RAZZANTE: L’ANTIDOTO AL CORONAVIRUS? LA SEMPLIFICAZIONE. I TECNICI SERVONO PER SEMPLIFICARE NON PER BUROCRATIZZARE EMERGENZA

Tante altre declinazioni e significati del termine “sicurezza”, che possiamo immaginare (infrastrutture, informatica, cybernetica, geopolitica, monetaria, ecc.), porterebbero con sé, inesorabilmente (e quasi banalmente), liste corpose di “rischi” da mitigare, dato che gli azzerabili, per definizione, non esistono.

L’emergenza Covid rappresenta uno dei più grossi rischi per la salute e la sicurezza mondiali, ma il “mondo” non era (è) pronto.

Mi interessa qui parlare di “rischiosità virologica”, ma – soprattutto – di rischiosità “burocratica”. Quest’ultima tipologia, tipica dell’Italia e, in verità, della Ue come istituzione, rischia di produrre l’effetto avvitamento post coronavirus (noi ci stiamo riuscendo anche in costanza di emergenza). Con una minaccia alla sicurezza nazionale di momento non inferiore, lasciando imprescindibile ed imparagonabile per definizione il rischio salute, sul quale qui non torno, non avendone ad evidenza le competenze.

Del rischio burocratico dobbiamo invece parlare, in termini parimenti allarmistici, poiché anch’esso palesa di diventare “pandemia”, avendo l’Italia raggiunto un livello di esposizione ai massimi storici.

Se un carico di mascherine non si può “sdoganare”, o un intervento diretto con fondi dello Stato non si può ottenere, in poche ore, in deroga a qualsiasi legge di bilancio, ma soprattutto “sospendendo” le garanzie previste (e non esaustive ab origine) delle norme sugli appalti, il paese è a rischio. Non ne è immune l’Europa, non servono sovranisti o europeisti a difenderla o condannarla.

I tecnici, come chi scrive, servono a trovare soluzioni, non a creare problemi. Speriamo qualcuno lo comprenda, visto che tanti sono i cervelli italiani da coinvolgere, con benemerita immediatezza (e solo per curriculum, possibilmente), ora e dopo la pandemia, per evitare (rettifico, contenere) il nuovo “pil-virus”, o “economa-virus”, che già è previsto arriverà, quindi i ritardi (colpevoli per il Covid), non sarebbero scusabili – a mo’ di reato, stavolta – per i rischi finanziari ed economici.

E questi ultimi, si badi bene, non sono stati evidenziati solo dagli esperti di settore, e, su tutti, dal (sempre lucido ed ammirevole) prof. Draghi. Non colpisce proprio nessuno che li abbiamo avanzati i nostri Servizi di sicurezza, attraverso l’Organismo parlamentare di controllo, il più noto Copasir?

La competitività degli altri Paesi Ue, ma soprattutto della Cina, dal punto di vista della “sicurezza burocratica”, come la chiamerò da ora in poi, non trova paragoni con la nostra. Anche perché ha le risorse finanziarie per farlo.

E con i passaggi che una pratica di finanziamento comunitario o interno, visto che ora se ne dovranno fare tantissimi (all’industria come ai privati), deve subire in Italia, pensiamo davvero di saper gestire un’emergenza? L’alea del rischio burocratico, cui sono immediatamente connessi il rischio corruzione e quello di infiltrazioni mafiose nel sistema, già sufficientemente penetrato, della pubblica amministrazione e del mercato globalizzato, non è assicurabile (per usare un linguaggio tecnico-civilistico).

L’antidoto a questo virus? La semplificazione, da decenni paventata e mai attuata, e una robusta iniezione di liquidità, con obbligo alle banche (che sennò si rimettono a cincischiare con duemila moduli e interrogatori a chi chiede denaro, derogando alla pur dovuta valutazione di merito creditizio, non lo dimentico certo) di erogare – se c’è la garanzia dello Stato – in massimo due giorni. Un’impresa in difficoltà, e un cittadino che non mangia ma ha una casa, non devono aspettare un mese per avere un modesto finanziamento, che servirà per il sostentamento familiare e per ripartire. Questo denaro rientrerà in circolo, virtuosamente, attraverso la spesa privata e i consumi, partendo dalla prima necessità, e trasferendosi poi anche al voluttuario, perché avremo tutti bisogno di serenità e svago per dimenticare (anzi accantonare) questo brutto momento.

Il coronavirus ci riporta all’agricoltura, alla pesca, al florovivaistico, al turismo.

Un salto culturale all’indietro? Non credo. Semmai, ne serve uno in avanti.

L’economia si è troppo attaccata alla finanza, negli ultimi anni, a danno di quella reale, che ha palesato segni di “trascuratezza” da parte dei governi e della Ue.

Si dà per scontato, l’agroalimentare: si dovrà pur mangiare, e i consumi saranno almeno costanti nel tempo, quando non in crescita. Non sono possibili flessioni, né crisi.

D’altronde, nessun virus o evento straordinario possono fermare la produzione e l’approvvigionamento. Giri di vite non ce ne sono. E ciò deve far riflettere, anche se sembra assodato.

Saranno i settori, quelli che ho sopra citato, a debellare – se opportunamente trattati – il “mercato-virus”. E poi, in associazione, gli investimenti in ricerca e tecnologia.

La impreparazione ai rischi “sistemici”, che questa infezione ci riporta alla ribalta, non può più essere sottovalutata; da domani, non fra decenni.

 

Ranieri Razzante

Direttore Centro Ricerca Sicurezza e Terrorismo