Cibo sintetico, UK vuole accelerare approvazione e modificare norme: “prova definitiva sicurezza prodotti non sempre disponibile al momento autorizzazione”

Il Regno Unito, tra i paesi più attivi sul fronte cibo sintetico e alternative vegetali, starebbe riflettendo su come velocizzare l’approvazione dei novel food e modificare la regolamentazione dei nuovi alimenti. Il rapporto commissionato dalla FSA (Food Standards Agency) a Deloitte ha esaminato l’attuale quadro normativo sui nuovi alimenti (basato sulla legislazione dell’UE) e identificato opportunità di riforma.

Tra le modifiche attuabili vi potrebbe essere “l’autorizzazione condizionata e il monitoraggio continuo”. Il modello -sottolinea il rapporto- tiene conto del fatto che “la prova definitiva della sicurezza di alcuni prodotti non è sempre disponibile al momento dell’autorizzazione. Dato il ritmo dell’innovazione e che le prove sulla sicurezza possono svilupparsi nel tempo, si giungerebbe a un modello di autorizzazione e supervisione condizionato, simile a quello utilizzato in altri settori come come prodotti farmaceutici”.

Inoltre, giacchè l’innovazione alimentare è globale e rapida, la FSA potrebbe autorizzare nuovi alimenti ricorrendo a prove o decisioni delle autorità di regolamentazione alimentare di altre giurisdizioni e/o l’attribuzione di maggiori responsabilità all’industria.

Affidandosi dunque ad una comprensione condivisa della sicurezza dei nuovi alimenti e riconoscendo che l’innovazione alimentare è globale, la FSA potrebbe sfruttare le opportunità per collaborare in modo più formale con altre autorità di regolamentazione, il mondo accademico e altre organizzazioni.

Una scelta che non sorprende e che fa parte di una più grande strategia da parte del Regno Unito, che ha recentemente annunciato l’investimento di 12 milioni di sterline in un centro di ricerca sulle proteine ​​sostenibili e la carne coltivata. L’investimento fa parte di un più ampio piano da 120 mln di sterline -che AGRICOLAE aveva messo in evidenza al suo annuncio-  inaugurato con la strategia alimentare del governo britannico pubblicata il 13 giugno.

Cibo sintetico, Gran Bretagna investe 12 mln sterline. Per il Governo agricoltura tradizionale non basta a sfamare popolazione mondiale. L’anno scorso annuncio di un piano da 120 mln sterline

Con la Brexit il Regno Unito ha infine la possibilità di aggiornare i propri regolamenti senza dover ottenere il consenso di altre nazioni dell’UE. Le normative sui nuovi alimenti possono così essere adattate meglio per soddisfare le esigenze del Regno Unito, si legge nella sintesi del rapporto Deloitte pubblicato dalla FSA.

Alla base della decisione del Regno Unito non solo la maggiore attenzione dei consumatori verso opzioni alimentari sostenibili e più rispettose dell’ambiente, ma soprattutto una ampia fetta di mercato da conquistare.

Come evidenzia anche lo stesso report Deloitte c’è un aumento degli investimenti in nuovi alimenti, con le aziende globali di proteine ​​​​alternative che si assicurano 5 miliardi di dollari di investimenti dichiarati nel 2021, che è il 60% in più rispetto al 2020 e cinque volte l’importo raccolto nel 2019.

E il volume delle domande di nuovi alimenti potrebbe aumentare in modo significativo nel prossimo periodo.

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Di seguito i punti messi in maggiore evidenza dal rapporto Deloitte: 

  • Le mutevoli circostanze del settore richiedono un approccio diverso– Negli ultimi 10 anni c’è stata più innovazione rispetto ai precedenti 40 e i nuovi prodotti potrebbero non avere precedenti.
  • La sicurezza ha molteplici definizioni– Potrebbe esserci l’opportunità di rivedere la posizione del Regno Unito sulla sicurezza alimentare, che si tratti di una ragionevole certezza di assenza di danni (USA), di un principio di precauzione (UE, EFSA) o una via di mezzo.
  • Valutazioni del rapporto rischio-beneficio rispetto alle sole valutazioni del rischio– Sebbene la sicurezza alimentare sia fondamentale, ci sono opportunità per considerare anche vantaggi sociali più ampi (ad es. sostenibilità, impronta di carbonio).
  • Anche le autorità di regolamentazione hanno il compito di educare il pubblico– Le autorità di regolamentazione alimentare hanno l’opportunità di aiutare a educare e plasmare la narrativa pubblica e potrebbero anche concentrarsi sull’aiutare i consumatori a fare scelte informate (ad esempio requisiti di etichettatura chiari) invece di fare la scelta per loro approvando/non approvando nuovi alimenti specifici.

“Il processo di gestione del rischio, così come attualmente stabilito dai regolamenti, non consente una ponderazione sufficiente dei potenziali benefici per la società in generale, dimostrando la necessità di rivederlo in un contesto rinnovato dell’industria alimentare” conclude il report.

