Pac troppo ‘green’ va in violazione del Trattato Ue: reddito agricoltori, stabilizzazione mercati e cibo per tutti

In questi giorni, il dibattito sulla riforma PAC post 2020 ha fatto emergere una contrapposizione tra due diverse visioni. Da una parte c’è quella che tende a sostenere il settore agricolo, tenendo conto dei vincoli ambientali e della necessità di migliorare le prestazioni in questo campo. Dall’altra c’è la visione che enfatizza il ruolo della sostenibilità, delle biodiversità e della lotta al cambiamento climatico, mettendo in secondo piano la necessità di assicurare un livello adeguato di produzione di alimenti di base e di garantire un reddito equo a favore delle imprese.

Mai come nell’attuale ciclo di riforma della PAC, le aspirazioni degli ambientalisti hanno avuto un rilievo così importante come sta accadendo in questi mesi. In passato, l’enfasi era centrata soprattutto sulla necessità di salvaguardare il reddito degli agricoltori, tenuto conto dei vincoli internazionali e di una diffusa ma non prevalente sensibilità ambientale.

Oggi, tali temi hanno conquistato la ribalta, non solo per la volontà politica dell’Unione europea, fermamente orientata ad applicare l’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite e la collegata strategia del Green Deal, ma anche per un attivismo ed una capacità di analisi, di proposte e di lobbying portate avanti dalle organizzazioni ambientaliste europee, in modo qualificato e determinato.

Sotto tale profilo, durante l’attuale ciclo di riforma della PAC, c’è stato un salto di qualità e le istanze del mondo ambientalista sono diventate decisamente più pressanti, con una maggiore capacità di incidere sulle scelte politiche, come è avvenuto, ad esempio, la scorsa primavera, quando la Commissione europea voleva rimandare la pubblicazione delle comunicazioni del Farm to Fork e della Strategia sulla Biodiversità, ma è stata costretta a desistere, anche per effetto delle proteste del mondo ambientalista.

Un’altra dimostrazione di efficacia è arrivata a fine ottobre, quando molte ONG hanno rivolto feroci critiche all’operato del Consiglio dei ministri AGRIFISH e del Parlamento europeo che avevano appena finalizzato la posizione comune sulla riforma, suscitando reazioni spaventate ed intimorite da parte di molti politici. È stata formulata l’esplicita accusa di annacquamento delle iniziali proposte della Commissione e di impiego della pratica del “green washing” e cioè la spruzzatina di verde sui soliti vituperati strumenti della PAC.

Sicuramente i prossimi mesi saranno cruciali per arrivare ad un compromesso politico tra le tre Istituzioni comunitarie, ed in tale contesto le istanze ambientaliste saranno portate avanti senza alcun indietreggiamento, per cercare di orientare le decisioni finali verso una politica agricola capace di assicurare prestazioni ambientali concrete e misurabili.

Il problema è che le proposte formulate dagli ambientalisti sono dirompenti, perché prefigurano il completo smantellamento della PAC, per essere sostituta con una politica del tutto incentrata sulle prestazioni ecologiche, piuttosto che sulla regolazione dei mercati agricoli e sulla stabilizzazione del reddito dei produttori.

È evidente che un esito di questo genere non può essere preso in considerazione per diverse solide e pragmatiche ragioni, prima fra tutte la necessità per l’Unione europea di poter contare su un sistema agricolo diffuso sul territorio, efficace, efficiente ed in grado di soddisfare ad un livello elevato la domanda interna e internazionale, rispondendo alla domanda di economicità, salubrità e qualità dei consumatori. Se così non fosse, non ci sarebbe alternativa alla importazione di materie prime, semilavorati e prodotti finiti dal resto del mondo, con la conseguenza di esportare esternalità ambientali negative e di generare disequilibri sul mercato globale degli alimenti, con un impatto che verosimilmente sarà maggiore nei paesi poveri.

La soluzione è quella implicitamente presente nelle proposte di riforma PAC sotto esame che sono orientate verso il principio della intensificazione sostenibile. Utilizzando l’innovazione tecnologica, la ricerca scientifica, la circolazione delle conoscenze.

