Macfrut 2024 si è presentato in Nigeria

Si è conclusa la missione del Presidente Renzo Piraccini e Cecilia Marzocchi dell’ufficio estero, di presentazione di Macfrut agli operatori e alle organizzazioni in Nigeria, negli stati Lagos e Ogun. La missione è stata possibile grazie alla collaborazione dell’ufficio ICE Agenzia di Lagos diretto dal dott. Maurizio Ferri.

La Nigeria è il più popoloso Paese dell’Africa con oltre 200 milioni di abitanti e il settore agricolo rappresenta un terzo del suo Prodotto interno lordo. La filiera ortofrutticola necessità di molti interventi per migliorare produttività e volumi, dal momento che le quantità prodotte sono insufficienti a soddisfare la domanda interna, e si ricorre a rilevanti importazioni dai paesi limitrofi.

La Nigeria partecipa a Macfrut dallo scorso anno e in questa edizione (8-10 maggio 2024 Rimini Expo Centre) aumenterà notevolmente il numero delle imprese, oltre 30, insieme alla superficie espositiva (200 mq). Gli espositori sono principalmente produttori, ma anche importatori di tecnologie e mezzi tecnici per l’agricoltura.

“Macfrut, la cui formula si differenzia da tutte le altre fiera di settore – afferma Renzo Piraccini, Presidente di Macfrut – ha dimostrato di rispondere alle necessità dei Paesi in via di sviluppo, che cercano non solo di vendere alcune loro produzioni sui mercati internazionali, ma sono soprattutto interessati ad acquistare tecnologie e acquisire conoscenze tecniche. Il mercato più remunerativo per i loro prodotti ortofrutticoli è quello interno perché, soprattutto nella Grande distribuzione non c’è un’offerta adeguata alla domanda e i prezzi sono spesso superiori a quelli dei punti vendita in Europa”.

Oltre agli incontri e alle presentazioni con gli operatori, la missione è stata l’occasione per visitare il mercato ortofrutticolo di Lagos, sia all’ingrosso che al dettaglio, il più grande di tutto il west Africa. Oltre al mercato, diversi sono stati gli incontri e le visite presso numerose aziende agricole soprattutto a indirizzo orticolo (la frutticultura è quasi esclusivamente localizzata nel nord del paese), insieme alla Federal University of Nigeria.




Agricoltura. Ue impedisce di coltivare mentre Cina, Russia, India e Arabia puntano ad autosufficienza e stoccaggio. Niente guerre senza cibo

In una fase storica di forte incertezza sociale e geopolitica, dovuta prima al Covid e poi alla guerra russo-ucraina, l’approvvigionamento di cibo è divenuta questione centrale nelle agende politiche di tutti i governi. Il settore agricolo si è riscoperto comparto strategico per la sua capacità di sfamare le popolazioni e, in un mondo sempre più interconnesso, per la possibilità di affamarne altri. Dunque il cibo come risorsa e come arma, le cui dimostrazioni si sono avute nel corso degli ultimi anni con l’epidemia covid e con la strategia russa sul grano in grado di destabilizzare il commercio mondiale.

A dispetto dell’Europa e della strategia green della Pac verso una progressiva riduzione delle produzioni che – stando ai report della Wageningen University e del Dipartimento USA dell’Agricoltura avrebbe portato a un’inevitabile crescita della povertà e dell’insicurezza alimentare in tutto l’Occidente – alcuni Paesi sono andati esattamente nella direzione opposta con misure atte a garantire l’autosufficienza dei beni Primari. Russia, Cina e Arabia – che giocano un ruolo chiave nella geopolitica delle guerre in corso – hanno saputo maggiormente approfittare delle occasioni nate. 

Proteste agricoltori, Wageningen e USA avevano predetto: con Green Deal calo reddito e tensioni sociali in Ue con ‘effetto domino’ in tutto il mondo. I DOCUMENTI

La Cina rappresenta il più grande produttore al mondo di grano e nella recente Conferenza Centrale sul lavoro rurale svoltasi a Beijing è stato dichiarato come il paese del Dragone abbia raggiunto un nuovo record storico, con una produzione totale di 1390 miliardi di chilogrammi. Questo rappresenta un aumento di 17,76 miliardi di chilogrammi, pari all’1,3% rispetto all’anno precedente, con un andamento stabile a oltre 1.300 miliardi di chilogrammi per nove anni consecutivi.

A ciò si aggiungono le enormi capacità di stoccaggio del Dragone, in grado di modificare gli scenari del commercio globale, basti pensare che a gennaio 2022 (poco prima dello scoppio della guerra russo ucraina) la Cina possedeva il 69% delle riserve mondiali di mais, il 60% di quelle di riso e il 51% di grano. Scriveva il Corriere della Sera: “Entro il primo semestre 2022 il Paese del Dragone avrà comprato e stoccato il 60% del grano presente sui mercati mondiali. Il principale produttore al mondo, il caso vuole, è l’Ucraina che probabilmente ne è stato ignaro fornitore non immaginando quello che sarebbe accaduto solo pochi mesi dopo”.

Sull’altro fronte la Russia che detta le regole del commercio globale. Secondo i dati diffusi dal dipartimento Usa per l’agricoltura ha raggiunto un raccolto di grano record di oltre 92 milioni di tonnellate nel 2022-23, in aumento del 22%. In tal modo l’offerta totale di grano della Russia ha superato per la prima volta i 100,0 milioni di tonnellate. Si stima inoltre che la Russia esporterà 45,5 milioni di tonnellate nel 2022/23, riporta sempre lo Usda.

Qui il rapporto del Dipartimento USA dell’Agricoltura (Usda): 

Usda-Russia

Tra Cina e Russia si inserisce poi l’India che per il 2023/24 prevede nel grano la produzione record di 114 milioni di tonnellate, come ha fatto sapere il presidente della Food Corporation of India (FCI) Ashok K Meena, con il ministro dell’Unione Piyush Goyal che ha elogiato l’autosufficienza alimentare dell’India come un risultato straordinario. Una produzione in costante crescita, passata dai 107.7 milioni del 2021/22, ai 110.55 milioni di tonnellate del 2022/23 fino appunto agli attuali 114 milioni di tonnelate.

