici, fumosi e opportunistici manifesti contro la mafia e il malaffare. Da questo sottobosco sono nati carrieristi i quali ci stanno noiosamente abituando ad uscite pontificali (e ben retribuite!), approfittando di vetrine compiacenti e di momenti propizi che la quotidianità delle cronache offre loro in modalità gratuita.

3. In questa sua uscita mediatica il signor Saviano, da abile “professionista”, si avventura nella ultronea disquisizione su una materia che non sembra conoscere: ad esempio, quella della normativa antiriciclaggio e sulla responsabilità penale d’impresa, nelle quali è assegnato ai commercialisti (oltre che agli altri liberi professionisti) un ruolo determinante nel contrasto ai white collar crimes (per i meno informati, come Saviano, trattasi dei decreti legislativi 231 del 2001 e 231 del 2007). L’utilizzo consapevole degli strumenti citati ha consentito ad oggi (consiglio la lettura dei report periodici delle Autorità di settore) di rintracciare tantissimi profili di reato, ascrivibili anche alle mafie, grazie alla collaborazione attiva di qualche centinaio di migliaia di italiani appartenenti al mondo delle professioni suddette.

4. La regolamentazione di contrasto al riciclaggio vede il suo fulcro nella attribuzione di precisi doveri ai professionisti della finanza, agli imprenditori ed a una serie di soggetti elencati, per essere precisi, all’articolo 3 della normativa antiriciclaggio. Ciò ha prodotto, nel corso del 2019, circa 120.000 segnalazioni di operazioni sospette, che le Autorità di settore (per i Saviano, trattasi della UIF, della GdF, della DIA e della DNA) hanno trovato essenziali (oltre le 80.000) per il contrasto all’evasione fiscale e al riciclaggio, con innumerevoli indagini portate a termine con condanne e provvedimenti cautelari.

Tutto quanto sinteticamente precede, e che consiglio vivamente di approfondire (su richiesta, volentieri, ne fornirei gli estremi), concorre a delineare un quadro molto meno semplicistico e fuorviante rispetto a quanto il Saviano prospetta, peraltro ai limiti della querela come spesso accade (ma si fa in modo di non far accadere). Una rete di persone per bene, di cittadini onesti, che più spesso subiscono le angherie e i soprusi dei mafiosi, soprattutto in questo periodo, a causa delle notissime colpe di un virus ma, soprattutto, di una classe dirigente che non sa gestirne le terribili conseguenze sul sistema economico e sociale del nostro Paese.

Da tempo ho propugnato una banale semplificazione teorica, che ho riscontrato purtroppo valere nei comportamenti quotidiani di chi è davvero mafioso e di chi non lo è o non vuole esserlo. Ci sono i comportamenti “dei mafiosi”, cioè quelli ormai noti (a chi davvero se ne occupa quotidianamente) che costituiscono reato. Ci sono poi quei comportamenti “mafiosi dei non mafiosi”, cioè di quelle minoranze di cittadini (tra cui, perché no, anche liberi professionisti come chi scrive) che, tentati dai facili guadagni, dal potere, dalla vanagloria, assecondano con la loro volontà commissiva, ovvero omissiva, il compimento di atti, anche solo reati di opinione, che nel nostro Paese stanno diventando quantitativamente più numerosi dei primi che ho elencato.

Da cittadino prima, e da docente universitario poi, mi permetto di suggerire a Roberto Saviano una attenta e più serena valutazione su questi temi.

 

Ranieri Razzante, direttore di www.antiriciclaggiocompliance.it




RAZZANTE: SENZA CONTANTE COME LI PAGHIAMO I REGOLARI BRACCIANTI? COME DICE LA BCE ELIMINARLO E’ ILLIBERALE

E senza contante come li paghiamo i braccianti agricoli, regolari o regolarizzati che siano?

Basterebbe solo questa domanda/risposta a Peter Gomez, che lancia una improbabile petizione sull’abolizione del denaro contante su change.org, per smontare – intanto in senso pratico – la proposta, che si basa su dati erronei, dal punto di vista economico e giuridico.

Innanzitutto, basterebbe la raccomandazione fornita dalla BCE, in una lettera del 15 dicembre 2019, al Governo italiano, a fronte della paventata (e fuori controllo ormai) decisione della riduzione delle soglie del contante nei pagamenti, e della (illiberale, oltre che impossibile) proposta di obbligare ai pagamenti elettronici.

