Bolkestein, così furono svendute imprese italiane come si fece con il latte e l’acciaio. Francia anticipò i tempi per blindare sue spiagge. Ecco le decret plage

Bolkestein? L’Italia, famosa in tutto il mondo per i suoi 7500 chilometri circa di coste naturali ad alta qualità turistica, si trova da anni a fare i conti con la Direttiva che viene dall’Olanda con la quale si vogliono mettere in gioco tutte le concessioni demaniali in mano agli imprenditori che nel tempo hanno investito in strutture e servizi.

Le concessioni per l’occupazione delle spiagge italiane ai balneari non possono infatti – secondo la Direttiva Ue – essere rinnovate automaticamente, ma devono essere oggetto di una procedura di selezione imparziale e trasparente tra diversi candidati. Una via confermata tre settimane fa anche dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, nell’ambito del ricorso presentato dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm) contro una delibera del comune di Ginosa, in Puglia, che nel 2020 aveva autorizzato la proroga automatica delle concessioni.

In base alla direttiva, le licenze, che sono proprietà dello Stato, devono essere concesse in base a una procedura di selezione tra i candidati potenziali, quando le autorizzazioni disponibili sono limitate per via della scarsità di risorse naturali, come il numero di chilometri di coste e il diritto a mantenere alcune spiagge libere al pubblico.

Le autorizzazioni devono poi essere rilasciate per una durata limitata e non possono prevedere un rinnovo automatico, ma devono ogni volta sottostare a nuove gare, in modo tale da tutelare la libera concorrenza nel mercato.

La direttiva dell’Unione Europea 2006/123/CE, conosciuta come Direttiva Bolkestein, nasce a febbraio del 2004 quando fu presentata dalla Commissione europea quando Romani Prodi ne era ancora presidente (il suo mandato finì pochi mesi dopo, a novembre dello stesso anno) e fu approvata da Parlamento Ue il 26, dieci giorni dopo che lo stesso Prodi era diventato presidente del Consiglio.

Venne così detta da Frits Bolkestein, commissario europeo per il mercato interno della Commissione Prodi, in quanto ha curato e sostenuto questa direttiva.

La direttiva – passato in Parlamento Ue il 27 febbraio del 2006 – è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea (L 376) il 27 dicembre 2006, la Francia – anticipando i tempi – corse a pubblicare – il 26 maggio dello stesso anno, il suo Decret Plage.

https://www.legifrance.gouv.fr/loda/id/LEGITEXT000006053761

Mentre l’Italia combatte a muso duro con l’Ue perché le coste, bene strategico di ogni Paese dal punto di vista politico ed economico, la Francia nel 2016 mette le mani avanti e ‘blinda’ le sue spiagge.

Con il Decret Plage del 2016 infatti, in buona sostanza i cugini d’Oltralpe vogliono anticipare quanto chiesto da Bruxelles in merito alla libera concorrenza e alla trasparenza dei bandi, ma in realtà – si legge nel testo – rimettono tutto nelle mani del Prefetto.

E’ vero che il Decret ha portato alla chiusura di un paio di storici stabilimenti, ma è come dire all’Europa che ha ragione per poi fare come gli pare.

Bisogna dire che la Francia – paese assieme all’Italia dalle coste a maggior valore aggiunto in Europa e nel mondo – mantiene il 70 per cento delle spiagge ad uso pubblico mentre il 30 per cento ad uso privato tramite concessioni demaniali.

Ma occorre anche precisare che se nel Nord della Francia le concessioni sono minime – a causa del clima rigido – al sud (da Nizza a Cap D’Antibes) la concentrazione è molto alta.

Il sistema si fonda, infatti, su una competenza rimessa ai Départements che, a livello regionale, adottano proprie tabelle relative a ciascun tipo di titolo abilitativo. Queste indicazioni possono, quindi, essere molto diverse da territorio a territorio e presentare delle differenze difficilmente giustificabili a parità di concessione. In più, spesso si assiste alla ratifica o reiterazione di canoni immutati da anni.

Gli Stati membri avrebbero dovuto recepire la Direttiva nei rispettivi ordinamenti nazionali entro il 28 dicembre 2009. La Commissione Europea (DG Mercato interno e servizi) ha pubblicato un manuale di attuazione della direttiva, destinato ai governi nazionali.