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Brexit, Coldiretti/Filiera Italia: disgelo riempie scaffali vuoti in Uk

Con l’aumento del 15% delle esportazioni agroalimentari Made in Italy in Gran Bretagna, che nel 2022 hanno raggiunto il valore record di 4,2 miliardi, il disgelo tra Unione Europea e Gran Bretagna puo’ contribuire a migliorare l’interscambio e a riempire gli scaffali vuoti nei supermercati Oltremanica con prezzi alle stelle per cibi e bevande. E’ quanto affermano Coldiretti e Filiera Italia che nell’esprimere un giudizio positivo sull’accordo raggiunto tra UE e Regno Unito sulla spinosa questione dello scambio di merci con l’Irlanda del Nord dopo la Brexit, chiedono pero’ attenzione ora alla effettiva implementazione.

 

La permanenza dell’Irlanda del Nord nel mercato unico UE, decisa al momento della Brexit per evitare di creare un confine fisico nell’isola dell’Irlanda, aveva di fatto creato un confine nel Mare d’Irlanda spostando i controlli alla partenza dai porti inglesi. Ora – sottolineano Coldiretti e Filiera Italia – lo «schema Windsor» indica una soluzione a questa situazione complessa introducendo un «corridoio verde» per le merci britanniche (inclusi prodotti alimentari) che restano in Irlanda del Nord, per le quali non ci saranno praticamente controlli, e un «corridoio rosso» per le merci destinate invece al mercato europeo. 

 

Secondo il Presidente di Coldiretti Ettore Prandini l’accordo rappresenta un passo avanti importante nella creazione di una partnership rafforzata con un partner commerciale importante come il Regno Unito, che è il quarto mercato di sbocco per l’agroalimentare Made in Italy, ma la sua implementazione dovrà fornire tutte le necessarie garanzie affinchè prodotti non a norma con gli standard comunitari possano poi essere liberamente commercializzati attraverso il canale verde destinato all’Irlanda del Nord.

 

Dello stesso avviso Luigi Scordamaglia secondo cui il Regno unito ha dimostrato anche dopo Brexit di essere uno dei mercati di maggiore crescita per il made in Italy alimentare ma considerando anche gli accordi commerciali che lo stesso Regno Unito sta stringendo con altri Paesi terzi, questo accordo non deve diventare la porta di ingresso di prodotti non conformi o Italian sounding. Ora dobbiamo impegnarci tutti affinchè questo accordo venga approvato nelle rispettive sedi con garanzie di rispetto delle regole e di effettivo trattamento di reciprocità. Tra l’altro semplificare gli scambi nei due sensi è interesse principalmente del Regno Unito i cui scaffali dopo Brexit sono rimasti vuoti di molti prodotti alimentari tradizionalmente provenienti dalla UE e non facilmente sostituibili.




Brexit, Coldiretti, Italia taglia ¾ import capesante da Uk

Nella guerra delle capesante i consumatori italiani si sono schierati decisamente dalla parte della Francia con un aumento degli arrivi del 520% nel 2021 mentre sono stati tagliati i ¾ degli acquisti dalla Gran Bretagna che prima della Brexit era il principale fornitore dell’Italia ed ora è stata praticamente sostituita dai cugini d’Oltralpe. E’ quanto emerge da una analisi di Impresapesca Coldiretti in riferimento all accordo sulla pesca tra il premier britannico Boris Johnson e il presidente francese Emmanuel Macron al margine del G20, sulla base dei dati Istat relativi ai primi sette mesi del 2021 che evidenziano i profondi cambiamenti del mercato delle capesante a seguito dell’Uscita della Gran Bretagna. Una disputa sulle licenze per i pescatori francesi nelle acque della Manica dopo la Brexit che – sottolinea Impresapesca Coldiretti – interessa direttamente l’Italia che è un forte consumatore del pregiato mollusco per valore delle importazioni pari a 17,2 milioni nel 2020, la maggioranza dei quali proprio da Gran Bretagna e Francia. Nonostante i circa 7500 chilometri di costa l’Italia è – continua Impresapesca Coldiretti – un forte importatore con 2 pesci consumati sul territorio nazionale su 3 che sono in realtà importati dall’estero. Una situazione determinata dal fatto che – precisa la Coldiretti – negli ultimi 30 anni la marineria italiana ha perso il 35% delle imbarcazioni e 18.000 posti di lavoro, mentre si è progressivamente ridotto il grado di autoapprovvigionamento del pescato. Si tratta della conseguenza di una disattenzione alla sostenibilità economica nei confronti di un settore che – conclude Impresapesca Coldiretti – puo’ offrire molto alla ripresa del Paese in termini ambientali, alimentari e occupazionali.




