“Come ministero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste cerchiamo di fare del nostro meglio per seguire le indicazioni che arrivano dalla scienza e dalla ricerca e che la politica deve provare ad attuare con una visione di carattere strategico. Io credo che sia stata un po’ questa la criticità alla quale si sta cercando di porre riparo, con una attenzione attiva all’interno dell’Unione europea certamente. Ma l’Italia è all’avanguardia, è sempre stata la prima nazione a dotarsi di una strategia forestale, secondo le linee guida che l’Unione europea aveva fornito, ma non basta, perché il quadro evidentemente è mondiale.”
Così il ministro Masaf Francesco Lollobrigida nel corso della Conferenza internazionale “The Forest Factor” organizzata dall’Arma dei Carabinieri in occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente.
“Ma non basta. Bisogna riportare l’attenzione a quel fattore foresta che tanta importanza riveste in uno sviluppo compatibile tra l’ambiente e la sua sostenibilità e la sostenibilità produttiva che deve provare a viaggiare di pari passo rispetto a questo obbiettivo. E lo può fare esclusivamente se c’è un progetto e una attenzione verso entrambi i fattori che insieme garantiscono quell’equilibrio sociale a cui l’uomo deve dedicare la propria attenzione e la propria riflessione, senza visioni ideologiche preordinate e pregiudiziali, ma con una capacità di ascolto, di attenzione, di valutazione dei parametri.
Ho potuto visitare questa eccezionale mostra che mette insieme arte – belle foto, belle immagini – con importantissimi contenuti e importantissimi metodi di innovazione che permettono di mettere in relazione gli eventi climatici, gli eventi umani che incidono sull’ambiente e le vicende che possono invece essere dei correttivi di cui l’uomo deve farsi carico. In realtà non è che abbiamo inventato granché in questo quadro. Quest’anno ricorrono cento anni dalla legge che io ritengo più importante in Italia: la legge Serpieri, che seguì la legge Luzzati del 1910, che aveva dato l’incarico al Corpo forestale il compito di manutenere il territorio. Il Corpo forestale aveva già una sua storica importanza, ma l’indicazione della Luzzati nel 1910 fu di curare il territorio. Però curare il territorio poneva dei quesiti: come farlo? E la legge Serpieri risponde a questo tipo di quesito, puntando proprio sulle foreste, sulla manutenzione, il rimboschimento, l’attenzione, la pianificazione, per contrastare un fenomeno che emergeva e del quale andavano codificati i parametri e trovate delle soluzioni che permettessero di arginare le criticità che ne derivavano, come il dissesto idrogeologico. E le connotazioni di quella norma davano degli spunti che mettevano in relazione molto attenta la forestazione da una parte, l’analisi, lo studio e la ricerca, e anche il coinvolgimento del mondo agricolo, per esempio nella manutenzione dell’alveo dei fiumi.
Ora noi, dopo cento anni, di fronte agli episodi che vediamo per esempio in Emilia-Romagna, ci poniamo questo quesito: se la manutenzione fosse corretta nei luoghi in cui gli epifenomeni alluvionali emergono, avremmo gli stessi danni, oppure ne avremmo di meno? La risposta che ci dobbiamo dare è esattamente questa? C’è la possibilità rispetto a modelli preordinati e prevedibili di eventi ormai ciclici di organizzare il sistema territoriale con una attenzione, una manutenzione che permetta di abbattere non le cause ma parte degli effetti? Io credo che la risposta sia abbastanza ovvia. C’è il problema delle frane, di quelle che ci sono state e di quelle che verranno. Sorvolando le colline emiliane è evidente che la cattiva penetrazione dell’acqua, un modello di attenzione al territorio produrrà altri effetti già visibili ai quali dobbiamo andare incontro in questa fase chiamata emergenziale ma poi con una visione strategica, e con una ricomposizione del territorio che metta in luce quanto sia importante tornare a investire in maniera coordinata e organizzata nella cura del territorio.
Per esempio una dicotomia che abbiamo voluto eliminare dal nostro Dna di governo è quella tra uomo e ambiente, anche quando cura l’ambiente. E io credo, per essere chiaro, che gli agricoltori siano, nella maggior parte dei casi, i primi ambientalisti, insieme agli allevatori. Lo dico con chiarezza. Bisogna ovviamente anche investire sul modello di agricoltura compatibile con il territorio, attraverso l’innovazione, attraverso la ricerca, certo non perseguendo pratiche distorte e distorsive di questo modello, ma valorizzando l’impegno, specie nelle aree interne, anche a volte sostenendo l’agricoltura a perdere, in termini di produttività (spesso le aree interne non sono redditizie), per permettere di tornare a una corretta manutenzione del territorio.
Per esempio in legge di stabilità, ampliandola nell’ultimo decreto legge, abbiamo permesso la raccolta della legna all’interno dell’alveo dei fiumi, e credo che in maniera organizzata si possa fare anche di più in termini di pulizia dell’alveo dei fiumi, dei fossi, per permettere il deflusso più ordinato delle acque che spesso sono la causa a valle di criticità che si presentano a monte per l’assenza di un certo modello agricolo.
Tra gli altri elementi importanti che abbiamo inserito in questi mesi, la possibilità finalmente di avere il registro dei crediti di carbonio volontari. Credo sia stato un risultato molto rilevante perché mette in condizione di incentivare anche gli interventi economici a sostegno di un modello di sviluppo, della forestazione, quindi della captazione di CO2 nell’atmosfera. Così come salutiamo con grande favore la creazione qui a Roma di un luogo fondamentale di dibattito e di pianificazione.
Io credo che si possa fare molto di più in termini di organizzazione e di un maggior coordinamento tra i vari settori della nostra ricerca, che spesso sono andati un po’ per conto proprio, autocentrando il proprio impegno e non valorizzando abbastanza le potenzialità di studio, che possono essere messe a disposizione di chi può fare il mero esecutore di strategie, che in questo caso è la politica. A nostro punto di vista non si può e non si deve mai sostituire chi ne sa di più con chi viene eletto per risolvere i problemi. C’è stato questo vizio nel tempo in cui i politici volevano insegnare ai docenti universitari come si insegnava, ai carabinieri come si faceva i carabinieri, ecc. In ogni caso non esistono sempre interessi convergenti, esistono anche interessi divergenti e la politica dovrebbe avere una visione per mettere insieme un puzzle e su quella provare a dare una soluzione. La nostra è di mettere l’Italia nella condizione di fare la sua parte anche a livello internazionale, la sua parte nella storia l’ha sempre fatta: di tornare a farla con la consapevolezza delle nostre potenzialità, cercando di efficientare il sistema e correggere gli errori delle dinamiche esistenti. Cercando di trovare norme e anche sostegno economico ad azioni di questa natura.”