IL RUOLO DEI BRICS

Sarà importante ricordare che i tre maggiori produttori di grano (Cina, Russia, India), che puntano sulla sovranità e autosufficienza alimentare e che a dispetto delle criticità registrate negli ultimi anni hanno registrato numeri record nel settore agroalimentare, fanno parte dei BRICS, ossia del blocco delle economie mondiali “emergenti” (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) in ottica anti occidentale. Ed il ruolo dei BRICS rischia di divenire sempre più centrale in campo agroalimentare e geopolitico.

Se difatti mantenere il flusso di cereali ucraini rimane fondamentale per la sicurezza alimentare globale si capiscono le ragioni che hanno portato la Russia a ridurre drasticamente -con attacchi e strategie mirate- la produzione di grano ucraino ed a porre fine all’iniziativa sui cereali del Mar Nero. Dichiarava a luglio 2023 Josep Borrell, alto rappresentante per gli affari esteri: La Russia continua a utilizzare il cibo come arma. Ponendo fine agli accordi, la Russia è l’unica responsabile delle interruzioni delle forniture di cereali a livello mondiale e dell’inflazione dei prezzi alimentari a livello mondiale.”

Sullo sfondo l’allargamento a gennaio ad altri paesi: Egitto, Emirati Arabi, Etiopia e Iran. Con l’Arabia Saudita alle porte e in procinto di aderire, ma su cui pesano i rapporti con l’Iran (la TV di stato saudita aveva riferito all’inizio di gennaio -fa sapere Reuters- che il regno aveva aderito al blocco, per poi rimuovere le notizie dai suoi account sui social media in seguito). Ed è proprio in Arabia Saudita che continuano le politiche di approvvigionamento per fare “tesoro” dei beni Primari, in primis del grano (carboidrati) e di pollo (proteine) per garantire e aumentare l’autosufficienza e fornire i prodotti alimentari essenziali mirati.

Se la Pac 2023-2027 chiede agli agricoltori europei di ridurre le proprie produzioni, il New Dawn” 2023-2027  (nuova alba) del Regno Saudita è teso nella direzione di quella che viene chiamata in Arabia Saudita “Visione 2030” per garantire l’autosufficienza alimentare.

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Chiaro dunque che il blocco dei paesi Brics sia motivo di preoccupazione per le economie occidentali ed anche in questa ottica vanno interpretati gli sforzi italiani col piano Mattei e di un’Europa ancora troppo passiva in Africa, per non lasciare il continente africano in mano a russi, cinesi e sauditi. Ossia ai BRICS.

E la posta in palio è alta, non solo l’Africa rappresenta un enorme serbatoio di materie prime in grado di far fronte alle richieste green della sostenibilità ambientale, ma possiede anche il 60/65% delle terre arabili ancora non coltivate. Un potenziale enorme che garantirebbe maggiore sicurezza alimentare a livello globale. Ma oltre a materie prime, terre coltivabili e investimenti infrastrutturali l’Africa offre forza lavoro a basso costo.

L’Africa ha attualmente una popolazione di 1,3 miliardi di persone e per il 2100 dovrebbe crescere arrivando a 4,3 miliardi, oltre la metà dei 54 stati del continente vedrà la propria popolazione raddoppiata entro il 2050. Nello stesso anno si prevede che almeno il 25% della popolazione, cioè una persona su quattro, sarà africana. 

Altri dati fanno luce sul fenomeno.

Il 40% di tutti gli africani ad oggi sono bambini sotto i 14 anni. E se nel periodo 2020-2029 le madri africane metteranno al mondo 450 milioni di bambini, in quello 2040-2049 saranno addirittura 550 milioni. Quasi la metà di tutti i bambini nati nel mondo in quel decennio.

Piano Mattei soluzione a crisi globali: in Africa il 65% di terre non coltivate. Entro 70anni 8 su 10 vivranno in Africa e Asia

Nel 2022 la Cina si è confermato il primo partner commerciale del continente con 282 miliardi di dollari di interscambio, in aumento dell’11% rispetto al 2021. Proseguono intanto gli investimenti, dalle infrastrutture all’energia all’estrazione di terre rare. 

Vi è poi il ruolo giocato dalla Russia, non solo in ambito commerciale con investimenti nel settore energetico ad esempio, ma specialmente a livello di influenza esercitata sul continente. Anche e soprattutto in campo militare.

Sullo scenario africano si sta poi affacciando prepotentemente l’Arabia Saudita. Il Fondo saudita per lo sviluppo firmerà accordi del valore di 2 miliardi di riyal (533 milioni di dollari) con i Paesi africani, ha fatto sapere il ministro delle Finanze saudita Mohammed Al Jadaan durante la conferenza economica arabo-saudita-africana a Riad lo scorso novembre.

LE PROTESTE AGRICOLE IN EUROPA

Per tutti questi motivi sembra apparire, a quanto emerge oggi con le proteste dei trattori in strada, contro intuitiva, oltre che controproducente, la scelta dell’Ue di ridurre le sue produzioni agricole in un momento di forti tensioni geopolitiche che negli ultimi anni stanno ridisegnando le sfere di influenza globale. Il che significa tra l’altro demandare l’approvvigionamento di cibo a paesi terzi, con tutti i rischi derivanti, dalla sicurezza alimentare fino al rischio approvvigionamento in caso di interruzione dei flussi.

Per tale ragioni le proteste attualmente in corso, (che si consumano – almeno per ora – solo ed esclusivamente sul territorio comunitario) così come quelle dei mesi passati, in tutta Europa rischiano di spaccare un settore strategico per la sicurezza alimentare, economica e sociale delle nazioni. Il tutto a vantaggio di alcuni paesi, come appunto i BRICS e specialmente Cina, Russia o Arabia Saudita pronte ad approffitare dei passi falsi europei -tra inflazione e costi di produzione in costante aumento- e con meno remore dal punto di vista della sostenibilità ambientale. Ad oggi, così strutturata, più un fardello che una vera opportunità per l’Europa.

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Italia-Africa. Lollobrigida: lanciamo iniziative specifiche per sviluppo e formazione

“In qualità di presidente del G7 Agricoltura, l’Italia lancerà due iniziative specifiche rivolte all’Africa in materia di sviluppo del settore sementiero e per la formazione delle nuove generazioni. Si tratta di azioni rivolte ai giovani africani che operano nel settore agricolo e che vogliono accrescere la propria conoscenza attraverso percorsi formativi che li mettano in contatto con esperti internazionali e permettano loro di fare dei periodi di studio all’estero, in particolare qui in Italia”. Così il ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida, durante i lavori relativi al Vertice Italia – Africa, “Un ponte per una crescita comune”.