Brexit, Coldiretti, storico calo del made in italy sulle tavole Uk

Gli effetti della Brexit si fanno sentire sulle esportazioni Made in Italy di cibo e bevande in Gran Bretagna che nel 2021 per la prima volta da almeno un decennio risultano in calo (-1,3%) in netta controtendenza al balzo fatto registrare sul mercato mondiale (+12,1%). E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti su dati Istat relativi ai primi otto mesi dell’anno in riferimento alla proposta della Commissione Ue nell’ambito del Protocollo Irlanda del Nord che porta a “una riduzione dell’80% dei controlli delle merci che arrivano dalla Gran Bretagna alle coste nordirlandesi.” 

Una proposta oggetto di negoziato con la Gran Bretagna mentre – riferisce la Coldiretti – i rappresentanti di “Italia, Francia, Germania, Spagna e Paesi Bassi hanno incontrato in settimana il vicepresidente della Commissione europea, Maros Sefcovic, negoziatore post Brexit per l’Ue, per chiedergli di elaborare piani di emergenza per una possibile guerra commerciale, secondo il Financial Times che cita tra le opzioni la “limitazione dell’accesso del Regno Unito alle forniture energetiche Ue, l’imposizione di dazi sulle esportazioni britanniche” e, in “circostanze estreme, la risoluzione dell’accordo commerciale tra le due parti”.

Il tentativo di evitare una guerra commerciale dovuta all’intenzione del Regno Unito di chiedere la rinegoziazione del Protocollo non deve mettere a repentaglio – sottolinea la Coldiretti – il sistema alimentare europeo e la certezza dei controlli. 

La Gran Bretagna – continua la Coldiretti – si classifica al quarto posto tra i partner commerciali del Belpaese per cibo e bevande dopo Germania, Francia e Stati Uniti. Dopo il vino, con il prosecco in testa, al secondo posto tra i prodotti agroalimentari italiani più venduti in Gran Bretagna ci sono – continua la Coldiretti – i derivati del pomodoro, ma rilevante è anche il ruolo della pasta, dei formaggi, salumi e dell’olio d’oliva.

La proposta della Commissione che introduce eccezioni all’applicazione dei controlli su alcuni prodotti alimentari esportati dal Regno Unito verso l’Irlanda del Nord e delle disposizioni doganali post Brexit rischia di favorire l’arrivo nell’Unione Europea di cibi e bevande non conformi agli standard di sicurezza Ue ma anche contraffazioni ed imitazioni dei prodotti alimentari tutelati, dal Parmigiano al Chianti”.

Si tratta purtroppo di un rischio reale come dimostrano – sottolinea la Coldiretti – le vertenze Ue del passato nei confronti di Londra con i casi della vendita di falso Prosecco alla spina o in lattina fino ai kit per produrre in casa finti Barolo e Valpolicella o addirittura Parmigiano Reggiano.

Ma è anche possibile che senza i controlli sul rispetto delle regole sanitarie dell’unione Europea in Irlanda del Nord arrivino prodotti vietati nell’unione come il pollo al cloro o la carne agli ormoni permessi in Nord America. Senza controlli alle frontiere la Gran Bretagna – conclude la Coldiretti – potrebbe infatti diventare il cavallo di troia per l’arrivo del falso Made in Italy che nel mondo fattura 100 miliardi e che vede tra i maggiori contraffattori gli Usa, con i quali gli inglesi stanno negoziando un accordo commerciale, ma anche il Canada e l’Australia che fanno parte del Commonwealth.




Brexit, Confagricoltura: con meno controlli tra Gran Bretagna e Irlanda del nord, a rischio sicurezza alimentare e sostenibilita

“Va assolutamente scongiurato un contenzioso commerciale con il Regno Unito, che è uno dei principali mercati di sbocco per i nostri prodotti agroalimentari. Sono di fondamentale importanza anche l’integrità del mercato unico dell’Unione e il rispetto delle regole europee in materia di sicurezza alimentare e sostenibilità ambientale”.

E’ la presa di posizione del presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, sulle proposte licenziate dalla Commissione europea al fine di semplificare l’applicazione del Protocollo sulla Repubblica d’Irlanda e sull’Irlanda del Nord sottoscritto nel quadro dell’accordo sul recesso del Regno Unito dalla Ue.

Le proposte della Commissione – che dovranno essere discusse con il governo di Londra – prevedono una drastica riduzione (fino all’80%) dei controlli sanitari e fitosanitari sui prodotti agroalimentari in partenza dalla Gran Bretagna e destinati all’Irlanda del Nord che, in linea con l’accordo di recesso, è di fatto rimasta nel mercato unico e nell’accordo doganale della Ue. In questo modo è stato evitato il ripristino di un confine fisico tra la Repubblica d’Irlanda e l’Irlanda del Nord.