La BCE, nel ricordare che ogni eventuale decisione sulla emissione/circolazione del contante spetta solo ad essa medesima, ha poi puntualizzato – ove ve ne fosse ancora bisogno (e pare proprio di sì, che tristezza!) – che il contante è la “moneta di conto”, ufficiale, garanzia nei pagamenti, unica che ha un effetto “solutorio” immediato. Ciò perché (argomento io, ma rivedibile sul documento citato) l’effetto del pagamento si realizza al momento della consegna e scambio della moneta (liberando il debitore con certezza), mentre lo stesso effetto non è verificabile con moneta elettronica, che ha il problema della valuta e delle scoperture (una carta di credito potrebbe essere più facilmente clonata e non avere provvista, poiché la verifica non è immediata; un bonifico non ha mai valuta lo stesso giorno dell’ordine, per cui i soldi non sono immediatamente disponibili).

Ma il principio di diritto, sancito dalla BCE, viene coronato dalla conclusiva enunciazione della regola sulla “inclusione sociale e finanziaria”, nel senso che il divieto del contante (e, vieppiù, conseguente obbligo di pagamenti elettronici) non consente agli strati della popolazione più deboli di avvicinarsi al mercato, e creerebbe loro problemi insormontabili negli acquisti (o nei semplici regali dei nonni ai nipoti!).

Tra l’altro, la BCE, insieme a chi scrive, ricorda che già esistono limitazioni al trasferimento del denaro contante tra privati nel nostro Paese (ricordo io che in 11 paesi europei no, ma con evasione fiscale e riciclaggio su valori più bassi dei nostri!), e che esse si devono proprio alla prevenzione e contrasto del riciclaggio. Eventuali ulteriori strette, aggiunge sempre l’Autorità UE sulla moneta, devono essere giustificate da “effettivi e dimostrabili” benefici su detto fronte, nonché quello della lotta all’evasione fiscale.

Nell’appello del direttore del Fatto.it, poi, si dicono una serie di inesattezze, che per punti riprendo, con relative citazioni a contrariis delle leggi in vigore:

  1. le “operazioni elettroniche”, come impropriamente chiamate (si dice “transazioni” o “pagamenti”), non possono (e potranno) mai essere gratuite, poiché per processarle ci sono costi di sistema comprimibili, sì, ma non azzerabili, pena la chiusura di numerosi intermediari finanziari e piattaforme di gestione dei pagamenti della specie. Tra l’altro, a tale proposito, nessuno riesce ancora a spiegarmi cosa accade se un pos non funziona per qualsiasi motivo (assai verificatosi nella prassi): non credo si possa rinunciare al pagamento della prestazione, poiché la moneta ufficiale, per l’appunto, è il “dannato” contante, e non vi è obbligo di accettare altro (bensì è una facoltà).
  2. “semplicità delle operazioni e sicurezza”: non sono garantite a priori. E’ molto più difficile (grazie peraltro, alle nuovissime tecniche di stampa della BCE), oggi, falsificare banconote (nonché costosissimo, e qui la pressoche’ totale scomparsa dei reati della specie). Le clonazioni e i furti di identità su carte di credito e debito sono invece all’ordine del giorno, per miliardi di euro in tutto il mondo (si vedano i papers della BCE e delle altre Autorità sovranazionali), e basterebbe chiedere i dati al nostro Mef, che gestisce la banca dati sui furti di identità, per riceverne risposte sorprendenti (report pubblicato annualmente sul sito). Inoltre, andiamo a spiegare a chi ha tanti anni di età, ma non di esperienza con gli strumenti alternativi di pagamento, come gestire “pezzi di plastica”;
  3. “liquidità nascoste”: ce ne sono certamente, sotto i materassi o nelle dispense di molti anziani, in molte cassette di sicurezza, in molti negozi (nei retrobottega?). Le liquidità delle mafie non sono nascoste, sennò le nostre ottime forze di polizia gliele sequestrano. Esse sono già investite, e riciclate, attraverso sofisticati strumenti, oggi anche le criptovalute, poiché un vero mafioso non si fa trovare in giro con le valigette di banconote.

