L’Alleanza delle cooperative della Pesca invia un Position paper al ministro delle Politiche agricole Stefano Patuanelli per fare il punto sui temi che da tempo affliggono il settore ittico nazionale. Sul tavolo il rilancio del settore e le nuove opportunità generate dalla Blue Economy.
Qui di seguito AGRICOLAE pubblica il contenuto del Position Paper in PDF e a seguire in formato testuale:
LETTERA A MINISTRO
POSITION PAPER ALLEANZA PESCA PER MINISTRO PATUANELLI
PESCA E ACQUACOLTURA IN ITALIA
Le principali attività marittime dell’Italia sono il turismo costiero, la pesca, l’acquacoltura, il trasporto
marittimo a corto raggio, le crociere turistiche, la costruzione e la riparazione navale, i servizi di
traghetto passeggeri e il trasporto marittimo a lungo raggio. Le attività marittime contribuiscono al
2,6% (39,5 miliardi di euro) del prodotto interno lordo (PIL) nazionale, all’11 % della produttività del
settore dei trasporti e circa al 2 % della forza lavoro totale. La produzione di pesca e acquacoltura da
sola rappresenta circa il 2,4% della produzione totale e il 2,9% del valore aggiunto del settore
primario in Italia.
La pesca italiana è caratterizzata da una tendenza al ribasso degli sbarchi (sia per quanto riguarda il peso che per quanto riguarda il valore). Il peso totale pescato dalla flotta italiana nel 2019 ammontava a circa 174.000 tonnellate, con un valore di 887 milioni di euro. Dal 2010 ad oggi il valore totale degli sbarchi è diminuito del 15,7%, il volume delle produzioni sbarcate del 16,2% e il prezzo medio (€/Kg.) del 9%.
La produzione del settore italiano dell’acquacoltura sfiora le 150.000 tonnellate per un
controvalore pari a quasi 400 milioni di euro. L’acquacoltura biologica è considerata un segmento
molto promettente in termini di domanda di mercato, nonostante le crescenti difficoltà generate
dalla nuova normativa europea che tende a fissare standard qualitativi di processo sempre più
onerosi.
Quanto poi alle aziende italiane della trasformazione, esse dipendono fortemente dalle
importazioni e solo recentemente la lavorazione di materia prima proveniente dall’acquacoltura è
stata considerata un’opportunità per ridurre tale dipendenza.
Oltre il 70 % della produzione destinata alla trasformazione viene lavorata e confezionata
direttamente dalle aziende di acquacoltura, grazie all’integrazione verticale dei processi di
produzione.
Infine un dato sul consumo di pesce: nella dieta italiana troviamo circa 25 kg di prodotti della
pesca a testa ogni anno. Grazie a questo dato l’Italia si trova oggi leggermente al di sopra del livello
medio di consumo dell’Ue, fermo a circa 23 kg a testa.
A) LA PESCA PROFESSIONALE
La flotta da pesca nazionale si è ulteriormente ridotta nell’ultimo decennio, passando dagli oltre 14mila
natanti alle poco più di 12mila imbarcazioni di oggi, facendo registrare una contrazione complessiva
pari al 16,5%.
Negli anni 80 le imbarcazioni da pesca erano quasi 20.000 e portavano a terra oltre 400.000 tonnellate all’anno di prodotti freschi. Oggi si sbarca meno della metà rispetto a trent’anni fa.
Quanto al lavoro, oggi i pescatori imbarcati sono poco più di 25 mila (circa 30.000 dieci anni fa, il 16%
in meno), mentre quelli che operano a terra oltre 100 mila, per un totale che si aggira attorno ai 125
mila lavoratori (escluso l’indotto).
Il settore registra una riduzione delle catture al ritmo del 2% annuo, un calo costante dei redditi ed
un’incidenza dei costi di produzione per alcuni tipi di pesca, come quella a strascico, fino al 60%.
Vediamo però più nel dettaglio di cosa parliamo quando pronunciamo la parola pesca.