“Le proposte della Commissione – prosegue Giansanti – prevedono una serie di impegni delle autorità britanniche (costruzione di posti di controllo permanenti, varo di uno specifico sistema di etichettatura, monitoraggio rafforzato sulle catene di approvvigionamento), per assicurare la vendita dei prodotti interessati solo all’interno del Regno Unito, senza possibilità di accesso agli Stati membri dell’Unione”.

“Di fatto – sottolinea il presidente di Confagricoltura – affida ad un Paese terzo i controlli sull’integrità e sul funzionamento del mercato unico”.

“In caso di mancato o inadeguato funzionamento del sistema proposto, potrebbero arrivare sui nostri mercati prodotti agroalimentari non conformi alle regole della Ue, tenendo anche conto degli accordi commerciali preferenziali che il Regno Unito sta negoziando con i Paesi terzi dopo il recesso dall’Unione. Rischieremmo, inoltre, di importare anche le imitazioni dei nostri prodotti a indicazione geografica e di qualità”.

Il Regno Unito ha già siglato un’intesa commerciale con l’Australia e sono in corso le trattative per raggiungere un accordo con Stati Uniti, Nuova Zelanda e Paesi asiatici.

Le esportazioni agroalimentari dell’Italia verso il Regno Unito – ricorda Confagricoltura – ammontano a circa 3,5 miliardi di euro l’anno. Vini, in prima fila il Prosecco, e i derivati del pomodoro sono i prodotti più apprezzati dai consumatori britannici. A seguito della Brexit, nel primo semestre 2021 si è registrata una contrazione dell’export di oltre il 10%.

 

 




Brexit, Coldiretti, rischi sanitari da taglio controlli Ue

“La proposta della Commissione che introduce eccezioni all’applicazione dei controlli su alcuni prodotti alimentari esportati dal Regno Unito verso l’Irlanda del Nord e delle disposizioni doganali post Brexit rischia di favorire l’arrivo nell’Unione Europea di cibi e bevande non conformi agli standard di sicurezza Ue ma anche contraffazioni ed imitazioni dei prodotti alimentari tutelati, dal Parmigiano al Chianti”. E’ quanto afferma la Coldiretti in riferimento alla proposta della  Commissione Ue, “di salute alimentare, vegetale e animale” che porta a “una riduzione dell’80% dei controlli delle merci che arrivano dalla Gran Bretagna alle coste nordirlandesi” nell’ambito del Protocollo Irlanda del Nord. Il tentativo di evitare una guerra commerciale dovuta all’intenzione del Regno Unito di chiedere la rinegoziazione del Protocollo non deve mettere a repentaglio il sistema alimentare europeo e la certezza dei controlli.  Si tratta purtroppo di un rischio reale come dimostrano – sottolinea la Coldiretti – le vertenze Ue del passato nei confronti di Londra con i casi della vendita di falso Prosecco alla spina o in lattina fino ai kit per produrre in casa finti Barolo e Valpolicella o addirittura Parmigiano Reggiano. Ma è anche possibile che senza i controlli sul rispetto delle regole sanitarie dell’Unione Europea in Irlanda del Nord arrivino prodotti vietati nell’Unione come il pollo al cloro o la carne agli ormoni permessi in Nord America. Senza controlli alle frontiere la Gran Bretagna – conclude la Coldiretti – potrebbe infatti diventare il cavallo di troia per l’arrivo del falso Made in Italy che nel mondo fattura 100 miliardi e che vede tra i maggiori contraffattori gli Usa, con i quali gli inglesi stanno negoziando un accordo commerciale, ma anche il Canada e l’Australia che fanno parte del Commonwealth. 