A ulteriore conferma e, per pietà, modesta riflessione cui invito i firmatari della petizione, il cui risultato sarebbe peraltro costituzionalmente inutilizzabile, la vera evasione fiscale (dati Gdf) avviene, innanzitutto, attraverso “frodi carosello” (quelle realizzate con caroselli di società all’estero, sui conti correnti delle quali transitano bonifici per fatture false), e, riflettendoci bene, il decreto 74/2000, che contiene l’elenco delle violazioni fiscali penali in Italia, non evidenzia – si provi il “ricerca nel testo” col pc – il termie contante.

Sapete perché? Perché c’è modo di non fare fattura anche se paghi con carta di credito (potrei fare centinaia di esempi), e c’è modo di fare evasione e riciclaggio (anzi, meglio) “con” carte di credito (dati Uif e Bankitalia). I terroristi usano le carte, dati anche questi rivenienti dalle indagini e cronache, pochissimi il contante. Il pizzo si paga con carte di credito. Il riciclaggio si fa solo con operazioni tracciate”, altrimenti si rischia di perderne la finalità essenziale, cioè la ripulitura, anche se tassata (meglio!), di ciò che viene da delitto.

La limitazione dei 3000 euro in Italia, peraltro sanzionata amministrativamente in caso di violazione (ci sarà un motivo se non è penale!), già è bastata a convogliare i pagamenti presso gli intermediari finanziari (che in questi ultimi due anni, dati Uif, hanno ridotto significativamente le segnalazioni sospette su operazioni in contanti).

E visto che questa testata si occupa di agricoltura, un bracciante che deve avere 40 euro (o ciò che sia) a giornata va pagato in contanti, poiché non è detto che, anche volendo, gli aprano un conto corrente bancario o postale, soprattutto se in Italia con – anche regolarissimo e dovuto – permesso di soggiorno.

E poi, ultimo ma non ultimo, in questo periodo drammatico, credo sia poco utile togliere il contante, anche perchè non ce n’è molto, e quel poco speriamo rientri in circolo, legalmente, per evitare guai ben peggiori.

 

Ranieri Razzante

Direttore di www.antiriciclaggioecompliance.it




LE BATTUTE DI MASSIMO FIORIO: TRA SOVRANISMO ALIMENTARE E NUOVA TECNOLOGIA. COME CAMBIA IL CIBO IN TEMPO DI COVID

L’epidemia Covid-19, il lock-down che ha progressivamente e rapidamente chiuso il mondo e le modalità di lento, lentissimo ritorno alla normalità hanno imposto ed imporranno un cambio della nostra quotidianità con un impatto sulle nostre abitudini di vita che si trascinerà nel tempo.

Riguardano la nostra socialità, i nostri consumi ed inevitabilmente come dimensione che riguarda entrambi gli aspetti: il cibo.

L’antropologo Tullio Sepilli in Per un’antropologia dell’alimentazione afferma che la nutrizione, oltre ad essere un bisogno biologico, è una “risposta sociale”. I comportamenti connessi alla nutrizione travalicano il semplice bisogno di cibo trovando fondamento nel modo di produzione, nell’ assetto delle strutture organizzative e istituzionali direttamente o indirettamente correlate con il modo di produzione e con le forme di cultura. Il consumo di cibo risulta inserito nel contesto storico-sociale cosi come il bisogno stesso. La risposta comportamentale e istintuale al bisogno biologico di nutrizione è insomma fortemente modificata, nell’uomo, dall’intermediazione di un insieme di processi attinenti alla sfera del sociale.

Da questo punto di vista il Covid rappresenta un vettore di cambiamento straordinario ed inaspettato con cui fare i conti. Basti vedere come, negli ultimi anni, siano cambiate le abitudini alimentari e i processi di acquisto dei consumatori in risposta alle difficoltà economiche causate dalla crisi, alle crescenti patologie che portano ad avere un determinato stile alimentare e, più in generale, all’emergere di nuovi stili di vita.

In generale si è assistito ad una capacità da parte del consumatore di acquisire “competenza” alimentare su più livelli. Gli uomini e le donne che consumano, diventano tecnicamente più preparati e in grado di esprimere richieste al mondo della produzione e della distribuzione, con atteggiamenti “critici”, sino a convincersi di potersi porre allo stesso livello dei produttori e dei distributori. L’attenzione riguarda non solo “come” le merci possono soddisfare i bisogni, ma anche il processo di produzione, dove si esige sempre più di conoscerne i “retroscena”.