Mentre l’Italia ne contesta l’applicazione, la Francia di fatto la anticipa a livello nazionale ma rimanda tutto ai suoi prefetti.

Nel frattempo, le multinazionali del Nord, puntano alle spiagge Made in Italy attendendo che si liberino.

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D’altronde, sempre con Romano Prodi, il latte fu scambiato per l’acciaio. Facendo perdere all’Italia il latte prima e l’acciaio poi.

Era il 1984: Romano Prodi era a capo dell’Istituto per la Ricostruzione Industriale, Iri, e l’allora ministro dell’Agricoltura Pandolfi alle prese con l’istituzione del regime delle quote prese come anno di riferimento il 1983, un’annata particolarmente bassa a livello produttivo.

(Tanto che le promesse fatte dall’ex ministro ai produttori agricoli relative al fatto che non avrebbero mai pagato le sanzioni, portarono nel 1997 alla denuncia, assieme ai suoi successori al ministero, per presunti comportamenti omissivi in relazione alla mancata adozione delle sanzioni, ma pochi anni dopo venne assolto dalla Corte dei Conti).

Era invece il 1937 quando nasceva la Finsider, che rilevò gli impianti dell’Ilva, quelli di Genova-Cornigliano (Ansaldo) e quelli di Terni e di Piombino.

Nel secondo dopoguerra fu Oscar Sinigaglia a portare l’Ilva – assistita dallo Stato già dal 1911 – a Taranto. Obiettivo era: competere con l’Unione europea. Un sogno che si avverò per qualche anno con la produzione che aumentò del 200% per poi crollare negli anni 80 proprio per l’eccessiva capacità produtttiva e a causa della concorrenza di altri materiali.

I produttori di latte, negli stessi anni, si trovavano improvvisamente nell’impossibilità di poter produrre perché avrebbero ‘splafonato’ le quote loro assegnate. Si sono venute a creare tre ‘famiglie’ di allevatori: quelli che hanno continuato a produrre a fronte delle promesse dell’allora ministro competente; quelli che hanno rispettato le quote (pochi); e quelli che hanno comprato le quote da altri allevatori indebitandosi attraverso mutui bancari.

Tra l’ 82 e l’ 87 – sotto la gestione di Lorenzo Roasio e Sergio Magliola – la Finsider perdeva 7.500 miliardi e lo stabilimento di Bagnoli fu chiuso anche per ordine della Cee.

Finsider fu svenduta ad Ancelor Mittal dall’Iri di Romano Prodi e del suo assistente Massimo Tononi, presidente di Cassa Depositi e prestiti fino al 24 ottobre 2019.

Entrambi, sia Mittal che Tononi, erano legati alla Goldman Sachs. Il primo era nel Cda già dal 2008; il secondo ha fatto avanti e indietro tra incarichi nelle istituzioni italiane e la società finanziaria dove si occupava di acquisizione e fusione di aziende.

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Latte, ecco la bozza Mipaaf di protocollo di intesa per aumentare di 3 centesimi prezzo stalla. Riunione a data da destinarsi

Resta a data da destinarsi la prossima riunione di filiera del latte al Mipaaf per firmare un protocollo di intesa e trovare la quadra su un settore che soffre di una crisi strutturale ormai dai tempi in cui fu svenduto per l’acciaio.

Prima la riunione era stata convocata per il 5 ottobre, poi è stata sconvocata. Resta incerto l’aumento di tre centesimi a litro che la parte finale della filiera dovrebbe pagare alla parte centrale, per farla riversare poi a monte, ai produttori.

Un sistema farraginoso, secondo alcuni, poco attuabile in una filiera lunga e variegata se non mediante controlli capillari. Il rischio è che i tre centesimi si perdano prima di tornare ai produttori.

Un sistema efficace invece secondo altri, che potrebbe rappresentare la soluzione per una distribuzione più equa del reddito.

