L’Europa incassa il colpo e deve dire – almeno per ora – addio all’istituzione delle tariffe (praticamente dazi) al Marocco sulle arance che esporta in Europa.
Una decisione che potrebbe creare ulteriori problemi all’agricoltura Ue e in particolar modo all’Italia e Spagna.
Un fermo No da parte del tribunale Ue all’operato del Consiglio europeo in merito all’istituzione dei dazi sui prodotti provenienti dal Marocco – come le arance – e in merito all’accordo di partenariato sulla pesca sostenibile.
Il Tribunale europeo annulla le decisioni del Consiglio riguardanti, da un lato, l’accordo tra l’Unione europea e il Marocco che modifica le preferenze tariffarie concesse dall’Unione europea ai prodotti di origine marocchina e, dall’altro, l’accordo di partenariato per la pesca sostenibile.
Le presenti cause – si legge in una nota della Corte di Giustizia Ue – riguardano ricorsi di annullamento proposti dal Front populaire pour la libération de la Saguia el-Hamra et du Rio de oro (Front Polisario) (in prosieguo: il “ricorrente”) contro due decisioni del Consiglio che approvano la conclusione di accordi tra l’Unione europea e il Regno del Marocco.
Gli accordi approvati dalle decisioni impugnate (in prosieguo: gli “accordi controversi”) sono il risultato di negoziati condotti a nome dell’Unione europea con il Marocco per modificare accordi precedenti accordi precedenti alla luce di due sentenze della Corte di giustizia.
In primo luogo, i negoziati riguardavano la conclusione di un accordo che modifica i protocolli dell’accordo di associazione euromediterraneo relativo al regime applicabile all’importazione nell’Unione europea di prodotti agricoli originari del Marocco e il regime relativo la definizione di prodotti originari al fine di estendere ai prodotti originari del Sahara occidentale, che sono soggetti a controlli all’esportazione da parte delle autorità doganali del Regno del Marocco, le preferenze tariffarie concesse ai prodotti originari del Marocco ed esportati nell’Unione europea.
In secondo luogo, si trattava di modificare l’accordo di pesca tra la Comunità europea e il
Marocco e, in particolare, di includere le acque adiacenti al territorio del Sahara occidentale
nel suo campo di applicazione.
Con domande presentate nel 2019, il ricorrente ha chiesto l’annullamento delle decisioni impugnate.
Affermando di agire “per conto del popolo saharawi”, il ricorrente sostiene, tra l’altro, che approvando gli accordi in questione attraverso le decisioni impugnate senza il consenso del popolo del Sahara occidentale, il Consiglio ha violato gli obblighi dell’Unione europea nell’ambito delle sue
relazioni con il Marocco ai sensi del diritto dell’Unione e del diritto internazionale.
Secondo la ricorrente, questi accordi si applicano al Sahara occidentale, prevedono lo sfruttamento delle sue risorse naturali e favoriscono la politica di annessione di questo territorio da parte del Marocco. Inoltre, l’accordo di partenariato per la pesca sostenibile si applica alle acque adiacenti a tale territorio. In particolare, la ricorrente sostiene che gli accordi violano le sentenze della Corte di giustizia nella causa Consiglio/Fronte Polisario Front Polisario (C-104/16 P) e Western Sahara Campaign UK (C-266/16), che escludono tale portata territoriale.
Con le sue sentenze nella causa T-279/19 e nelle cause riunite T-344/19 e T-356/19, il Tribunale
annulla le decisioni impugnate ma decide che gli effetti di tali decisioni siano mantenuti per un certo periodo, poiché il loro annullamento con effetto immediato potrebbe avere gravi conseguenze sull’azione esterna dell’Unione europea e mettere in dubbio la certezza del diritto rispetto agli impegni internazionali che essa ha assunto. Al contrario, il Tribunale dichiara irricevibile il ricorso della ricorrente nella causa T-356/19 contro il regolamento sulla ripartizione delle possibilità di pesca nell’ambito dell’Accordo di partenariato nel settore della pesca sostenibile, a causa della mancanza di un interesse diretto.