Evoluzione significa anche multicanalità negli acquisti, frequentazione di più formati- dagli iper ai super mercati, dagli hard ai soft discount, dai farmer’s market ai negozi di vicinato – che, di conseguenza, dà la possibilità di un maggior confronto tra qualità, prezzi e servizi.

Tra le tendenze in atto e che più marcatamente hanno influito sull’ alimentazione quotidiane senz’altro c’è una sorta di “medicallizzazione” del consumo di cibo con la crescente tendenza ad esprimere i valori nutrizionali in calorie. E’ solo una delle grandi tendenze che incidono sulla cucina contemporanea: ad essa si accompagna una marcata propensione alla destrutturazione del pasto che viene semplificato, si mangia fuori casa e, spesso, da soli e nei luoghi più diversi, senza seguire uno specifico insieme di norme rituali. Il boom del fast food, la produzione di massa, la diffusione delle monoporzioni, il cibo pronto, il cibo come commodity sono soltanto alcuni aspetti che si accompagnano ad una “risacralizzazione”, una rinnovata ritualizzazione dell’atto del consumo del cibo, il cibo di marca.

Dentro la dinamica evolutiva del consumo e degli stili di consumo alimentare la pandemia avrà un duplice impatto. In primo luogo una sorta di destrutturazione delle filiere lunghe con una circolazione rallentata di prodotto e di materia che si normalizzerà nel corso del tempo, ma che consentirà il riconoscimento del valore strategico dell’approvvigionamento alimentare nazionale.

Gli appelli a consumare italiano che arrivano da ogni parte si accompagnano a forme di sovranismo alimentare che possono avere sbocchi protezionisti o, come ci si augura, una ritrovata necessità di, se non piani produttivi nazionali, almeno politiche attive in grado di mettere in condizioni il nostro paese di recuperare parte della capacità produttiva persa in questi anni.

L’Italia è in grado di produrre appena l’80-85% del nostro fabbisogno alimentare, contro il 92% del 1991.

In neanche 20 anni abbiamo ridotto dal 7 al 12% la nostra sovranità alimentare. In questo senso un piano per recupero di terreni, la disponibilità per investimenti a giovani agricoltori è fondamentale.

L’altra grande questione è l’impatto sulla HO.RE.CA che la chiusura prima e le misure di distanziamento sociale poi, stanno producendo e produrranno su questo sbocco importante.

Ristoranti, bar, pizzerie, hotel, mense, servizi di catering: mai come ora hanno attraversato una fase così buia. Nell’attesa di capire quando e come riapriranno, le soluzioni messe in campo, come il delivery e l’asporto, per affrontare il calo vertiginoso di attività rappresentano solo una risposta parziale. Se nelle città ciò può condurre ad una rimodulazione dei tempi e delle fasce del consumo dei pasti con un anticipo e un allungamento degli orari come avviene peraltro in altri paesi, fuori dalle città, anche in quelle aree che in questi anni hanno vissuto un attenzione crescente da parte di un turismo esperienziale, il rischio è la desertificazione di quelle opportunità commerciali e di sbocco per il prodotto nazionale.

Il circolo virtuoso turismo-enograstronomia-export rischia di spezzarsi con danni significativi per quelle produzioni tradizionali di qualità, per le produzioni DOP e IGP che con i territori di provenienza hanno innescato economie importanti. Da questo punto di vista sono da considerare e guardare con attenzione quei processi di digitalizzazione “esperienziali” in grado di trasferire informazioni, dati e “esperienze” a consumatori interessati a conoscere anche a distanza eccellenze e tradizioni enogastronomiche.

E’da valutare con attenzione la crescita della competenza digitale dei consumatori la cui combinazione nell’uso di smartphones e social media sta modificando i modelli di consumo e le tradizionali modalità del processo decisionale prima dell’acquisto. Forse più dei grandi players dell’e-commerce che rischiano di presentare in modo impersonale i prodotti, per quel tipo di produzioni è più utile pensare a piattaforme con forte capacità di comunicare identità e distintività.

In estrema sintesi, da queste primissime e insufficienti osservazioni lo scenario che si sta già profilando sotto i nostri occhi ha da una parte accellerato processi già in corso e dall’altro porterà a trasformazioni economiche, sociali ed antropologiche non irrilevanti.