“L’Italia – ha sottolineato Lollobrigida – riconosce da sempre la centralità della formazione tanto in campo agricolo, così come per settori collegati al territorio, come la conservazione della biodiversità, le tecniche di rimboschimento, lo sviluppo di produzioni vivaistiche agricole e forestali. Si tratta di iniziative che, ad esempio, vengono svolte dai Carabinieri Forestali, che vantano una storica tradizione di eccellenza e che collaborano già con molti paesi africani per sviluppare la formazione in questo settore”.

“Mi auguro che questi impulsi possano riscuotere l’interesse dei diversi paesi africani per accelerare un processo di investimento non solo da parte del Governo ma anche delle nostre imprese, che desiderano investire insieme alle imprese africane nello sviluppo di un Continente che non vediamo come ‘altro’ da noi perché bisogna crescere insieme”.

“L’Italia per cultura, per vocazione darà il suo contributo a questo modello. Siamo certi che in quest’ottica potremo raggiungere obiettivi comuni”, ha concluso Lollobrigida.




Italia-Africa, Lollobrigida: Italia torna protagonista nel mediterraneo. Settore primario fondamentale

“L’Italia torna a ricoprire il suo ruolo naturale nel Mediterraneo: quello da protagonista.

Grazie al lavoro del Governo Meloni, il vertice di oggi segna una vera e propria svolta in cui l’agricoltura, la sicurezza alimentare, il cibo di qualità, quello nato dalla terra e dal lavoro e non in un laboratorio, saranno centrali per creare nuove sinergie tra l’Italia ed il continente africano.

Un cambio di passo importante per una crescita comune che garantisca indipendenza e ponga le basi perché si affermi il sacrosanto diritto a non emigrare.”

Così il ministro Masaf Francesco Lollobrigida su Twitter.




Piano Mattei, Calandrini (FdI): La sua importanza va ben oltre i fondi che pure verranno stanziati

“Il Piano Mattei per l’Africa potrà contare dall’inizio su oltre 5,5 miliardi di euro. Non è quindi una ‘scatola vuota’, come l’ha definito la sinistra. La sua importanza, però, non si ferma allo stanziamento dei fondi, ma è relativa al cambiamento nell’approccio della cooperazione con gli Stati africani. Cambiamento fortemente voluto da Giorgia Meloni e che ha l’obiettivo eliminare la logica predatoria e di sostituire ad essa la volontà di creare accordi di cooperazione mutuamente vantaggiosi. Un cambiamento che pone alla base della cooperazione il rispetto per i nostri interlocutori. Per raggiungere un obiettivo tanto ambizioso non basteranno 5 miliardi, sarà necessario l’impegno di tutta l’Europa. Per questo il presidente del Consiglio si è spesa per presentare il Piano all’estero dove è stato sempre apprezzato. Perché è necessario che l’Europa intervenga con decisione mediante progetti di cooperazione concreti. Questo è l’obiettivo che il governo si è posto per il benessere della nostra Nazione che passi per la crescita di tutti i Paesi coinvolti”.

 

Lo dichiara in una nota il senatore di Fratelli d’Italia Nicola Calandrini, presidente della 5a Commissione Bilancio.




Italia-Africa. Sottosegretario La Pietra: Futuro di tutti passa attraverso reciproco vantaggio

“Il futuro dell’Africa e dell’Europa non può passare attraverso l’elemosina dei Paesi ricchi, in cambio delle risorse africane. Finalmente cambia il paradigma nei rapporti con i Paesi africani e l’Italia, grazie all’impegno del Governo Meloni, traccia la via per creare un nuovo approccio al problema dell’immigrazione illegale e dello sviluppo economico. Dopo decenni di vacanza, ora in Italia c’è un Esecutivo che alla carità predatoria antepone l’interesse comune europeo ed africano. Il Piano Mattei, voluto dal Presidente Giorgia Meloni è la base da cui partire per disegnare insieme un futuro che non lasci più indietro nessuno a vantaggio di altri”.
E’ quanto dichiara il sottosegretario al Masaf, senatore Patrizio La Pietra.



Italia-Africa. Malan (FdI): è successo del governo Meloni destinato a incidere su politica internazionale

“Il vertice Italia-Africa, fortemente voluto dal presidente Giorgia Meloni per l’attuazione del piano Mattei, è un grande successo destinato ad incidere sulla politica europea ed internazionale da per i prossimi decenni. Mentre le opposizioni, una parte del mondo dell’informazione, carta stampa e programmi tv, continuano a rimestare sempre le solite accuse e finti scoop, il governo sta scrivendo un’importante pagina di storia della politica internazionale. Lo attestano le dichiarazioni dei vertici europei, di quelle delle istituzioni internazionali e degli stessi leader africani che, oltre a riconoscere il ruolo centrale della nostra Nazione, sottolineano la strategicità e la rilevanza del piano Mattei quale snodo principale nello sviluppo futuro dell’Africa, del bacino del Mediterraneo e più in generale dell’Europa. Non è sbagliato dire che dal vertice del 28 e 29 gennaio si traccia la rotta per un cambiamento profondo della politica internazionale, ed è un merito di Giorgia Meloni e del suo governo se l’Italia ne è il motore e l’artefice. Come è stato sottolineato in più passaggi dallo sviluppo dell’Africa dipende il futuro dell’economia europea e mondiale, e il Piano Mattei rappresenta lo strumento perché ciò accada, accantonando quella visione colonialista e predatoria che finora ha accompagnato il continente africano impedendogli di utilizzare le sue immense risorse. Finisce anche l’assenza  nel continente a noi più vicino da parte dell’Europa, che ha consentito a Cina e Russia di dilagare. Siamo sicuri che né i media orientati, né tantomeno le opposizioni, saranno in grado di cogliere quanto di storico sta avvenendo, ma come abbiamo sempre fatto Fratelli d’Italia andrà avanti secondo quell’impegno preso con gli elettori italiani di risollevare dopo decenni di marginalità la nostra Nazione”.
Lo dichiara il presidente dei senatori di Fratelli d’Italia, Lucio Malan.