Del resto, la PAC post 2020 non può essere formulata in contrasto con le finalità che il Trattato dell’Unione europea attribuisce a tale politica, che sono: l’incremento della produttività dell’agricoltura, l’equo tenore di vita degli operatori, la stabilizzazione dei mercati, la sicurezza degli approvvigionamenti e la disponibilità dei prodotti a prezzi ragionevoli per i consumatori (art. 39 TFUE).

È evidente che tali obiettivi devono essere perseguiti tenendo conto della fondamentale esigenza della sostenibilità ambientale ed è quella che il legislatore europeo si accinge a garantire con le proposte in via di discussione.

Non bisogna sottovalutare la portata innovativa della riforma che le Istituzioni comunitarie stanno allestendo su tale specifico fronte. È innegabile che ci sarà un innalzamento dei requisiti ambientali e le imprese agricole saranno obbligate a modificare i loro metodi produttivi, attuando adattamenti anche consistenti, in particolare a carico dei modelli di agricoltura specializzata ed intensiva.

Uno dei capisaldi della PAC post 2020 sarà la condizionalità rafforzata che, ai requisiti minimi necessari per l’accesso ai contributi pubblici oggi previsti, aggiunge quelli attualmente annoverati nell’ambito del greening (aree ecologiche, rotazione delle colture e mantenimento dei prati permanenti).

Di conseguenza, obblighi di natura ambientale che oggi sono oggetto di remunerazione da parte dell’Unione europea, diventeranno in futuro condizioni di base che l’impresa agricola deve necessariamente soddisfare senza alcuna contropartita.

A ciò si aggiunge l’imperativo per gli Stati membri di attivare il regime ecologico (eco-scheme), con l’applicazione a livello aziendale di pratiche benefiche per il clima e l’ambiente che verosimilmente saranno incentrate su quattro aree di intervento: l’agro-forestazione, l’agro-ecologia, l’agricoltura di precisione e la riduzione delle emissioni in atmosfera (si veda il documento di lavoro sulle relazioni tra Green Deal e PAC del 20 maggio 2020).

Non deve sfuggire come la proposta iniziale della Commissione non preveda alcuno stanziamento minimo per il regime ecologico, mentre i ministri agricoli propongono che almeno il 20% dello stanziamento annuale per i pagamenti diretti (700 milioni di euro per l’Italia) sia riservato a tale fine ed il Parlamento europeo rilancia con una percentuale di almeno il 30%. Quest’ultimo ha anche approvato un emendamento in base al quale le aziende agricole sono tenute a destinare non meno del 10% dei propri terreni ad elementi caratteristici del paesaggio ed interventi a favore della biodiversità. Tutto ciò significa che per intercettare una quota cospicua dei pagamenti diretti della PAC post 2020, le imprese agricole saranno chiamate a sostenere maggiori costi o conseguire minori ricavi.

Ci sono altri esempi che potrebbero essere considerati, per dimostrare la maggior ambizione ambientale della riforma in corso ed i relativi impatti economici. Ci sarà occasione per tornare sull’argomento, al momento è importante attirare l’attenzione su tre questioni conclusive.

In primo luogo, a differenza di quello che pensano le organizzazioni ambientaliste, la PAC post 2020 è seriamente e fortemente orientata ad aumentare le prestazioni ecologiche dell’agricoltura europea, con un passo in avanti verso tale direzione che non si è mai constatato nei precedenti cicli di riforma.

Le richieste di tali organizzazioni ignorano l’esigenza fondamentale di mantenere un livello adeguato di vitalità e di capacità produttiva del nostro sistema agricolo che, spesso lo si dimentica, riveste il fondamentale ruolo di tenere pieni gli scaffali dei punti di vendita, dove tutti quotidianamente si riforniscono e guai se tale prestazione non dovesse essere più assicurata con gli standard di oggi, per effetto di un miope cambio di rotta politica.

Infine il ciclo di riforma in corso implica un indebolimento della PAC, non solo dal punto di vista delle risorse finanziarie disponibili e del viraggio verso le questioni ambientali e della sostenibilità, ma pure in termini di “cassetta degli attrezzi” da utilizzare per sostenere e favorire lo sviluppo del sistema agricolo europeo e per scongiurare situazioni di crisi e squilibri di mercato.

 

Ermanno Comegna