A.1) LA FLOTTA ITALIANA: BATTELLI E OCCUPATI
Dalle tabelle sottostanti si ricava un’istantanea dei principali indicatori socio-economici della flotta
italiana; ad oggi il sistema pesca del nostro Paese può contare su 12.063 motopescherecci pari al 17%
della flotta Ue [74.996 unità] (18% in termini di potenza motore e 11% in termini di capacità – fonte
Registro Flotta Commissione europea – https://webgate.ec.europa.eu/fleet-europa/stat_glimpse_it) e
25.095 occupati.
L’età media della nostra flotta è di 31 anni.
La media di imbarcati per unità da pesca è stabile nel tempo, con circa 2,16 occupati per
motopeschereccio. Se analizziamo l’articolazione del comparto sia come aziende (motopescherecci) sia
come forza lavoro, al 2015 emergono i seguenti dati:
circa il 19% del totale dei battelli sono a strascico;
circa il 28,9% del totale degli imbarcati sono presenti nel settore strascico.
Se infine osserviamo i segmenti più industriali (strascico, volante, circuizione) essi costituiscono la flotta principale, rappresentando circa il 60 % del tonnellaggio lordo italiano attivo totale.
A.2) LA FLOTTA ITALIANA: PRODUZIONE
Nel corso dell’ultimo decennio i guadagni provenienti dagli sbarchi sono diminuiti di oltre il 30 %.
Questa notevole riduzione dei guadagni è stata solo in parte controbilanciata da una riduzione del 26%
dei costi operativi (644 milioni di euro), dovuta principalmente alla riduzione del costo del lavoro (-
20% come conseguenza della perdita di posti di lavoro di cui sopra) e del costo dell’energia (-27%,
dopo la prima crisi post 2007/2008). La riduzione di tutti gli indicatori è diretta conseguenza del forte
ridimensionamento della struttura produttiva che, come riportato in precedenza, ha comportato un
calo consistente della flotta e degli occupati.
Nelle tabelle che seguono vengono invece forniti dati economico-produttivi, utili per esaminare
l’andamento dell’attività di pesca nel corso tempo, attraverso la variazione dei volumi degli sbarchi (in
tonnellate), dei ricavi (in milioni di €) e del prezzo (€/Kg.).
B) L’ACQUACOLTURA
In Italia ci sono 814 impianti che producono 140 mila tonnellate l’anno di prodotti freschi, con oltre
7.000 addetti, che contribuiscono a circa il 40% della produzione ittica nazionale e al 30% circa della
domanda di prodotti ittici freschi.
In Europa, l’Italia detiene il 13% del volume delle produzioni e il 10,7% del valore della produzione.
L’acquacoltura in Italia comprende l’allevamento di 30 specie di pesci, molluschi e crostacei, ma ben il
97% della produzione nazionale si basa su 5 specie: la trota (acque dolci), la spigola e l’orata (acque
marine) e tra i molluschi, i mitili e le vongole veraci. L’Italia è il principale paese produttore dell’UE 27
di vongole veraci con un 94,2% in volume e un 91,6% in valore.
L’Italia copre, inoltre, i due terzi della produzione acquicola comunitaria per quanto riguarda i mitili, e
rappresenta il 45% della produzione di storioni e il 20% circa della produzione di trota iridea.
Degli oltre 800 impianti attivi, il 49% è dedicato alla produzione di pesci, il 49% a quella dei molluschi
e il 2% circa a crostacei o misti.
L’Italia è fra i leader europei per la produzione di trota, orata e branzino, oltre a mitili e vongole veraci,
nonostante il ritardo nello sviluppo di tecnologie atte al miglioramento produttivo (riduzione dei costi
di alimentazione, anche con proteine animali trasformate) e funzionale (resistenza alle malattie) delle
specie allevate.
L’acquacoltura italiana è caratterizzata da una forte diversificazione produttiva che va dalle tradizionali
tecniche estensive (lagune costiere, delta, valli, stagni) alle moderne produzioni intensive (bacini,
vasche e gabbie in mare), oltre alla molluschicoltura.
2. LE OPPORTUNITÀ DELLA “BLUE ECONOMY”
Il settore della filiera ittica è oggi il secondo settore della blue economy per numerosità imprenditoriale
e conta più di 33mila imprese, pari al 18,2% del totale delle imprese dell’economia del mare.