De Priamo (FdI): piano Mattei, nuovo approccio su Africa motore per crescita anche europea

“Il cambio di passo nella gestione dei rapporti economici con il continente africano rappresenta una opportunità di sviluppo economico dei paesi africani con ricadute importanti su Europa. I nuovi investimenti e gli interventi strategici previsti nel Piano Mattei comporteranno una crescita strutturale delle economie del continente africano e, attraverso progetti su agricoltura, energia, istruzione e acqua, saranno uno strumento per non rendere la migrazione l’unica speranza di sopravvivenza per la popolazione locale. Oggi, con l’azione forte del Governo Meloni e un nuovo protagonismo internazionale dell’Italia, si pone una solida base per superare un approccio predatorio all’area africana per rilanciare una visione basata realmente su cooperazione e sviluppo”.

 

Lo dichiara il senatore di Fratelli d’Italia Andrea De Priamo.




Italia-Africa, da agricoltura ad acqua a biocarburanti. Settore primario al centro del Piano Mattei, ecco dove. GLI INTERVENTI: Meloni, Lollobrigida, Tajani, Salvini, Urso, Assoumani, Von der Leyen, Michel, Metsola, Aziz Akhannouch

“Il dialogo e la cooperazione Italia-Africa è strategico. L’obiettivo è dimostrare che siamo consapevoli che il destino dei due continenti è interconnesso e vogliamo una relazione paritaria, non predatoria ma nemmeno caritatevole che mal si concilia con le sue grandissime potenzialità di sviluppo.”

Così il presidente del Consiglio Giorgia Meloni nel corso del Vertice internazionale “Italia – Africa. Un ponte per una crescita comune” presso il Senato, in cui ha annunciato un investimento di oltre 5,5 mld per il piano Mattei. 

“L’Africa detiene il 30% delle risorse minerarie del mondo, il 60% delle terre coltivabili, il 60% della sua popolazione ha un’età inferiore ai 25 anni. È il continente più giovane e dalle grandi risorse di capitale umano.

Il nostro futuro dipende dal futuro del continente africano.

Il piano Mattei è un piano concreto di interventi concentrato su poche e strategiche priorità, e non su micro interventi.

Le cinque aree di intervento sono: istruzione e formazione, salute, agricoltura, acqua, energia.

Non è un piano concepito per calare dall’alto, ma come una piattaforma programmatica aperta alla condivisone con le nazioni africane.

Ta le aree di collaborazione penso al Marocco dove puntiamo a realizzare un grande centro di eccellenza per la formazione professionale sul tema delle energie rinnovabili.

Altro settore di interventi sarà l’agricoltura, perché l’Africa detiene il 60% delle terre coltivabili ma sono spesso inutilizzate. Dobbiamo allora fare in modo che la tecnologia contribuisca a fenderle coltivabili per dare frutti.

Non siamo impegnati solo sulla food security ma anche sulla food safety. La sfida che vogliamo vincere non è solo garantire cibo per tutti ma assicurare cibo di qualità per tutti. Il ruolo della ricerca è fondamentale allora, ma non deve riguardare la produzione di cibo di laboratorio e andare verso un mondo in cui il cibo naturale sarà assicurato solo ai ricchi e quello sintetico ai poveri. Con effetti sulla salute che non possiamo prevedere.

Vogliamo mantenere il legame millenario tra uomo e terra, e la ricerca aiuta a garantire questo legame con tecniche di coltivazione più moderne.

In Algeria vogliamo avviare un progetto di monitoraggio satellitare sull’agricoltura e in Mozambico siamo impegnati a costruire un centro agroalimentare volto a valorizzare le eccellenze e le esportazioni dei prodotti locali. In Egitto prevediamo di sostenere la produzione di soia, mais, grano, girasole con investimenti in macchinari, sementi e tecnologie oltre che formazione.

In Tunisia stiamo lavorando a potenziare le stazioni di depurazione delle acque non convenzionali per irrigare e creare un centro di formazione agroalimentare.

Vogliamo migliorare la gestione e l’accesso dell’acqua. In Congo ci impegniamo nella costruzione di pozzi e centri per la distribuzione dell’acqua a fini agricoli, alimentati da energia rinnovabile. In Etiopia vogliamo avviare il recupero ambientale di alcune aree e intervenire sul risanamento delle acque e su formazione nelle università locali.

L’Italia può essere hub energetico dell’Europa, vogliamo aiutare le nazioni africane a produrre energia sufficiente alle proprie esigenze e ad esportare in Ue la parte in eccesso.

Abbiamo attività in Kenia nello sviluppo dei biocarburanti che puntano a coinvolgere circa 450mila agricoltori entro il 2027.”

Italia-Africa, Lollobrigida: Italia torna protagonista nel mediterraneo. Settore primario fondamentale

Italia-Africa, Meloni: destino Europa connesso a quello africano. Con Piano Mattei tutto sistema Italia coinvolto

Italia-Africa, Tajani: obiettivo Piano Mattei è un piano Marshall Ue per Africa. Crescita e stabilità Africa si riflettono su Europa

Italia-Africa, Salvini: lavorare insieme per fare della cooperazione infrastrutturale il ponte per la crescita

Italia-Africa, Urso: con piano Mattei lavoriamo a sviluppo interconnessioni, spazio e materie prime. Italia pronta con sue imprese

Italia-Africa. Lollobrigida: lanciamo iniziative specifiche per sviluppo e formazione

Italia-Africa, Assoumani (Unione Africana): Italia tra i principali investitori nel continente. Pronti a lavorare insieme

Italia-Africa, von der Leyen: Piano Mattei contributo importante per collaborazione, si integra con Global Gateway Ue

Italia-Africa, Michel: Un plauso al piano Mattei: sicurezza, pace e prosperità punti chiave

Italia-Africa, Metsola: Africa ha potenzialità, sfida sia conveniente per tutti

Piano Mattei soluzione a crisi globali: in Africa il 65% di terre non coltivate. Entro 70anni 8 su 10 vivranno in Africa e Asia

Obesità e tumori, il doppio fardello dei paesi in via di sviluppo. Come la globalizzazione ha colpito dall’Africa all’Asia e il ruolo dell’agricoltura

Investire in Africa per vincere sfide su immigrazione, terrorismo ed economia. Il ruolo del Piano Mattei e dell’Ue. Tutti i DATI

Vertice Italia-Africa. Aziz Akhannouch (Marocco): Sicurezza e transizione energetica priorità continentale

 

 

 

 

 

 

 




Conferenza Italia-Africa, Aic a Meloni: allarghi la partecipazione

“La nostra organizzazione esprime interesse per la prossima Conferenza internazionale Italia-Africa, all’interno della quale verrà presentata il cosiddetto “Piano Mattei”, – scrive alla Presidente Giorgia Meloni il presidente nazionale dell’Associazione Italiana Agricoltori in merito alla Conferenza programmata dal Governo italiano per il 28 e 29 gennaio a Roma, – “Siamo convinti dell’importanza del dialogo e della collaborazione con i leader dei Paesi africani e auspichiamo che la discussione sia aperta e approfondita, in linea con l’impegno dichiarato dalle nostre istituzioni di creare un modello di partenariato vantaggioso per tutte le parti coinvolte, evitando approcci paternalistici o predatori”.