Brexit, Coldiretti, esercito salva 3,6 mld made in Italy a tavola

L’arrivo dell’esercito e la concessione di nuovi visti per gli autotrasportatori stranieri, per garantire le forniture di cibo e benzina, salva anche 3,6 miliardi di export annuale di agroalimentare Made in Italy in Gran Bretagna che nel 2021 a causa delle difficoltà generate dalla Brexit per la prima volta da almeno un decennio risultano in calo (-2%). E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti su dati Istat in riferimento alle difficoltà di approvvigionamento Oltremanica per benzina e cibo con le crescenti preoccupazioni per le tavole di Natale e Capodanno. La Gran Bretagna – sottolinea la Coldiretti – si classifica al quarto posto tra i partner commerciali del Belpaese per cibo e bevande dopo Germania, Francia e Stati Uniti. Dopo il vino, con il prosecco in testa, al secondo posto tra i prodotti agroalimentari italiani più venduti in Gran Bretagna ci sono – continua la Coldiretti – i derivati del pomodoro, ma rilevante è anche il ruolo della pasta, dei formaggi, salumi e dell’olio d’oliva. Importante anche il flusso di Grana Padano e Parmigiano Reggiano. Nel primo semestre del 2021 le esportazioni agroalimentari Made in Italy in Gran Bretagna sono calate in netta controtendenza –sottolinea Coldiretti – all’aumento del 12% che si è registrato in valore sul mercato mondiale secondo l’analisi della Coldiretti su dati Istat. A pesare è stato – precisa la Coldiretti – il calo delle spedizioni dall’Italia di pasta (-27%) salsa di pomodoro (-14%), di formaggi (-6%) e vini e spumanti (-2%), in netta controtendenza a quanto avviene nel resto del mondo. A frenare l’export alimentare nazionale in Uk secondo l’analisi della Coldiretti sono le difficoltà burocratiche ed amministrative che interessano le nuove procedure doganali e riguardano anche l’aumento dei costi di trasporto dovuti a ritardi e maggiori controlli, secondo lo studio della Coldiretti. La mancanza di trasportatori – continua la Coldiretti – pesa sulla filiera agroalimentare con la Gran Bretagna che produce appena la metà del cibo che consuma ed è costretta pertanto a ricorrere alle importazioni dall’Unione Europea (30%), dalle Americhe (8%), dall’Africa (4%), dall’Asia (4%), da altri paesi del mondo. Il problema riguarda – precisa la Coldiretti – soprattutto prodotti deperibili come la frutta e verdura che per circa 1/3 viene dall’Unione Europea con oltre 250 milioni dall’Italia lo scorso anno. Le difficoltà nei rapporti tra Gran Bretagna ed Unione Europea rischiano peraltro di favorire l’arrivo di cibi e bevande extracomunitarie non conformi agli standard sicurezza Ue ma anche contraffazioni ed imitazioni dei prodotti alimentari Made in Italy, dal Parmigiano al Chianti. Si tratta purtroppo di un rischio reale come dimostrano – sottolinea la Coldiretti – le vertenze Ue del passato nei confronti di Londra con i casi della vendita di falso Prosecco alla spina o in lattina fino ai kit per produrre in casa finti Barolo e Valpolicella o addirittura Parmigiano Reggiano. La Gran Bretagna – conclude la Coldiretti – potrebbe infatti diventare il cavallo di troia per l’arrivo del falso Made in Italy che nel mondo fattura 100 miliardi e che vedono tra i maggiori contraffattori gli Usa, con i quali gli inglesi stanno negoziando un accordo commerciale privilegiato, ma anche il Canada e l’Australia che fanno parte del Commonwealth.




Brexit, Coldiretti: storico calo del made in Italy su tavole Uk

Le difficoltà nei rapporti tra Gran Bretagna ed Unione Europea rischiano peraltro di favorire l’arrivo di cibi e bevande extracomunitarie non conformi agli standard sicurezza Ue ma anche contraffazioni ed imitazioni dei prodotti alimentari Made in Italy, dal Parmigiano al Chianti. Si tratta purtroppo di un rischio reale come dimostrano – sottolinea la Coldiretti – le vertenze Ue del passato nei confronti di Londra con i casi della vendita di falso Prosecco alla spina o in lattina fino ai kit per produrre in casa finti Barolo e Valpolicella o addirittura Parmigiano Reggiano. La Gran Bretagna – conclude la Coldiretti – potrebbe infatti diventare il cavallo di troia per l’arrivo del falso Made in Italy che nel mondo fattura 100 miliardi e che vedono tra i maggiori contraffattori gli Usa, con i quali gli inglesi stanno negoziando un accordo commerciale privilegiato, ma anche il Canada e l’Australia che fanno parte del Commonwealth.




Brexit, Coldiretti, addio inglesi a dieta mediterranea, -28% pasta

Con la brexit gli inglesi abbandonano anche la dieta mediterranea con un crollo del 28% delle importazioni di pasta italiana ma a diminuire sono anche gli acquisti di extravergine di oliva (-13%) e salsa di pomodoro Made in Italy (-16%). E’ quanto emerge dall’analisi della Coldiretti sugli effetti dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea che ha provocato uno sconvolgimento degli scambi commerciali, sulla base dei dati Istat in valore relativi ai primi cinque mesi del 2021.

Il cambio nella dieta degli inglesi a seguito dell’uscita dall’Unione Europea riguarda anche – sottolinea la Coldiretti – il calo delle importazioni dall’Italia di vini e spumanti (-7%) e di formaggi (-9%) con il risultato che complessivamente Oltremanica si registra un crollo del 5% degli arrivi di cibo e bevande italiane

A pesare sull’export alimentare nazionale in Uk – continua la Coldiretti – sono le difficoltà burocratiche ed amministrative legati all’uscita degli inglesi dall’Unione Europea. Le criticità maggiori, per chi esporta verso il Regno Unito – precisa Coldiretti – interessano le procedure doganali e riguardano anche l’aumento dei costi di trasporto dovuti a ritardi e maggiori controlli. Difficoltà che mettono a rischio i 3,4 miliardi di euro di esportazioni agroalimentari annue Made in Italy con il Paese Oltremanica che si classifica al quarto posto tra i partner commerciali del Belpaese per cibo e bevande dopo Germania, Francia e Stati Uniti. Dopo il vino, con il Prosecco in testa, al secondo posto tra i prodotti agroalimentari italiani più venduti in Gran Bretagna ci sono – continua la Coldiretti – i derivati del pomodoro, ma rilevante è anche il ruolo della pasta, dei formaggi, salumi e dell’olio d’oliva e il flusso di Grana Padano e Parmigiano Reggiano.