Conclusioni della Corte
Ammissibilità dei ricorsi
In primo luogo, la Corte determina se il richiedente ha la capacità giuridica di proporre un procedimento dinanzi ai giudici dell’Unione. Secondo il Consiglio e gli intervenienti, la ricorrente
non possiede la personalità giuridica ai sensi del diritto nazionale di nessuno Stato membro, non è un soggetto di diritto internazionale e non soddisfa i criteri stabiliti dai giudici dell’Unione europea per
consentire ad un soggetto privo di personalità giuridica di essere riconosciuto come avente capacità di adire i tribunali. A loro avviso, la ricorrente non è quindi una persona giuridica ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE.
Facendo riferimento alle sue precedenti decisioni, la Corte precisa che esse non ostano a che un’entità, indipendentemente dalla sua personalità giuridica di diritto nazionale, ad essere riconosciuta come avente capacità di agire dinanzi al giudice dell’Unione, in particolare quando tale riconoscimento è necessario per soddisfare le esigenze di tutela giurisdizionale effettiva, poiché un’interpretazione restrittiva della nozione di persona giuridica deve essere esclusa. Nell’esame della personalità giuridica del ricorrente in base al diritto internazionale pubblico, la Corte constata che il ruolo e la rappresentatività del ricorrente sono in grado di conferirle una legittimazione ad agire dinanzi ai giudici dell’Unione.
A questo proposito, la Corte stabilisce che la ricorrente è riconosciuta a livello internazionale come
rappresentante del popolo del Sahara occidentale, anche se tale riconoscimento è limitato al processo di autodeterminazione di tale territorio. Inoltre, la sua partecipazione a tale processo implica che essa
ha l’autonomia e le competenze necessarie per agire in tale contesto. In definitiva, l’effettiva protezione giurisdizionale effettiva richiede che il richiedente sia considerato come avente la capacità di presentare un ricorso alla Corte per difendere il diritto del popolo del Sahara occidentale all’autodeterminazione.
La Corte conclude quindi che il ricorrente è una persona giuridica ai sensi dell’art. 263, quarto comma, TFUE e respinge l’eccezione di irricevibilità del Consiglio.
In secondo luogo, la Corte esamina l’eccezione di irricevibilità del Consiglio, secondo cui il ricorrente non ha un interesse ad agire. Per quanto riguarda la questione se la ricorrente sia direttamente interessata dalle decisioni impugnate, il Tribunale rileva che una decisione sulla conclusione, a nome dell’Unione europea, di un accordo internazionale costituisce parte integrante di tale accordo e che, di conseguenza, gli effetti dell’attuazione di tale accordo sulla posizione giuridica di un terzo sono pertinenti per valutare se quest’ultimo sia direttamente interessato dalla decisione in questione. Nel caso di specie, per difendere i diritti che il popolo del Sahara occidentale trae dalle norme di diritto internazionale vincolanti per l’Unione europea, la ricorrente deve poter far valere gli effetti degli accordi controversi su tali diritti per dimostrare che essa è direttamente interessata. La Corte ritiene che, nella misura in cui gli accordi controversi si applicano espressamente al Sahara occidentale e, per quanto riguarda la decisione relativa all’accordo di partenariato per la pesca sostenibile, alle acque adiacenti a tale territorio, essi riguardano la popolazione di tale territorio e richiedono il consenso del suo popolo.
Di conseguenza, il Tribunale conclude che le decisioni impugnate riguardano direttamente la situazione giuridica del ricorrente come rappresentante del popolo del Sahara occidentale e come una delle parti del processo di autodeterminazione di questo territorio. Infine, il Tribunale osserva che
l’attuazione degli accordi in questione, per quanto riguarda la loro applicazione territoriale, è puramente automatica e non lascia alcun margine di discrezionalità ai destinatari di tali accordi.