 “La nostra organizzazione”, – prosegue Santoianni – “che rappresenta 30mila imprese e 500mila iscritti, è presente a livello internazionale con diverse progettualità e, per questo, siamo disponibili a una collaborazione fattiva per la costruzione del Piano Mattei e la sua implementazione successiva. Chiediamo dunque al Governo di fare subito il primo passo allargando la partecipazione alla Conferenza a organismi della società civile che lavorano nel Mediterraneo e in Africa, il cui apporto è senz’altro fondamentale perché ricco di know-how acquisito sul campo e di collaborazioni con la società civile dei paesi invitati alla Conferenza”.




Fieragricola 2024 getta un ponte anche verso l’Africa

La 116ª Fieragricola di Verona, rassegna internazionale dedicata all’agricoltura, in programma da 31 gennaio al 3 febbraioprossimi, getta un ponte anche con l’Africa, continente dal quale arriveranno delegazioni e buyer provenienti da Algeria, Egitto, Etiopia, Ghana, Kenya, Mozambico, Senegal, Tunisia, alla ricerca di nuove tecnologie e innovazioni per sostenere l’agricoltura e le filiere territoriali alle prese con cambiamenti climatici particolarmente pressanti.

Con 820 espositori provenienti dall’Italia e da 20 Paesi esteri, 52mila metri quadrati e 11 padiglioni occupati, un format trasversale in grado di rappresentare meccanica agricola, zootecnia, colture specializzate come vigneto, frutteto, olivo; energie rinnovabili, chimica verde, servizi e multifunzionalità delle imprese agricole; tecnologie hi-tech per la crescita dell’agricoltura sostenibile, Fieragricola rappresenta un’opportunità per un continente che da un rafforzamento dell’agricoltura potrebbe trarre benefici per lo sviluppo dei mercati locali, delle filiere agroalimentari e degli scambi commerciali all’interno dell’Unione doganale africana, l’accordo di libero scambio che abbraccia 52 Paesi, e limitare le migrazioni economiche e climatiche, alla luce del ruolo di tutela della biodiversità e della resilienza che può svolgere il settore agricolo.

«Il ponte tra Fieragricola e l’Africa – dichiara il presidente di Veronafiere, Federico Bricolo – può essere letto come un supporto strategico alla cooperazione nel segmento agricolo, che si inserisce nell’ambizioso Piano Mattei promosso dal governo guidato da Giorgia Meloni e che mira a sostenere uno sviluppo organico di crescita economica e sociale. La 116ª edizione di Fieragricola, in particolare, seguirà di pochi giorni il vertice Italia-Africa con delegazioni provenienti da tutto il mondo e che coinvolgerà Capi di Stato e di governo, i vertici dell’Unione europea e organizzazioni internazionali».

Già presenti nelle edizioni precedenti di Fieragricola, l’interesse di delegazioni e buyer provenienti dall’Africa si sono concentrate in passato sulle tecnologie per la gestione e la valorizzazione dell’acqua, macchine e attrezzature agricole, serre, energie rinnovabili da fonte agricola, soluzioni per la zootecnia sostenibile.

Nel corso del 2023 gli investimenti in Africa di multinazionali e imprese locali, talvolta in partnership, hanno privilegiato gli aspetti della sostenibilità e della qualità delle produzioni agroalimentari, puntando a valorizzare filiere locali e sostenendo la zootecnia (in particolare quella da latte), considerata essenziale per incentivare l’occupazione e favorire la crescita di nuove forme di economia circolare.




Azione contro la Fame rivela: nel 2023 ai paesi in crisi alimentare solo il 35% dei finanziamenti richiesti

Il divario globale di finanziamenti per l’emergenza fame ha raggiunto il 65%, relativamente ai Paesi con i bisogni più urgenti, ovvero quelli in situazione di crisi alimentare. Lo rivela il nuovo rapporto di Azione contro la Fame “2024 Hunger Funding Gap”, pubblicato in concomitanza con il World Economic Forum di Davos.

La nuova analisi dei finanziamenti, basata sui dati del sistema umanitario delle Nazioni Unite, rivela che nel 2023 è stato soddisfatto solo il 35% degli appelli provenienti da Paesi che si trovavano ad affrontare livelli di fame “di crisi” o peggiori, secondo la classificazione IPC, con un conseguente gap di finanziamenti per la risposta alla crisi alimentare del 65%, in aumento del 23% rispetto all’anno precedente.

Il report ha inoltre messo in evidenza i seguenti fatti:

  • nessun appello per programmi, di emergenza o già in corso, legati alla fame è stato interamente soddisfatto;
  • solo il 12% dei programmi legati alla fame ha ricevuto più della metà delle risorse finanziarie richieste;
  • sarebbero necessari oltre 8 miliardi di euro[1]per finanziare completamente gli appelli relativi all’emergenza fame dei 17 Paesi inclusi in questo rapporto, ovvero la stessa cifra che si stima abbiano speso gli Italiani per i regali di Natale nel 2023[2].

A livello globale, ben 783 milioni di persone [3] più della popolazione dell’Unione Europea e degli Stati Uniti messi insieme – soffrono la fame. Rispetto ai livelli pre-pandemici, oggi 122 milioni di persone in più soffrono la fame, causata principalmente da conflitti, cambiamenti climatici e disuguaglianze strutturali.