Le difficoltà nei rapporti tra Gran Bretagna ed Unione Europea rischiano peraltro di favorire l’arrivo di cibi e bevande extracomunitarie non conformi agli standard sicurezza Ue ma anche contraffazioni ed imitazioni dei prodotti alimentari Made in Italy, dal Parmigiano al Chianti.  Si tratta purtroppo di un rischio reale come dimostrano – sottolinea la Coldiretti – le vertenze Ue del passato nei confronti di Londra con i casi della vendita di falso Prosecco alla spina o in lattina fino ai kit per produrre in casa finti Barolo e Valpolicella o addirittura Parmigiano Reggiano. La Gran Bretagna – conclude la Coldiretti – potrebbe infatti diventare il cavallo di troia per l’arrivo del falso Made in Italy che nel mondo fattura 100 miliardi e che vedono tra i maggiori contraffattori gli Usa, con i quali gli inglesi stanno negoziando un accordo commerciale privilegiato, ma anche il Canada e l’Australia che fanno parte del Commonwealth.




Brexit, Coldiretti, in controtendenza cala export cibo in Uk

In controtendenza al balzo fatto registrare delle esportazioni Made in Italy, calano solo gli acquisti di prodotti alimentari italiani in Gran Bretagna, in diminuzione del 2% per effetto delle limitazioni imposte dalla Brexit. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti sulla base dei dati Istat relativi al commercio estero nel mese di aprile 2021 rispetto all’anno precedente.

A pesare sull’export alimentare – sottolinea Coldiretti – sono le difficoltà burocratiche ed amministrative legati all’uscita degli inglesi dall’Unione Europea, che si sommano agli effetti della pandemia Covid con la ripartenza della ristorazione resa più difficile dal nuovo diffondersi della cosiddetta variante indiana del Covid.

Le criticità maggiori, per chi esporta verso il Regno Unito – precisa Coldiretti – interessano le procedure doganali e riguardano anche l’aumento dei costi di trasporto dovuti a ritardi e maggiori controlli. Difficoltà che mettono a rischio i 3,4 miliardi di euro di esportazioni agroalimentari annue Made in Italy con il Paese Oltremanica che si classifica al quarto posto tra i partner commerciali del Belpaese per cibo e bevande dopo Germania, Francia e Stati Uniti.

Dopo il vino, con il Prosecco in testa, al secondo posto tra i prodotti agroalimentari italiani più venduti in Gran Bretagna ci sono – continua la Coldiretti – i derivati del pomodoro, ma rilevante è anche il ruolo della pasta, dei formaggi, salumi e dell’olio d’oliva e il flusso di Grana Padano e Parmigiano Reggiano.

 

A pesare sulle vendite di cibo italiano sono anche le violazioni degli accordi sulla Brexit da parte degli inglesi – conclude Coldiretti – che rischiano di favorire l’arrivo nell’Unione Europea di cibi e bevande non conformi agli standard sicurezza Ue ma anche contraffazioni ed imitazioni dei prodotti alimentari tutelati, dal Parmigiano al Chianti, favorito dalla deregulation.




Brexit, De Castro: accordo Ue-Gb, solida base per future relazioni

“Abbiamo corso un rischio, ma ne è valsa la pena: l’accordo raggiunto è infatti ambizioso, con elementi innovativi che dovranno essere alla base della futura politica commerciale dell’Unione. A partire da una rigorosa parità di condizioni (Level playing field) fondata sulla clausola di non regressione degli standard produttivi, sociali, del lavoro e ambientali. Insomma, una base solida resa vincolante dalla possibilità di mettere in campo misure unilaterali di ribilanciamento della concorrenza”. Così Paolo De Castro, negoziatore S&D alla commissione Commercio internazionale del Parlamento europeo, alla vigilia del voto in Assemblea plenaria sull’accordo commerciale tra Unione europea e Regno Unito; un’intesa raggiunta ieri sera a larga maggioranza – 660 voti a favore, 5 contrari e 32 astenuti – e il cui esito è stato reso noto questa mattina a Bruxelles.
Per De Castro, si tratta comunque di un accordo che “non può rappresentare un punto di arrivo ma di partenza, in vista di relazioni future capaci di promuovere gli interessi dei nostri cittadini e delle nostre imprese, superando le barriere amministrative e burocratiche che continuano a rallentare il flusso di merci tra le due sponde della Manica. Per quelli come noi che hanno sempre creduto nel progetto europeo, la Brexit resta una ferita aperta. Ma l’Unione ha dimostrato di saper ripartire con uno slancio nuovo che, con la risposta alla crisi pandemica, getta le basi per un’Europa più moderna e sostenibile, capace di andare al di là degli interessi nazionali che tanto hanno pesato negli ultimi anni”.