Qui di seguito AGRICOLAE pubblica la bozza di protocollo di intesa in PDF e a seguire in forma testuale:

PROTOCOLLO INTESA FILIERA LATTE

EMERGENZA LATTE – INTESA DI FILIERA PER LA SALVAGUARDIA DEGLI ALLEVAMENTI ITALIANI TRA MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI E ORGANIZZAZIONI AGRICOLE ASSOLATTE – GRANDE DISTRIBUZIONE

CONSIDERATO

– che nel 2021 si è registrata un aumento insostenibile dei costi di produzione per gli allevamenti nazionali, con un rincaro delle materie prime e dei foraggi, dal mais alla soia;

– necessario valorizzare la filiera lattiero casearia nazionale che esprime un valore di oltre 16 miliardi di euro, occupa oltre 100.000 persone e genera una ricaduta positiva in termini di coesione sociale in tanti territori del Paese;

– l’esito della riunione del Tavolo di filiera Latte tenutosi presso il Ministero delle politiche agricole il 30 settembre 2021 durante il quale è emersa la necessità di un intervento emergenziale a tutela del reddito degli allevatori;

LE PARTI CONVENGONO QUANTO SEGUE

1. Le imprese della Grande distribuzione si impegnano a valorizzare ed aumentare gli acquisti di latte alimentare 100% italiano, prodotti lattiero caseari freschi ed a media stagionatura da latte 100% italianoe Grana Padano Dop, riconoscendo dal mese di ottobre 2021 un premio “emergenza stalle” che viene pagato alle imprese di trasformazione di cui al punto 2, da riversare integralmente agli allevatori e pari a 3 centesimi al litro di latte utilizzato per la produzione di cui al presente punto.

2. Le imprese di trasformazione si impegnano a valorizzare il latte 100% italiano e a tutelare il reddito degli allevatori riconoscendo un aumento del prezzo pagato per litro che raggiunga almeno la soglia di prezzo indicativa di 0,41 euro per il latte conferito nella Regione Lombardia dal quale determinare le soglie di prezzi indicativi del latte conferito nelle altre Regioni d’Italia, senza diminuire il prezzo già riconosciuto. Tale prezzo è comprensivo del premio di cui al punto 1.

3. Le organizzazioni agricole si impegnano a valorizzare i prodotti lattiero caseari da latte 100% italiano attraverso iniziative di promozione rivolte ai consumatori e ai propri associati.

4. Il Ministero si impegna a tutelare la filiera lattiero casearia, anche attraverso attività di comunicazione e promozione rivolte ai consumatori e agli operatori.

5. Gli impegni di cui ai punti 1 e 2 sono assolti attraverso l’inserimento nella contrattualistica che regola i rapporti commerciali in essere attraverso la dicitura “Premio emergenza stalle” e per la durata dell’emergenza.

6. Le parti si impegnano a prevedere incontri regolari nel breve e lungo periodo del Tavolo di Filiera Latte presso il Mipaaf che viene istituzionalizzato in via permanente al fine di discutere e programmare le azioni sopra indicate da mettere in atto per il sostegno e lo sviluppo del settore lattiero caseario.

7. Le parti altresì si impegnano, a partire dalla occasione offerta dalla discussione della prossima legge di bilancio, ad individuare interventi volti al rafforzamento della redditività degli operatori della filiera e della tutela dei consumatori .

Era stato scritto:

Latte, rinviata riunione Mipaaf a data da destinarsi

Latte, nuova riunione al Mipaaf nel pomeriggio. Obiettivo: trovare la quadra e firmare protocollo intesa di filiera

Mipaaf: riunita la filiera lattiero-casearia, al centro dell’incontro prezzo del latte alla stalla e istituzionalizzazione del tavolo. I commenti

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Da quote latte all’Ilva, agricoltura sacrificata per l’acciaio. Paese ci ha rimesso miliardi e ora acciaio investe nel latte

Il latte e l’acciaio, due vicende parallele che raccontano di una storia italiana. Da quando Filippo Maria Pandolfi –  ministro dell’Agricoltura – scambiò il latte con l’acciaio nella trattativa con l’Unione Europea nell’anno di introduzione delle quote.

Era il 1984 e Pandolfi prese come anno di riferimento il 1983, un’annata particolarmente bassa a livello produttivo. Le promesse fatte dall’ex ministro ai produttori agricoli relative al fatto che non avrebbero mai pagato le sanzioni, hanno portato nel 1997 alla denuncia, assieme ai suoi successori al ministero, per presunti comportamenti omissivi in relazione alla mancata adozione delle sanzioni, ma pochi anni dopo venne assolto dalla Corte dei Conti.