Il contributo al valore aggiunto nazionale, prodotto dalle filiere riconducibili all’economia del mare, ha
raggiunto il valore di 45 miliardi di euro (in termini nominali) con un’incidenza sul totale del 3%: quasi il doppio di quanto prodotto dal comparto del tessile, abbigliamento e pelli o più del doppio delle
telecomunicazioni e il triplo di quello del legno, carta ed editoria.
Dal punto di vista occupazionale, i quasi 800 mila lavoratori impiegati nel settore della blue economy
rappresentano il 3,3% dell’occupazione complessiva del Paese, superiore di quasi 240mila unità a
quella dell’intero settore formato dalla chimica, farmaceutica, gomma, materie plastiche e minerali non
metalliferi.
Nel settore operano imprese in cui trovano spazio anche i giovani e le donne, visto che una su 10 è
guidata da under 35 e ben due su 10 da imprenditrici.
Tra le caratteristiche fondamentali dell’economia del mare c’è quindi anche quella di essere in grado di
attivare indirettamente ulteriori effetti sul sistema economico: per ogni euro prodotto da questo
settore se ne attivano infatti altri 1,9 nel resto dell’economia.
3. NODI DA SCIOGLIERE PER IL RILANCIO
3.1 PESCA: IMPRESE E LAVORATORI
Per rilanciare il settore della pesca occorrono alcuni interventi minimi:
1. occorre favorire il ricambio del naviglio che ha un’età media di oltre 31 anni. Non esiste alcun
sostegno finanziario per rinnovare la flotta, né per i segmenti più industriali (sottoposti a
maggiore stress lavorativo: strascico, volanti, circuizioni) né per la cd. “piccola pesca
artigianale”. Riteniamo improcrastinabile dedicare ogni sforzo in questa direzione, anche per
assicurare una transizione verso metodi di produzione in grado di contemperare le esigenze
della sicurezza sul lavoro con quelle della tutela eco-sistemica.
2. Occorre rendere attrattivo il settore e favorire il ricambio generazionale, incentivando
l’apprendistato, la formazione continua e dando luce ad una riforma dei titoli professionali da
anni invocata, anche per consentire un’iniezione di nuova forza lavoro, particolarmente
necessaria al settore.
3. Occorre rivedere la Politica Comune della Pesca che continua a ritenere presuntivamente
nociva la pesca al punto di far prevalere in ogni approccio gestionale i principi di precauzione
per poter giustificare riduzioni senza fine dello sforzo di pesca, senza preoccuparsi di
fronteggiare gli effetti recessivi sia sul piano economico che sociale.
4. Occorre ideare strumenti strutturali e sostenibili di sostegno al reddito per i pescatori che,
salvo interventi estemporanei operati ogni anno con la legge di bilancio (o con i provvedimenti
di legge adottati per contenere gli effetti della pandemia), oggi risultano privi di qualunque
ammortizzatore sociale.
5. Occorre investire seriamente sulla sicurezza individuale a bordo e sulla formazione del
personale imbarcato attraverso un rinnovato rapporto con l’Autorità marittima che
rappresenta il primo vero pronto soccorso per i pescatori così come per tutti coloro che vanno
per mare.
6. Occorre ideare strumenti finanziari capaci di dare un aiuto concreto alle imprese ed alle
famiglie colpite dalle disgrazie di affondamenti o sinistri in mare dovuti a causa di forza
maggiore: quando una barca affonda oggi non c’è alcuna forma di sostegno per recuperare lo
scafo, provare a rimetterlo in armamento o, nei casi più gravi, farlo nuovo: la barca è come
l’azienda, il negozio, l’ufficio, una vita di lavoro e di fatica spesa in mare che in poco tempo si
può perdere, a volte con la vita stessa.
7. Occorre una politica concreta capace di creare più valore per le nostre produzioni
rilanciandone al contempo anche il consumo attraverso accordi di filiera e piani di
comunicazione e promozione adeguati che raggiungano il consumatore con ogni mezzo.