Massimo Fiorio




L’EDITORIALE DI POGGIANTI: TRA L’AMERICA DI TRUMP, LA RUSSIA DI PUTIN E LA CAROTA DELLA CINA SEMBRA CHE L’UE ABBIA FINALMENTE IMBOCCATO STRADA DELLA SOLIDARIETÀ. (DICO SEMBRA)

Sembra (dico sembra) che l’Europa abbia finalmente imboccato la via della solidarietà che d’altronde altro non è che la ragione della sua esistenza, la condicio sine qua non del nostro stare insieme.

Sembra (dico sembra) che la riunione di ieri, 23 aprile, fra i capi di stato e di governo – che tutti, alla vigilia davano per scontato sarebbe stata “interlocutoria” e cioè sostanzialmente inutile – si sia invece rivelata fruttuosa.

In quel consesso, insomma, avrebbe finalmente prevalso la consapevolezza, che l’Europa o si salva tutta insieme o non si salva. Che il sogno europeo, al di là della retorica, ha un senso solo se si concretizza in un patto solidale, in un impegno comune, in una visione complessiva capace di comporre gli egoismi nazionali. Che i sovranismi non si battono con la propaganda, ma con atti concreti e conseguenti.

La tragedia del coronavirus è un banco di prova: qui e ora si “parrà” la nostra “nobilitate”.

A patto che alle enunciazioni di principio seguano i fatti, perché – come ha ribadito il presidente Conte – le risorse del Recovery Fund sono urgent and needed. Urgenti e necessarie. Che i soldi devono essere trovati alla svelta e alla svelta devono essere impiegati. E spesi bene.

Contro l’Europa si concentrano forze potenti: un’Europa forte e capace di scelte autonome è un ostacolo ai loro progetti egemonici.

La Russia di Putin e l’America di Trump non nascondono la loro avversione a questo terzo incomodo. La Cina, almeno in questa fase, sembra invece aver scelto la tattica della carota, mentre sotto sotto lavora ad accaparrarsi settori strategici dell’economia del continente.

E ai “nemici” esterni si sommano, insidiosi, i populismi e i sovranismi.

Contro questi non servono le scomuniche. Serve invece un’Europa efficiente e attiva che, finalmente, faccia il suo mestiere.

Franco Poggianti




IMMUNI, LE BATTUTE DI RAZZANTE: LA LINEA SOTTILE CHE DIVIDE SICUREZZA DA PRIVACY. CYBERSECURITY COESSENZIALE NELLA TENUTA DEMOCRATICA

La sicurezza della Repubblica non è in pericolo, ma va presidiata.

Mi pare questo il senso delle Raccomandazioni al Governo che sono arrivate dal Copasir e dal suo Presidente a più riprese, ma ieri e oggi in particolare.

La stipula del contratto con la società Bending Spoons, annunciata dal Ministro della Salute, per la fornitura dell’app “Immuni”, è giustamente finita sotto l’attenzione del Comitato Parlamentare sulla Sicurezza della Repubblica (Copasir), nient’affatto per preclusioni ideologiche. È bene infatti ricordare che il Copasir ha competenza naturale su tutto ciò che il Governo dovesse acquisire e conoscere, e che possa in qualsiasi misura avere impatto sulle cc.dd. “infrastrutture critiche” del nostro Paese, siano esse situate in Italia che anche all’estero.