“Il mondo produce cibo a sufficienza per tutti, eppure ogni anno centinaia di migliaia di bambini malnutriti muoiono di morte evitabile. Perché? Mancano la determinazione e i finanziamenti necessari per raggiungere l’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite di azzerare la fame entro il 2030 – ha dichiarato Simone Garroni, Direttore di Azione contro la Fame in Italiaaccogliamo positivamente la scelta del World Economic Forum di mantenere il tema della fame nell’agenda globale. Ora chiediamo che a questo facciano seguito azioni concrete dopo la fine degli incontri. La fame è una sfida quotidiana per una persona su dieci in tutto il mondo e deve essere una preoccupazione quotidiana per coloro che sono nella posizione di contribuire maggiormente a porvi fine, per tutti e per sempre”.

Il rapporto di Azione contro la Fame si concentra sui 17 Paesi che hanno registrato livelli di fame “di crisi” o peggiori nel 2022 e analizza l’entità dei finanziamenti che questi Paesi hanno poi ricevuto nel 2023. La scelta di esaminare due annualità differenti serve a basare l’analisi sulle decisioni di finanziamento prese dai donatori dopo essere venuti in possesso dell’informazione sui livelli di fame e sulla gravità delle relative crisi nei vari Paesi. Questo approccio elimina anche la possibilità che i livelli di fame riflessi nel rapporto (2022) siano influenzati dai finanziamenti erogati (2023).

I 17 Paesi analizzati nel nuovo report sono: Afghanistan, Burundi, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Guatemala, Haiti, Honduras, Kenya, Libano, Madagascar, Malawi, Mozambico, Pakistan, Somalia, Sud Sudan, Sudan e Yemen.

“Il rapporto giunge in un momento cruciale, poiché nel 2023 c’è stato un notevole aumento dei finanziamenti per i programmi legati alla fame, ma anche con questo maggior sostegno i fondi non hanno tenuto il passo con le crescenti necessità – continua Garronisappiamo che alcuni dei Paesi donatori più generosi del mondo prevedono di tagliare i bilanci degli aiuti nel 2024. Non è possibile ignorarne le conseguenze: più persone soffriranno e milioni di persone potrebbero morire. Chi ha i mezzi per farlo deve dare priorità ai finanziamenti per i programmi di lotta alla fame globale ed è necessario che sempre più Paesi si facciano avanti per evitare disastri umanitari imminenti”.

Il rapporto di Azione contro la Fame analizza i dati del Servizio di monitoraggio finanziario dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA) e dello Strumento di monitoraggio della popolazione per la classificazione della fase di sicurezza alimentare integrata (IPC).

RAPPORTO COMPLETO DISPONIBILE QUI.

 




Piano Mattei, Prandini: cibo sintetico ostacolo per sviluppo Africa, agricoltura risorsa per il continente

Il cibo sintetico è un rischio anche per l’Africa, dichiara il presidente Coldiretti Ettore Prandini nel corso suo intervento al Villaggio contadino al Circo Massimo a Roma.

“Sentiamo parlare del piano Mattei e dell’attenzione per l’Africa ma se togliamo a quel continente l’unica possibilità vera di sviluppo, ossia quella legata all’agricoltura, allora continuerà ad essere un continente sottomesso e occupato dai cinesi e dai francesi che hanno la cultura della colonizzazione.”

Piano Mattei soluzione a crisi globali: in Africa il 65% di terre non coltivate. Entro 70anni 8 su 10 vivranno in Africa e Asia

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Piano Mattei soluzione a crisi globali: in Africa il 65% di terre non coltivate. Entro 70anni 8 su 10 vivranno in Africa e Asia

Nei consessi internazionali da sempre più tempo si pone il tema dell’aumento della popolazione globale al fianco di una produzione agricola che potrebbe non supportare quella stessa crescita demografica. Eppure a vedere i dati si tratta di un falso problema nel caso dell’Europa e dei paesi cosiddetti sviluppati. La criticità riguarda invece i continenti e le nazioni in via di sviluppo e la cui crescita demografica accentua quei problemi, di per se atavici, di insicurezza alimentare. La soluzione viene però dall’Africa e da qui anche il rilancio di un progetto Africa a guida Italia, come testimoniato dalle parole del Governo (Meloni, Lollobrigida, Tajani, Pichetto Fratin) col Piano Mattei, in un momento in cui le varie crisi umanitarie, alimentari ed energetiche convergono. L’area Africana e del Mediterraneo, poste in una nuova centralità, potrebbero allora dare un nuovo corso alla storia, seppure non a quella con la S maiuscola.

Investire in Africa, facendolo meglio e prima della Cina, diventa quindi fondamentale. 

Entro la fine del secolo più di 8 persone su 10 nel mondo vivranno in Asia o in Africa (quest’ultima attualmente ha una popolazione di 1,3 miliardi di persone e per il 2100 dovrebbe crescere arrivando a 4,3 miliardi). A crescere leggermente saranno anche l’America e l’Oceania, spiega Max Roser in un articolo pubblicato su Our World in Data, l’ente di ricerca da lui fondato e diretto.

L’Europa è l’unica regione dove la popolazione calerà passando dagli attuali 750 milioni di abitanti a 630 milioni nel 2100. Meno del 6% della popolazione mondiale vivrà quindi nel continente europeo.

Da tali previsioni demografiche, che nel corso dei decenni passati sono risultate sempre affidabili, si pongono con forza tutti quegli interrogativi che percorrono l’Europa. A fronte di una popolazione globale che aumenta in Africa e in Asia ci si aspetta un incremento anche dei flussi migratori verso i paesi occidentali, una maggiore richiesta di cibo e di fonte energetiche per far fronte alla globalizzazione e industrializzazione.

Gli stessi dati sono d’altronde confermati dalle Nazioni Unite

Per i paesi ad alto reddito tra il 2000 e il 2020, il contributo della migrazione internazionale alla crescita della popolazione (flusso netto di 80,5 milioni) ha superato il saldo delle nascite sui decessi (66,2 milioni).
Nei decenni successivi, la migrazione sarà l’unico motore della crescita della popolazione nei paesi ad alto reddito. Al contrario, per il prevedibile futuro, l’aumento della popolazione nei paesi a reddito basso e medio-basso continuerà a essere trainato da un eccesso di nascite sulle morti.

Africa e agroalimentare

Ma se l’Africa è parte del problema può diventare anche la soluzione ai problemi, non solo propri ma della stessa Europa.