8. Occorre aprire un tavolo di lavoro che identifichi alcune filiere (ad es. grandi pelagici, pesce
azzurro, molluschi, crostacei e gamberi di profondità) sulle quali favorire la costruzione di
progetti imprenditoriali in grado di valorizzare queste produzioni anche attraverso la
trasformazione e la promozione di dinamiche nuove di distribuzione e commercializzazione ed
il rafforzamento e la modernizzazione del sistema dei mercati ittici all’ingrosso.
9. Occorre rafforzare e valorizzare il ruolo delle donne nella filiera ittica come soggetti promotori
di nuova imprenditorialità.
10. Occorre rilanciare il ruolo delle Organizzazioni di Produttori come soggetti imprenditoriali in
grado di svolgere positive azioni di valorizzazione del prodotto, oltre che di regolarizzazione dei
mercati.
11. Occorre promuovere un forte Coordinamento delle Politiche del Mare in capo al Mipaaf
capace di integrare tutte le competenze che ruotano attorno al mare, in grado di dare più
dignità, maggiore peso politico e capacità diplomatica all’Economia Blu anche attraverso il
necessario rafforzamento dell’azione amministrativa.
12. Occorre realizzare una seria politica di messa in sicurezza dei porti italiani, troppo spesso
scarsamente agibili e difficilmente navigabili, con rischi enormi per la sicurezza degli equipaggi e
perdite rilevanti di giorni di pesca e di reddito.
13. Occorre rafforzare il dialogo mediterraneo nelle sedi multilaterali, sostenere e rilanciare i
processi di internazionalizzazione delle imprese, sia per l’identificazione di nuovi mercati di
sbocco per le esportazioni sia per il decollo di partnership con altri Stati membri e con i Paesi
terzi del Mediterraneo, nella prospettiva di una gestione condivisa delle risorse, acciocché
l’onere di preservare le risorse biologiche non ricada solo sulle spalle dei pescatori europei.
3.2 ACQUACOLTURA
Anche la nostra acquacoltura ha bisogno di interventi che ne possano garantire lo sviluppo:
1. occorre innanzitutto affrontare il nodo delle concessioni demaniali, del fortissimo incremento
del valore minimo delle tariffe prodotto dall’art. 100, comma 4, decreto legge 14 agosto 2020,
n. 104, convertito con modificazioni dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126, le modalità del loro
rinnovo, nonché l’annoso problema dei canoni demaniali dovuti da chi pratica attività di
acquacoltura; in merito a quest’ultimo aspetto non possiamo non ricordare che da anni
l’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato richiama l’attenzione delle Istituzioni
(Governo e Parlamento) sulle necessità di un intervento che definisca un giusto quadro tariffario
sul modello cooperativo. La questione è a tutt’oggi irrisolta!
2. Occorre incentivare la registrazione di marchi di qualità, di modo che l’allevatore che si
impegna ad applicare un disciplinare delle metodologie di produzione sia gratificato dal valore
aggiunto che il marchio conferisce al suo prodotto.
3. Occorre sostenere efficacemente le imprese nel caso di calamità che arrechino danni agli
impianti. I premi assicurativi che potrebbero in teoria svolgere questa funzione sono molto
onerosi e i tempi per il ristoro economico dei danni sono troppo lunghi.
4. Occorre aumentare la capacità contrattuale delle imprese e dei loro consorzi nei confronti delle
GDO, che di fatto imposta le modalità operative e gli accordi economici in modo sbilanciato a
favore della committenza.
5. Occorre una legislazione mirata all’acquacoltura, soprattutto per quanto riguarda quella
esercitata in acque marine e rivolta all’esercizio di attività complementari.
6. Occorre monitorare con estrema attenzione il tema della pianificazione degli spazi marini e
della definizione delle zone destinate alla acquacoltura (AZA);
7. Occorre applicare il decreto legislativo n° 152/2006 per quanto riguarda la protezione delle
acque destinate all’acquacoltura, individuando le fonti di inquinamento che possono
condizionare o impedire le attività produttive a causa dell’insorgere di problematiche di
carattere igienico-sanitario.
8. Occorre incrementare i controlli sulla tracciabilità dei prodotti di importazione, soprattutto per
quanto riguarda gli aspetti igienico-sanitari legati al consumo di molluschi bivalvi.