È un atto dovuto, quindi, che il Presidente Volpi ne abbia chiesto contezza al Governo, non un capriccio (come da qualcuno paventato). In un periodo in cui la sicurezza di qualsiasi dato che riguardi i cittadini e le nostre Istituzioni diviene centrale per il corretto funzionamento del sistema economico, colpito in maniera inusuale da fatti imprevisti, si deve prestare una pedante attenzione ai profili di rischio di reati informatici, attacchi e hackeraggi ai siti strategici, trattamento e utilizzo illecito (la casitica ne è piena) di dati personali dei cittadini. È forse il caso di precisare che tra la privacy e la sicurezza esiste una differenza fondamentale. La prima, infatti, riguarda ciascuno di noi come individuo, ed è puntualmente regolamentata e seguita dall’Autorità Garante. Per esemplificare, essendo previsto il consenso – come sembra – all’utilizzo dei dati di questa nuova App da parte dei cittadini risultati positivi al test del Coronavirus, non è detto che gli stessi dati, nelle mani sbagliate, possano essere fraudolentemente utilizzati. E qui subentra il profilo della sicurezza, che riguarda invece tutti i cittadini, in quanto facenti parte di una comunità e di una nazione, con interessi collettivi che debbono essere garantiti dalle Autorità competenti. Anzi, pur essendo il dibattito storicamente aperto, resto personalmente convinto che la privacy possa essere derogata per esigenze di sicurezza, ovviamente tassativamente previste non solo da norme ad hoc, ma dalle Autorità di governo e parlamentari, come in questo caso. Il periodo emblematico in cui questi due diritti (privacy e security) si sono “scontrati” è stato quello del terrorismo internazionale, laddove tutti noi abbiamo giustamente subìto una compressione della nostra riservatezza per la tutela della sicurezza mondiale (significativo l’esempio dei controlli su viaggiatori e pubblici eventi). Venendo adesso alla questione delle app, mi sia permesso di affermare che in questo specifico caso, ma anche negli altri in cui si prevedano effetti di “data tracing”, il parere di organi come il Copasir e dei nostri Servizi di sicurezza vada acquisito in maniera preventiva. In questo frangente e, in tutti gli altri a venire, non ho dubbi sulla bontà dell’iniziativa del Presidente Volpi (o di chiunque ricopra il suo ruolo) di audire membri del Governo, o loro delegati, per appurare gli impatti effettivi delle scelte che riguardino tutte le infrastrutture, soprattutto informatiche, del nostro Paese. Non si dimentichino gli approfondimenti già fatti sulla tecnologia 5G, laddove il Copasir stesso, nella relazione al Parlamento inviata lo scorso marzo, affermava, tra l’altro, che “la possibilità di limitare i rischi anche attraverso provvedimenti nei confronti di operatori i cui legami, più o meno indiretti, con gli organi di governo del loro Paese appaiono evidenti” era da ritenersi doverosa.

Gli eventi occorsi a Torino appena ieri (come abbiamo anticipato su questa testata non molti giorni fa, paventando il rischio di atti di terrorismo), organizzati in pochi minuti con richiami sui social, devono, a mio giudizio, confermare la netta prevalenza della sicurezza sulla riservatezza. Sarebbe sempre opportuno, specie in questo periodo, il controllo massivo – peraltro la nostra intelligence e le Forze di polizia lo sanno fare benissimo – di siti web e social che manifestino anche minime intenzioni bellicose, sia individuali che associative.

A quanto pare la politica ha ancora necessità di ricordare che la cybersecurity è ormai coessenziale alla tenuta democratica del nostro Paese, senza deroghe incontrollate da parte di nessuno.

Ranieri Razzante

Direttore Centro Ricerca sulla Sicurezza e il Terrorismo




LE BATTUTE, SPERANDIO: ITALIA POVERA MA ITALIANI RICCHI. UE CI INVIDIA I CONTI CORRENTI E LE PROPRIETA?

DARE SICUREZZA E FIDUCIA ALLE PERSONE

LA FASE 2

Per capire come il lavoro fatto fin qui sia solo discreto, basta vedere oltre i confini di casa nostra, le misure che gli altri paesi, alle prese con gli stessi problemi, hanno attuato. E se lo facciamo scopriamo che in Francia è stato previsto un aiuto da 1500 euro per gli autonomi (partite Iva e piccole imprese) che hanno perso almeno il 70 per cento dei ricavi. In Germania 9000 euro da dividere in tre mesi per autonomi e piccole imprese fino a 5 dipendenti, 15mila euro per imprese tra 5 e 10 dipendenti. Negli Stati Uniti 1200 dollari a chi guadagna meno di 99mila dollari l’anno e 500 euro per ogni figlio a carico.

UN DEBITO ALTO MA SOSTENIBILE

IL NODO

POCHI SOLDI TROPPA BUROCRAZIA

IL PESO DELLA BUROCRAZIA

E tutto questo senza accennare alla burocrazia, che pure rischia di vanificare il rilancio: per le richieste sopra 25 mila euro la strada è in salita. È prevista infatti una valutazione dei conti delle aziende, garanzie, business plan, da parte delle banche che, per quanto doverosa, fatalmente rallenta la corsa alla liquidità garantita parzialmente dallo Stato.

MANCA LA SOLIDARIETÀ EUROPEA

ANCHE MACRON DALLA NOSTRA PARTE: EVOCA LO SPETTRO POPULISTA

ECONOMIE INTERCONNESSE

E ALLORA COSA FARE?