Era invece il 1937 quando nasce la Finsider, che rileva gli impianti dell’Ilva, quelli di Genova-Cornigliano (Ansaldo) e quelli di Terni e di Piombino. Nel secondo dopoguerra fu Oscar Sinigaglia a portare l’Ilva – assistita dallo Stato già dal 1911 – a Taranto. Obiettivo era: competere con l’Unione europea. Un sogno che si avverò per qualche anno con la produzione che aumentò del 200% per poi crollare negli anni 80 proprio per l’eccessiva capacità produtttiva e a causa della concorrenza di altri materiali.

I produttori di latte, negli stessi anni, si trovavano improvvisamente nell’impossibilità di poter produrre perché avrebbero ‘splafonato’ le quote loro assegnate. Si sono venute a creare tre ‘famiglie’ di allevatori: quelli che hanno continuato a produrre a fronte delle promesse dell’allora ministro competente; quelli che hanno rispettato le quote (pochi); e quelli che hanno comprato le quote da altri allevatori indebitandosi attraverso mutui bancari.

Tra l’ 82 e l’ 87 – sotto la gestione di Lorenzo Roasio e Sergio Magliola – la Finsider perdeva 7.500 miliardi e lo stabilimento di Bagnoli fu chiuso anche per ordine della Cee. Finsider fu svenduta ad Ancelor Mittal dall’Iri di Romano Prodi e del suo assistente Massimo Tononi, presidente di Cassa Depositi e prestiti fino al 24 ottobre scorso. Cdp che probabilmente entrerà ora nell’affaire Arcelor Mittal-Ilva. Entrambi, sia Mittal che Tononi, sono legati alla Goldman Sachs. Il primo è nel Cda dal 2008; il secondo ha fatto avanti e indietro tra incarichi nelle istituzioni italiane e la società finanziaria dove si occupava di acquisizione e fusione di aziende.

Negli stessi anni le quote latte – di fatto un regime di contingentamento della produzione volto a regolare l’offerta – interveniva sulle decisioni degli imprenditori agricoli, disincentivando fortemente la produzione e gli investimenti oltre certi limiti.

Nel frattempo la Germania investiva sia sull’acciaio che sul latte.

L’Italia ha pagato quasi due miliardi di euro di sanzioni all’Unione europea per lo splafonamento delle quote latte (che deve farsi ridare dagli allevatori per non essere uleriormente multata per aiuto di Stato) e ha speso per l’Ilva – solo fra il 2013 e il 2018 – fra i 3 e i 4 miliardi di euro l’anno (circa due decimi di punto di ricchezza nazionale) che si vanno ad aggiungere ai 30 miliardi di perdita registrati già nel 1993.

Il comparto del latte è in difficoltà a causa della scarsa redditività e della mortificazione produttiva imposta per anni dall’Unione Europea. Ma soprattutto per l’effetto boomerang causato dalla fine – nel 2015 – del regime che ha portato all’improvviso a un calo del 12% del prezzo del latte e alla chiusura di circa 150 stalle all’anno. Chiudono le stalle, ma è il frutto di un naturale processo di concentrazione. Il settore resiste.

Il comparto dell’acciaio è al capolinea a causa del mancato adeguamento dello stabilimento Ilva e di anni di assistenza da parte dello Stato senza investimenti per un futuro.

Ma dopo che il latte fu dato in sacrificio all’acciaio senza investire però in quest’ultimo per renderlo competitivo e sostenibile, a resistere è ancora una volta il comparto Primario. La produzione italiana di latte non diminuisce e le importazioni non aumentano. Da anni il fenomeno più vistoso è l’aumento dell’export e l’Italia esporta prodotti di qualità verso mercati ricchi.

Esempio di come il Paese abbia saccheggiato l’agricoltura per l’industria. E nonostante questo, e nonostante errori su errori che non hanno consentito al comparto di investire, il Primario resta ‘primario’.

Proprio in questi giorni, da quanto apprende AGRICOLAE infatti, il Gruppo Arvedi, uno dei principali protagonisti del mercato europeo dell’acciaio (ex azionista anche del Corriere della Sera) sta massicciamente investendo nel settore della produzione di latte bovino e ha acquisito di recente grandi aziende zootecniche in provincia di Brescia e di Cremona.