Nel ringraziare il capo-negoziatore Ue per la Brexit, Michel Barnier, e tutto il team negoziale per l’estenuante lavoro svolto, De Castro ha sottolineato come il Parlamento abbia “voluto analizzare questo lavoro in modo responsabile, pretendendo e ottenendo tempi ragionevoli per esercitare le nostre prerogative, nonostante la conclusione dei negoziati all’ultimo minuto avesse messo a serio rischio la democraticità dell’intero processo”.

Rivolgendosi quindi alla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, l’europarlamentare PD ha infine osservato: “L’errore storico della Brexit, così come la mancanza di visione più volte dimostrata dal Governo britannico, non possono portarci a pensare che i futuri rapporti tra Unione e Regno Unito si limitino al campo commerciale. Abbiamo enormi interessi strategici comuni: sta a noi continuare a lavorare con l’obiettivo di ridurre le distanze che, al momento, appaiono incolmabili”.




Brexit, Coldiretti, crolla del 12,7% export made in italy in Uk

Crollano del 12,7% le esportazioni Made in Italy in Gran Bretagna nel primo trimestre successivo alla Brexit rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti diffusa in occasione del parere favorevole dell’europarlamento sull’accordo che stabilisce le regole delle future relazioni Ue-Regno Unito, sulla base dei dati Istat relativi al commercio estero nel mese di marzo 2021. I prodotti italiani più esportati in Gran Bretagna – sottolinea la Coldiretti – sono nell’ordine gli alimentari, i mezzi di trasporto, l’abbigliamento, i macchinari ed apparecchi e metalli che pagano un conto salato alla Brexit ma a diminuire sono anche le importazioni in Italia da Oltremanica che si riducono addirittura del 23,3% e riguardano soprattutto mezzi di trasporto, prodotti chimici e macchinari ed apparecchi. Le criticità maggiori, per tutti i settori che esportano verso il Regno Unito, sono riscontrabili – sottolinea la Coldiretti – a livello di procedure doganali e sono legate all’aumento dei costi di trasporto dovuti a ritardi e maggiori controlli. A pesare sono stati gli ostacoli burocratici ed amministratici che frenano gli scambi commerciali anche se – conclude la Coldiretti – va segnalata una positiva inversione di tendenza nel mese di marzo con un aumento del 14,4% delle esportazioni (e del 30,7% delle importazioni) che tuttavia non riesce a colmare le perdite dei due mesi precedenti.




Brexit, Coldiretti, crolla del 12,7% export made in Italy in Uk

Crollano del 12,7% le esportazioni Made in Italy in Gran Bretagna nel primo trimestre successivo alla Brexit rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti diffusa in occasione del parere favorevole dell’europarlamento sull’accordo che stabilisce le regole delle future relazioni Ue-Regno Unito, sulla base dei dati Istat relativi al commercio estero nel mese di marzo 2021. I prodotti italiani più esportati in Gran Bretagna – sottolinea la Coldiretti – sono nell’ordine gli alimentari, i mezzi di trasporto, l’abbigliamento, i macchinari ed apparecchi e metalli che pagano un conto salato alla Brexit ma a diminuire sono anche le importazioni in Italia da Oltremanica che si riducono addirittura del 23,3% e riguardano soprattutto mezzi di trasporto, prodotti chimici e macchinari ed apparecchi. Le criticità maggiori, per tutti i settori che esportano verso il Regno Unito, sono riscontrabili – sottolinea la Coldiretti – a livello di procedure doganali e sono legate all’aumento dei costi di trasporto dovuti a ritardi e maggiori controlli. A pesare sono stati gli ostacoli burocratici ed amministratici che frenano gli scambi commerciali anche se – conclude la Coldiretti – va segnalata una positiva inversione di tendenza nel mese di marzo con un aumento del 14,4% delle esportazioni (e del 30,7% delle importazioni) che tuttavia non riesce a colmare le perdite dei due mesi precedenti.

 




Brexit, Divulga: crolla vino italiano in Uk (-36%), sos burocrazia

Storico crollo del 36% % delle esportazioni di vino Made in Italy in Gran Bretagna per effetto degli ostacoli burocratici ed amministrativi che frenano gli scambi commerciali dopo la Brexit. E’ quanto emerge dall’analisi del Centro Studi DIVULGA (www.divulgastudi.it) sulla base dei dati Istat relativi al commercio esterno nel primo mese del 2021, dopo l’uscita dall’Unione Europea.