Prima di tutto un bazooka monetario: il Fondo per la Ripresa proposto dalla Francia e sostenuto da una dozzina di governi, compreso quello italiano, come spiegava Bruno Le Maire, ministro dell’Economia e delle Finanze francese, a inizio aprile senza condizioni ma garantito da tutti i paesi europei quindi con bassi tassi di interesse e ampiamente sostenibile nel lungo periodo. Il fondo dovrebbe finanziare anche progetti legati alla transizione energetica, all’economia circolare e al digitale magari con un occhio al “taglio” delle catene di fornitura globali, per rendere l’Europa indipendente nella produzione di prodotti strategici come proposta dalla stessa Ursula von der Leyen.

Alessandro Sperandio

giornalista ed editoralista




CORONAVIRUS, RAZZANTE: DANNI ALLA SALUTE, ANCHE MOLTI REATI

Il coronavirus produce danni alla salute, ma anche molti reati.

Una “pandemia criminale” della quale avevo più volte parlato, anche dalle colonne di questa testata, nei giorni scorsi, seguito da molti altri commentatori, anche autorevolissimi.

Ora arriva la pubblicazione della nostra Unità antiriciclaggio, l’Uif, che si occupa – per chi non lo sapesse – della raccolta e analisi delle segnalazioni di operazioni sospette dal sistema bancario e degli intermediari finanziari, nonché dei liberi professionisti.

L’Autorità nomina – in un comunicato appena pubblicato sul suo sito istituzionale – circa 20 reati o situazioni di criticità tipiche del periodo, nel senso che – pur essendo già note al nostro legislatore penale e agli investigatori – si possono (talune già lo stanno facendo) porre come la deriva criminale del Covid19.

L’insinuazione della malavita organizzata viene qualificata, come è giusto farsi, nel mercato della salute (apparecchi, mascherine, centri analisi, appalti nelle Asl, contraffazione, frodi), aggiungendovi usura per i bisognosi, estorsioni, riciclaggio di capitali illeciti per acquisire aziende in difficoltà, ovvero investirli nel settore oggi più promettente.

Aggiungo: creare nuove realtà (o acquistandone di esistenti) pronte a investire, ed essenziali, nella ripresa (settore turistico, agroalimentare, distribuzione, ristorazione), magari sfruttando le provvidenze statali già inserite in alcuni provvedimenti del Governo.

La nostra Unità antiriciclaggio allerta perciò le banche sul controllo dei conti dei soggetti beneficiari di aiuti, che potrebbero ottenere le somme con certificazioni false o con artifici nelle procedure. Inoltre, attenzionarne gli utilizzi, per vedere se conformi alle esigenze. 

Da notare: l’apertura di un nuovo conto corrente, per capirci, ad una attività che beneficia dei contributi, può farlo alimentare, dopo l’investimento e l’auspicabile ripresa, con denaro da riciclare, che va ad ulteriormente finanziare l’attività, magari con l’ingresso di nuovi soci. Tipico è impiegare il denaro sporco nella fase di restituzione dei prestiti.

Qui subentra anche il ruolo dei liberi professionisti, che coadiuvano le imprese nell’assistenza contabile e nella predisposizione di procedure di cessione e acquisizione aziendale: anche essi, ricorda l’Uif, sono tenuti a segnalare operazioni sospette.

Senza dire dell’incremento dell’utilizzo dei canali on line sia per operazioni bancarie che di acquisti commerciali. Qui le truffe sono dietro l’angolo, i furti di identità, i virus con richieste di riscatto. Inoltre, le richieste di donazioni a soggetti non noti, o comunque con modalità insolite, laddove, ad esempio, si debbano dare troppe informazioni personali del donante.

Va ricordato, con la stessa Autorità, che ogni operazione presso intermediari, anche quelle per la concessione di fondi agevolati, prevede l’applicazione delle norme antiriciclaggio, prima fra tutte la cosiddetta “adeguata verifica”, ossia la dichiarazione del cliente sulla destinazione dei fondi e sull’attività svolta, nonché sull’assetto proprietario e sui dati di reddito e patrimonio.

Va tenuta alta la guardia, altrimenti i rimedi all’economia in dissesto diventano peggiori dei mali da curare.

Ranieri Razzante Professore di Legislazione antiriciclaggio nell’Università di Bologna

Direttore crstitaly.org