Investire in Africa, accompagnandoli verso uno sviluppo sostenibile dal punto di vista agroalimentare, industriale ed energetico significherebbe frenare la cosiddetta emigrazione economica e garantire più alti livelli sanitari e socio economici nel continente.

Soffermandosi sul settore agroalimentare, nodo centrale ancor più di quello industriale ed energetico per avere un quadro della situazione in Africa e dei suoi possibili sviluppi, emerge come il continente abbia il 60/65% delle terre arabili ancora non coltivate. Un potenziale enorme che garantirebbe non solo maggiore sicurezza alimentare a livello globale, ma lo sviluppo di una economia locale. 

“Secondo stime correnti in Africa si trova il 65% delle terre arabili finora non coltivate e che serviranno quando nel 2050 la popolazione mondiale raggiungerà i 9 miliardi di individui. L’Africa ospita la più grande frontiera agricola che fronteggia il deserto ovvero 400 milioni di ettari di terra di cui soltanto il 10% è coltivata. Oltre alla disponibilità di terre il comparto della trasformazione è ancora poco sviluppato” dichiarava nel 2018 Akinwumi Adesina, presidente della Banca africana di Sviluppo.

Dello stesso parere anche Josefa Sacko, commissario dell’Unione Africana per l’economia rurale e l’agricoltura, come riporta Euractiv

“Attualmente l’Africa spende 45 miliardi di dollari (41,4 miliardi di euro) ogni anno per le importazioni di prodotti alimentari – denaro che potrebbe essere speso invece per sviluppare il settore agricolo nazionale.

Con il 60% delle terre coltivabili finora incolte, c’è un grande potenziale per incrementare la produzione agricola. Abbiamo l’ecosistema per nutrire l’Africa e per nutrire il mondo”.

Come sottolinea Akinwumi Adesina  l’Africa produce il 75% del cacao consumato nel mondo (con Costa d’Avorio e Ghana che da sole ne producono il 65%) ma secondo i dati AfDB riceve soltanto il 2% dei 100 miliardi di dollari generati ogni anno dall’industria.

Se l’Africa può essere la Grande Madre che sfama il mondo è necessario però supportare quella crescita con tecnologie e know how in grado di garantire valore aggiunto alla filiera e sviluppare un settore agroindustriale che ad oggi è quasi inesistente. 

Al netto delle Ong, delle organizzazioni no profit e delle buone intenzioni mostrate a parole nei convegni internazionali è lecito dire che una cosiddetta campagna europea per l’Africa, pur non muovendosi da logiche predatorie non può ignorare le opportunità economiche che soggiaciono allo sviluppo del continente. Aiutare l’Africa nel suo processo di ammodernamento e sviluppo rappresenterebbe -non una missione umanitaria- ma una opportunità di crescita per la stessa Europa, come -ben prima di noi e con altra forza- ha capito la Cina. 

Il cibo sintetico non è la soluzione

Sullo sfondo vi è poi il tema cibo sintetico, che a detta delle multinazionali e dei guru del food high tech dovrebbe rappresentare la soluzione alla fame nel mondo, senza bisogno di dover inquinare. Eppure -senza toccare il tema sostenibilità e sicurezza in merito al cibo sintetico- ci si trova ad affrontare ancora la questione degli alti costi di produzione che la rendono un prodotto di moda per una fascia medio alta di consumatori in Europa, lontano per altro dall’essere una reale necessità sul mercato. Diventa perciò difficilmente immaginabile vedere tali prodotti sbarcare sui mercati dei paesi in via di sviluppo. Inoltre, qualora dovesse accadere, rappresenterebbe un ulteriore problema per l’economia africana che si vedrebbe fagocitata nel settore agricolo dalle multinazionali, già oggi sofferente come sottolineano i dati Nomisma, giacchè deriva un’economia che, pur rappresentando il 24% della superficie agricola utilizzabile a livello mondiale, in termini di valore non va oltre il 6%. Basti poi pensare i danni per quanto riguarda il comparto zootecnico, difatti sul fronte dell’allevamento l’Africa contribuisce al 20% della produzione mondiale di carne ovina e bufalina. 

Si capisce però l’interesse delle multinazionali della carne sintetica se si vedranno confermati i numeri Nomisma secondo cui la domanda di prodotti zootecnici in Africa raggiungerà quota +145% (in volume) per quanto riguarda nello specifico il mercato della carne entro il 2050.

Insicurezza alimentare

Altrettanto importante diviene allora il tema dello spreco alimentare e di diete sostenibili e salutari (il sovrappeso e l’obesità sono ora drammaticamente in aumento nei paesi a basso e medio reddito, evidenzia l’Oms).

Ogni anno dal 33 al 40% del cibo mondiale viene perso o sprecato. Si stima che durante o subito dopo il raccolto venga perso cibo per un valore di 600 miliardi di dollari, secondo i dati di un rapporto redatto da McKinsey dal titolo “Reducing food loss: What grocery retailers and manufacturers can do”.

Numeri allarmanti, tanto più se messi in relazione a quelli sulla insicurezza alimentare.

Il numero di persone che soffrono di grave insicurezza alimentare e che necessitano urgentemente di cibo, nutrizione e assistenza per il proprio sostentamento è aumentato per il quarto anno consecutivo nel 2022, con oltre un quarto di miliardo di persone che affrontano la fame acuta e con persone in sette paesi a rischio della vita per la fame, secondo l’ultimo Rapporto Globale sulle Crisi Alimentari (GRFC), scrivono le Nazioni Unite.

Il rapporto rileva che, nel 2022, circa 258 milioni di persone in 58 paesi e territori hanno affrontato un’insicurezza alimentare acuta a livelli di crisi o peggiori (Fase IPC/CH 3-5), rispetto ai 193 milioni di persone in 53 paesi e territori nel 2021.

“Più di un quarto di miliardo di persone stanno ora affrontando livelli acuti di fame, e alcuni stanno rischiando la vita per la fame. È inconcepibile”, ha dichiarato il Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres nella prefazione al rapporto. “Questa settima edizione del Rapporto globale sulle crisi alimentari è una aspra accusa all’incapacità dell’umanità di compiere progressi verso il secondo Obiettivo di sviluppo sostenibile di porre fine alla fame e raggiungere la sicurezza alimentare e una migliore nutrizione per tutti”.