La Gran Bretagna – sottolinea Centro Studi DIVULGA – resta il terzo mercato di sbocco del vino Made in Italy, dopo Stati Uniti e Germania, ma le spedizioni hanno raggiunto quest’anno il minimo del decennio. I dodici (nuovi) vincoli obbligatori solo per esportare il vino nel Regno Unito nel post-Brexit – precisa il Centro Studi DIVULGA – sono solo la punta dell’iceberg di una overdose di burocrazia con la quale le imprese nazionali del settore agroalimentare dovranno dunque fare i conti. La complessa documentazione richiesta per entrare in Gran Bretagna è una delle numerose criticità evidenziate dal primo completo report sull’export nel Regno Unito delle imprese vitivinicole realizzato dal Centro Studi DIVULGA.

Si parte dall’etichettatura: fino al 30 settembre 2022 nessuna modifica, ma successivamente a tale data bisogna cambiare etichetta e indicare nome e indirizzo dell’importatore o imbottigliatore che opera nel Regno Unito.  E’ richiesto subito un certificato specifico, incerto invece il Modello VI-1-. Per il vino biologico nel 2022 scatta un certificato di ispezione. E ancora, novità sugli obblighi degli imballaggi, un nuovo codice, informazioni in etichetta che scoraggino l’uso di alcol, registrazione su Banca dati Rex per spedizioni di oltre seimila euro e infine un nuovo regime tariffario (che per il momento salva le produzioni di origine Ue).

Per le imprese si aprono dunque nuove e complesse sfide burocratiche che si rifletteranno su un business che è stato finora particolarmente ricco. Il Regno Unito – spiega l’analisi del Centro Studi DIVULGA – con un valore delle importazioni di vino e spumanti di 3,7 miliardi è oggi il secondo mercato mondiale per il settore dopo gli Stati Uniti. Nel Paese sono state inviate etichette Made in Italy nel 2020 per 714 milioni di euro di cui 324 milioni sono esportazioni di spumanti, con gli inglesi che sono i principali consumatori mondiali di Prosecco secondo la Coldiretti. Vino e bollicine sono la principale voce di esportazione dell’agroalimentare Made in Italy con oltre un quinto del totale delle spedizioni di prodotti agroalimentari in Gran Bretagna mettendo a segno negli ultimi 10 anni un balzo del 40%.

L’Italia vitivinicola – conclude il Centro Studi DIVULGA (www.divulgastudi.it) – ha conquistato spazi e negli ultimi anni è riuscita a sorpassare in bottiglie vendute nel Regno Unito le produzioni francesi. Per il nostro Paese, dunque, l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea apre uno scenario segnato da molte ombre. I nuovi adempimenti, peraltro ancora non perfettamente chiariti, rischiano di frenare i flussi commerciali e di aggravare, con ulteriori costi richiesti dalle nuove procedure, il bilancio del settore vitivinicolo già duramente provato dall’effetto Covid 19.




Brexit, De Castro: primo via libera all’accordo Ue-Regno Unito

“Restiamo convinti che la Brexit sia un errore storico, con conseguenze sociali, economiche e politiche enormi. Partendo da questi presupposti, sosteniamo convintamente l’accordo raggiunto, perché limita i danni per imprese e cittadini, in particolare sul piano commerciale, e perché garantisce un rapporto tra Unione e Regno Unito basato su commercio equo e standard elevati, evitando il dumping sociale, ambientale e normativo. Ciò non toglie che questo accordo rappresenta solo la base di una partnership più solida che ci auguriamo di poter instaurare con Londra. Molto dipenderà dal rispetto e dall’attuazione da parte del Governo britannico di tutti gli aspetti dell’accordo stesso”. Così Paolo De Castro, negoziatore S&D della commissione per il Commercio internazionale (Inta), in occasione del voto avvenuto oggi – 108 a favore, 1 contrario e 4 astenuti – alla riunione congiunta delle commissioni Affari esteri e Commercio internazionele del Parlamento europeo, convocata in seduta straordinaria per votare l’Accordo commerciale e di cooperazione tra Ue e Regno Unito.

“Si tratta di un primo passo – ha spiegato De Castro – ma prima del voto finale in Assemblea plenaria, chiediamo ulteriori garanzie sulla piena attuazione di tutti gli aspetti dell’accordo, compreso l’Accordo di recesso e il protocollo sull’Irlanda del Nord. Come Socialisti e Democratici abbiamo svolto un ruolo guida e costruttivo durante tutta la negoziazione, ottenendo misure rigorose per quanto riguarda la parità di condizioni, il cosiddetto level playing field, limitando le conseguenze negative della Brexit e proteggendo i lavoratori, i consumatori, l’ambiente e le imprese”.

“Restiamo estremamente vigili – ha concluso l’europarlamentare PD – per far sì che l’accordo sia pienamente rispettato, in particolare alla luce delle recenti violazioni unilaterali da parte del Governo di Londra dell’accordo di recesso”.

Fabiano Spera