Massimo Gargano: l’olivicoltura italiana un triciclo…A due ruote

-3Ringrazio Agricolae per questa opportunità. Penso a questo contributo come ad una sorta di lista della spesa. Un elenco di desideri che vorrei si realizzino nel 2014 per l’olivicoltura di alta qualità tutta italiana. E’ un settore che è capace di appassionare ed emozionare ma nella realtà è un triciclo a ..due ruote. C’è passione e competenza da una parte; imprese serie e buona rappresentanza dall’altra. Manca però la terza ruota: la risposta forte delle istituzioni a tutti i livelli e la loro capacità di intendere questo settore come strategico per il Paese. Se non si corre ai ripari resterà solo il know how di aver insegnato a fare un ottimo prodotto e di aver costruito ottime macchine olearie perché siamo ancora i primi nel mondo a detenere il primato della conoscenza della tecnologia in questo settore. Nell’Europa del patto di stabilità e della riduzione dei deficit di bilancio ci deve essere spazio anche per lo sviluppo dei territori con leggi che non costano nulla al contribuente europeo – come la legge italiana sul salva olio made in Italy – ma l’Europa ha tempi lunghi di decisione che vanificano gli sforzi e ritardano la ripresa economica anche perché più vicina a certi poteri forti. Un esempio per tutti, valga l’ultima trovata del governo inglese dell’etichetta a semaforo. Bene i controlli per garantire una maggiore trasparenza del mercato e più informazioni corrette nei confronti dei consumatori, ma ritengo che i semafori a tavola appartengano alla cultura dei divieti. L’atteggiamento inglese finalizzato a garantire, con l’etichetta a semaforo sul proprio territorio, i consumatori in ordine alla salubrità di alcuni alimenti stride con l’intervento, alcuni mesi or sono, di far ritirare a livello comunitario le norma antirabbocco proprio per l’olio extra vergine di oliva. Bene, quindi, l’intervento del governo italiano in sede comunitaria perché la tavola non può essere solo quella dei divieti, ma quella dell’opportunità per le eccellenze, che vanno correttamente comunicate a tutti i consumatori. Gli inglesi non sanno cosa si perdono.

L’Extra vergine di oliva è l’unico grasso magro che fa bene alla salute. L’olivicoltura italiana conta su circa 800mila imprese in tutta Italia, oltre un milione di ettari coltivati, 5mila frantoi e più di 200 imprese industriali, una produzione media di circa 500 mila tonnellate che ha generato nello scorso hanno un fatturato di oltre 3,3miliardi di Euro (il 2,6% del fatturato industriale agroalimentare totale), senza contare il valore alla pianta del prodotto che sfiora mediamente ogni anno due miliardi di Euro. Se non dessimo valore al fatto che il nostro Paese è, ancora oggi, l’unica banca mondiale della biodiversità dell’olivicoltura, un patrimonio che va difeso perché è unico al mondo, finiremo per essere solo il Paese dei paradossi dove è possibile tutto e il contrario di tutto. Un altro esempio sono le acquisizioni dei marchi storici italiani da parte di multinazionali straniere; più che rilanciare il made in italy lo stanno svuotando perché utilizzano questi marchi italiani come taxi per far viaggiare nel mondo oli di oliva che possono fregiarsi del made in Italy solo nel nome e non nell’origine. Ecco perché l’Europa deve accelerare i suoi tempi di decisione e modificare la sua legislazione in materia di trasparenza avvicinandola alla nostra. Quella italiana è più avanzata e garantista nei confronti dei consumatori e tutela meglio gli interessi delle imprese serie e della buona rappresentanza che ha a cuore il futuro e lo sviluppo di questo Paese. Siamo la patria dei mille colori e dei mille sapori dell’olio extra vergine di oliva di alta qualità. Il nostro Paese è primo nel mondo per produzioni di alto pregio. I veri oli extra vergini di oliva “made in Italy” si distinguono sul mercato mondiale perché tutti legati a territori diversi che imprimono al prodotto un carattere distintivo unico ed irripetibile.

Una sorta di DNA che non è clonabile come ha già fatto su scala mondiale, per gli oli standard, un mercato poco attento al concetto della qualità. L’Italia è unica sull’eccellenza delle sue produzioni e per la sua storia di primati ha un futuro già segnato: quello dell’alta qualità certificata. Il vero made in Italy può competere solo con l’eccellenza delle sue produzioni e non con la politica dei bassi prezzi che brucia ricchezza e rende tutti più poveri. E qui un altro esempio. Il decreto sull’SQN il sistema di qualità nazionale. Un’altra delle telenovela nazionali. Un esempio della biodiversità italica, ma al contrario. Doveva essere un’occasione per mettere in competizione virtuosa i territori ed esaltare la loro distinzione sul piano dell’alta qualità. Si è invece trasformato in una competizione tra i vari livelli della burocrazia dello Stato. Uno dei pochi casi in cui gli interessi della filiera dell’olio coincidevano e avevano trovato un minimo comune denominatore sul piano di regole comuni e un testo condiviso e, invece? Da più di un anno si tesse la tela di Penelope. C’è chi fa accordi e raggiunge intese, ed altri disfano i risultati raggiunti. Qualcuno spieghi agli italiani perché un sistema di alta qualità non deve condividere un bollino che preveda le parole stesse: alta qualità. Valeva la pena impegnare tante energie per prepararsi a partorire un sistema di qualità nazionale per l’olio di oliva che non promuova l’alta qualità italiana. Se fossero confermate le ultime notizie che emergono a livello di Conferenza Stato Regioni, questo sistema non serve a chi produce alta qualità, così serve solo altri interessi estranei al mondo della buona rappresentanza del settore.

Questa è un tipo d’Italia che non ci piace che non aiuta le imprese a distinguersi sul mercato che decide di non decidere per non contrastare questo o quell’altro interesse; che ci vorrebbe tutti uguali in una mediocrità che alimenta solo il caos, invece di liberare verso l’alto la competizione virtuosa esaltando la distinzione e la ricerca della ricchezza, del reddito, degli investimenti. Mi piacerebbe anche che nel 2014 le Istituzioni tutelassero più a fondo la stessa figura dell’imprenditore agricolo attivo. Non solo inteso come semplice numero anagrafico cui fa riferimento un fascicolo aziendale; bensì soggetto economico attivo inserito in un progetto di crescita del Paese, che sviluppa economia, ricchezza per il territorio e l’indotto collegato. Ecco, mi piacerebbe che Governo, Parlamento italiano e tutte le istituzioni dell’Unione Europea considerino l’olivicoltura italiana un investimento a lunga scadenza. Una scommessa a basso rischio, che ti permette di incassare ogni anno una cedola e che al termine del suo percorso di crescita dell’investimento stesso ti lascia comunque un capitale certo e rivalutato dall’alta qualità certificata che è in grado di generare sviluppo e occupazione; reddito e ricchezza, tutela del paesaggio e dal rischio idrogeologico. Anche di questo ha bisogno il Paese.

Massimo Gargano

Presidente di Unaprol – Consorzio Olivicolo Italiano