PAC, COMEGNA: LA RIVOLUZIONE DELLA “RINAZIONALIZZAZIONE”. ALLE AUTORITA NAZIONALI LA RESPONSABILITA DI SPENDERE AL MEGLIO

Sul tavolo del negoziato europeo c’è una proposta di riforma della PAC che non soddisfa, ma è la migliore possibile, considerata la situazione. Il Commissario Hogan è politico capace, misurato e pragmatico ed è una persona che ispira fiducia e simpatia, con specifiche competenze in materia di agricoltura, a differenza di altri che sono completamente a digiuno delle dinamiche del settore.

Non poteva fare di più ed ha messo al centro del processo strategico decisionale gli Stati membri, con la speranza che possano mettere a terra le più efficaci scelte ed agire con un alto senso di responsabilità.

Diversi sono i condizionamenti con i quali i servizi comunitari di Bruxelles hanno dovuto confrontarsi.

La Commissione è marcata stretta dalle organizzazioni ambientaliste che sono i più attivi interlocutori nel presente ciclo di riforma ed hanno un’impressionante capacità di farsi ascoltare dai decisori politici e dall’opinione pubblica.

Un esempio che dovrebbe far riflettere, soprattutto le organizzazioni agricole, le quali oppongono una flebile resistenza, anche quando le ong del verde esagerano, è accaduto in provincia di Treviso nei giorni scorsi.

Un viticoltore ha ricevuto la visita dei vigili mentre irrorava la sua vigna. L’esterrefatto agricoltore ha avuto una reazione geniale che meriterebbe di essere premiata con uno speciale riconoscimento: per dimostrare che stava accingendosi ad una ordinaria attività agronomica, ha bevuto il liquido. Era semplice e pura acqua per l’irrigazione.

C’è poi da considerare il vincolo finanziario ed il mutamento nelle priorità politiche nei piani alti delle Istituzioni comunitarie. La Brexit crea un buco nel bilancio, è innegabile, ma la spesa agricola è l’unica voce a rimetterci in termini nominali, a valori costanti e come incidenza della rubrica sul totale (dal 38% si passa al 28% circa).

Dopo sessanta anni, l’agricoltura non è più in cima ai pensieri dell’Unione europea ed è stata scalzata da altre politiche, più inclini al disegno comunitario.

Entrando nello specifico dei meccanismi della PAC, si deve segnalare l’avversione nei confronti delle misure di mercato, quelle – per intendersi – che generano un effetto di stabilizzazione dei prezzi. C’era chi sperava nella possibilità vi fosse un’inversione di tendenza, rispetto al passato, ma è stato deluso. La PAC non torna indietro e sancisce anche per il post 2020 la filosofia dell’orientamento al mercato, benché le emergenze siano sempre più frequenti. In Italia ce ne sono diverse oggi in atto: filiera del Pecorino Romano, olio di oliva, agrumi, suini, pere, tanto per citare i casi di queste settimane. In Spagna stanno fronteggiando una drammatica crisi dell’olivicoltura, con prezzi per l’extra vergine a 2,5 euro per chilogrammo.

Un ultimo fattore che gioca un certo ruolo nel corrente ciclo di riforma PAC è la diffusa impopolarità del regime dei pagamenti diretti, sebbene rivesta una vitale importanza per la maggior parte delle aziende agricole professionali (per molte altre, invece, è una straordinaria occasione di rendita speculativa).

Partendo dalle spinte citate, il pacchetto di proposta di riforma presentato dalla Commissione e, sin qui, assecondato nei principi generali dalle altre due Istituzioni comunitarie, si basa su due fondamentali manovre. La prima è la modifica del regime dei pagamenti diretti, per renderlo selettivo, mirato ed in linea con le sensibilità in termini di sostenibilità ambientale. La seconda è la devoluzione delle responsabilità per le scelte in termini di tipologia di interventi ed allocazione delle risorse alle Autorità nazionali (new delivery model). In questo caso, è prevalsa l’idea che un impiego calibrato in funzione delle esigenze e dei fabbisogni che ci cono sul territorio, possa funzionare come rimedio alla diminuzione dei fondi disponibili.

Il nuovo regime dei pagamenti diretti sta andando verso il capping obbligatorio a 100.000 euro, l’applicazione del pagamento ridistributivo che sposta risorse dalle grandi alle piccole aziende agricole e una convergenza accelerata nel valore dei contributi per ettaro; oltre che verso il rafforzamento delle condizioni ambientali e climatiche da rispettare da parte dei beneficiari.

Le proposte fino ad oggi in discussione, dopo i primi interventi del Parlamento europeo e del Consiglio, sono tali che, per incassare importi elevati, non basta gestire grandi estensioni di superficie agraria e rimanere seduti nel salotto di casa, ma è necessario creare lavoro ed occupazione.

Inoltre, il censurabile fenomeno di avere in circolazione diritti all’aiuto di migliaia di euro per ettaro, utilizzati annualmente su terreni marginali ed improduttivi, ha le ore contate. La Commissione Ue propone che ogni Paese membro stabilisca un valore massimo in termini di importo unitario iniziale, da sottoporre poi alla convergenza.

Il trasferimento delle competenze dal centro (Bruxelles) verso il territorio (le capitali degli Stati membri) è il capitolo più rivoluzionario nell’ambito del processo di riforma. Molti lo temono o lo criticano perché è interpretato come un passo verso la ri-nazionalizzazione della PAC, processo peraltro iniziato con la riforma del 2003. Chi scrive lo giudica come una necessità ed un modo per costringere le Autorità nazionali (in Italia le Regioni ed il Mipaaft) ad assumersi alte responsabilità politiche e spendere meglio ed in modo più mirato le risorse pubbliche disponibili.

Il nuovo modello esige siano riviste le modalità tramite le quali il processo di definizione della politica agraria in Italia è portato avanti. Servono una nuova architettura, nuove sedi di confronto delle istanze nazionali e regionali ed un diverso approccio nel compiere le scelte. La logica sin qui prevalente di accontentare tutte le istanze non potrà più essere perseguita, pena l’ulteriore impoverimento in termini di risultati raggiunti.

 

Ermanno Comegna