Secondo il rapporto, oltre il 40 per cento della popolazione nella Fase 3 IPC/CH o superiore risiedeva in soli cinque paesi: Afghanistan, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, parti della Nigeria (21 stati e il Territorio della Capitale Federale – FCT ) e Yemen.

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Obesità e aumento dei casi di tumore. Sono questi i due elementi che negli ultimi anni caratterizzano i paesi in via di sviluppo, con tassi di crescita superiori al 30% rispetto alle nazioni occidentali. Si tratta di uno degli effetti più immediati della globalizzazione che ha investito il continente africano e molta parte dell’Asia, portando a stili di vita poco salutari e al consumo di cibo dalle carenti qualità nutritive -spesso junk food dall’alto tasso di sale o bevande ricche di zucchero- trovandosi quindi a dover fronteggiare il doppio fardello della malnutrizione e dell’obesità al contempo.

Centrale diventa allora il ruolo dell’agricoltura in grado di assicurare lo sviluppo economico dei paesi più poveri, garantendo nel contempo una coscienza imprenditoriale che significa anche consapevolezza culturale e alimentare. Sullo sfondo il pericolo del cibo sintetico che potrebbe assoggettare ulteriormente i paesi in via di sviluppo alle dinamiche occidentali, precludendogli fattori di crescita.

Obesità e globalizzazione 

“Una volta considerato un problema solo nei paesi ad alto reddito, il sovrappeso e l’obesità sono ora drammaticamente in aumento nei paesi a basso e medio reddito, in particolare negli ambienti urbani. La stragrande maggioranza dei bambini in sovrappeso o obesi vive nei paesi in via di sviluppo, dove il tasso di aumento è stato superiore di oltre il 30% rispetto a quello dei paesi sviluppati” sottolinea l’Organizzazione Mondiale della Sanità.

“Nel 2019, si stima che 38,2 milioni di bambini sotto i 5 anni fossero in sovrappeso o obesi” prosegue la Who (World Health Organization) in un suo report. “In Africa, il numero di bambini in sovrappeso sotto i 5 anni è aumentato di quasi il 24% dal 2000. Quasi la metà dei bambini sotto i 5 anni che erano in sovrappeso o obesi nel 2019 viveva in Asia”. 

Tumori e globalizzazione

Fortemente correlato al tema alimentare e globalizzazione è quello che riguarda l’aumento dei casi di tumore nei paesi a medio e basso reddito. L’abuso di alcolici e di carne rossa o lavorata (assai differente da un utilizzo moderato all’interno di una dieta sana ed equilibrata), l’utilizzo di prodotti dall’alto contenuto di sodio e basse proprietà nutritive ed ancora l’uso di bevande zuccherate sono tutti fattori partecipanti dell’incremento dei tumori nei paesi in via di sviluppo.

Paolo Vineis (Ordinario di Epidemiologia Ambientale all’Imperial College di Londra) trova nella globalizzazione parte del problema, responsabile di impatti ambientali nocivi sul territorio e di consumi alimentari non corretti. “I tumori complessivamente stanno aumentando soprattutto nei paesi in via di sviluppo, in particolare in Africa stiamo assistendo ad un preoccupante aumento di casi di cancro» dichiara Vineis. E tra gli effetti scatenanti per alcuni tipi di tumori vi è “l’alimentazione, in particolare la carne lavorata aumenta il rischio di tumore al colon retto”.

Dello stesso avviso Nicoletta Dentico, (Responsabile del programma Salute Globale Society for International Devolpment, SID) che sposta l’attenzione su come l’abuso di alcolici tra i più giovani abbia avuto effetti esasperanti. «Il 4,1% di tutti i casi di tumore sono attribuibili all’alcol” sottolinea. Un incremento che si è registrato soprattutto nell’est europeo, nei paesi asiatici, Cina, Vietnam, India e Africa sub sahariana dove accanto al fumo di sigaretta, l’alcol è il fattore scatenante per molti tumori».

Secondo recenti dati l’occidentalizzazione dei consumi e degli usi nel continente africano ha causato negli ultimi tre decenni, in Paesi quali il Burkina Faso, il Ghana, il Togo e il Benin ad una esplosione dei tassi di obesità: cresciuti anche del 1400 per cento, con l’ulteriore e concreto rischio di contrarre diversi tumori.

Inoltre sebbene il cancro resti una malattia più diffusa nei Paesi “ricchi” rispetto a quelli “poveri” o “in via di sviluppo” ciò che preoccupa è come in quest’ultimi i tumori siano sempre più frequenti e aumentino a ritmi molto più rapidi che in Europa, come emerge nel rapporto dal titolo “Global Cancer Statistics 2020”, prodotto in collaborazione dall’American Cancer Society (ACS) e dall’International Agency for Research on Cancer (IARC), in cui sono analizzati i dati relativi a 36 tumori in 185 diversi Paesi del mondo. 

Il ruolo dell’agricoltura e il pericolo cibo sintetico

Su questo sfondo -appare adesso chiaro- gioca un ruolo centrale il tema alimentare e di conseguenza agricolo. Non solo servirà garantire un approvvigionamento alimentare in grado di sfamare una popolazione mondiale in crescente crescita (che ha il suo epicentro nei paesi in via di sviluppo), ma occorrerà garantire sempre più del cibo di qualità in grado di fornire i nutrienti necessari ed evitare l’insorgenza di malattie.

Se da una parte le multinazionali del Food e dell’High Tech stanno puntando con decisione sul cibo sintetico capace di garantire “cibo” in produzioni industriali (così da scalare il prezzo nella Gdo) ma di cui non si conoscono ad oggi gli effetti sulla salute, ciò precluderebbe l’ulteriore sviluppo dell’Africa e dei paesi “poveri” dell’Asia e dell’America. In tal modo li si renderebbe ancora vassalli e assoggettati alle dinamiche occidentali, o detto ancor meglio si andrebbero a finanziare ed arricchire quelle multinazionali che proprio ai danni dei paesi in via di sviluppo e delle Pmi di tutto il mondo fanno affari. Non sfuggirà che l’ulteriore conseguenza derivante dall’utilizzo del cibo sintetico o di laboratorio sarà quello di precludere lo sviluppo agricolo,  e dunque economico, di quei paesi che proprio nell’agroalimentare possono vedere una delle modalità più efficaci per affrancarsi dalla povertà e sviluppare una propria coscienza imprenditoriale, e che significa anche coscienza culturale della propria storia e tradizioni.

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