Il merito dei ricorsi
Per quanto riguarda il merito e, più in particolare, la questione se il Consiglio abbia violato l’obbligo di conformarsi alla giurisprudenza della Corte di giustizia relativa alle norme di diritto internazionale
applicabili agli accordi in questione, il Tribunale constata che, nella sentenza Consiglio contro Front Polisario, la Corte di giustizia ha dedotto dal principio di autodeterminazione e il principio dell’effetto relativo dei trattati obblighi chiari, precisi e incondizionati nei confronti del Sahara occidentale nel contesto delle sue relazioni con il Marocco, vale a dire sia rispettare il suo status separato e distinto e di ottenere il consenso del suo popolo in caso di attuazione dell’accordo di associazione in tale territorio. Pertanto, la ricorrente deve poter invocare la violazione di tali obblighi contro le decisioni impugnate nella misura in cui tale violazione possa riguardare il popolo del Sahara occidentale, in quanto terzo rispetto all’accordo concluso tra l’Unione europea e il Marocco. A tale riguardo, il Tribunale respinge l’argomento dalla ricorrente che sarebbe impossibile per l’Unione europea e il Marocco concludere un accordo che si applichi al Sahara occidentale, poiché tale possibilità non è preclusa dal diritto internazionale come interpretato dalla Corte.
Al contrario, il Tribunale accoglie l’argomento del ricorrente secondo cui il requisito relativo al consenso del popolo del Sahara Occidentale, come terza parte degli accordi in questione, ai fini del principio dell’effetto relativo dei trattati, non è stato rispettato.
A questo proposito, la Corte ritiene che la regola di diritto internazionale, secondo la quale il consenso
di un terzo ad un accordo internazionale può essere presunto quando le parti di tale accordo intendevano conferirgli dei diritti, non è applicabile nel caso di specie, poiché gli accordi in questione non sono destinati a conferire diritti al popolo del Sahara occidentale, ma ad imporre loro degli obblighi.
Inoltre, la Corte osserva che, quando una norma di diritto internazionale richiede il consenso di una parte o di un terzo, l’espressione di tale consenso è una condizione preliminare per la validità dell’atto per il quale è richiesto, la validità di tale consenso stesso dipende dal suo essere libero e reale, e l’atto deve essere opponibile alla parte o al terzo che ha validamente acconsentito. Tuttavia, i passi adottati dalle autorità dell’UE prima della conclusione degli accordi in questione non possono essere considerati come se avessero ottenuto il consenso del popolo del Sahara occidentale a tali accordi secondo il principio dell’effetto relativo dei trattati, come interpretato dalla Corte di giustizia. Il Tribunale afferma, a questo proposito, che il potere discrezionale delle istituzioni nelle relazioni esterne non permetteva loro, in questo caso, di decidere se potevano soddisfare tale requisito.
In particolare, la Corte constata, in primo luogo, che alla luce delle definizioni giuridiche di “popolo” e di “consenso nel diritto internazionale, le “consultazioni” condotte dalle istituzioni con il “popolo
interessate” non equivaleva ad un’espressione del consenso del popolo del Sahara occidentale. Questo approccio ha permesso, al massimo, di ottenere l’opinione delle parti interessate, anche se questo parere non determinava la validità degli accordi in questione né vincolava tali parti in modo tale che questi accordi potessero essere eseguiti contro di loro. Inoltre, la Corte considera che i vari elementi relativi alla situazione specifica del Sahara occidentale, invocati dal Consiglio, non dimostrano che sarebbe impossibile, in pratica, ottenere il consenso del popolo del Sahara occidentale agli accordi in questione, in quanto terzo rispetto a questi ultimi.
Infine, la Corte rileva che le istituzioni non possono validamente invocare la lettera del 29 gennaio 2002 del consulente legale dell’ONU per sostituire il criterio dei benefici degli accordi controversi per le questioni per le popolazioni interessate al requisito dell’espressione di tale consenso.
La Corte conclude che il Consiglio non ha tenuto sufficientemente conto di tutti i fattori pertinenti
tutti i fattori pertinenti relativi alla situazione del Sahara occidentale e ha erroneamente ritenuto di avere un grado di discrezionalità nel decidere se rispettare tale requisito.
Qui di seguito AGRICOLAE pubblica il comunicato stampa originale:
CORTE UE