Food, multinazionali alla conquista dell’energia che muove l’uomo: le Kcal. Prima Ogm, poi semi e cibo sintetico. Ora puntano alle Tea: pronti 180 brevetti

Un grammo di petrolio ha un potere calorifico di 10 kcal, l’unità di misura per calcolare l’energia che consente all’uomo di muoversi, produrre, lavorare e vivere. Un grammo di pane ha 2,7 kcal mentre un grammo di carne rossa ne ha 1,36. Se il mercato dell’Energia che muove le macchine e le industrie è oggetto di potenti lobby da quando è stato inventato il motore a scoppio, l’energia che muove l’essere umano non è da meno. Dalle chilocalorie dipende la stabilità economica e sociale dei Paesi. E le dinamiche geopolitiche del Pianeta.

Prima ci hanno provato con gli Ogm, ora con la carne sintetica. Passando per i semi. In poche parole: chi detiene il potere di gestire le chilocalorie – l’energia che muove l’uomo – possiede il mondo. Tutto il resto inteso come qualità, benessere alimentare e piacere, è un lusso. Sempre di più destinato a pochi.

Dietro la sfida di fornire alimentazione ad una popolazione mondiale in costante crescita si nasconde il pericolo di rendere appannaggio delle grandi multinazionali l’approvvigionamento di cibo, sottraendo di fatto la sovranità alimentare alle nazioni e demandando ai big dell’industria agroalimentare il compito di produrre cibo. Il tutto a danno degli agricoltori e specialmente delle piccole e medio imprese agricole che costituiscono il reticolo, non solo italiano ma mondiale, della filiera agroalimentare e garanti della sostenibilità economica e sociale dei territori.

L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura stima che il 75% della diversità delle colture sia scomparso tra il 1900 e il 2000 (FAO, Commission on genetic resources for food and agriculture assessment, The state of the world’s biodiversity for food and Agriculture, Rome 2019).

Ma il tentativo delle multinazionali di controllare la filiera agroalimentare non è recente. A partire dagli anni’90 si è assistito alla privatizzazione del mercato dei semi mediante brevetti che sempre più ha stretto il cappio attorno il collo degli agricoltori, costringendo in tal modo le imprese a dover passare attraverso i big dell’industria per poter coltivare. Così assisitiamo oggi ad un reale oligopolio da parte di poche multinazionali che tramite brevetti controllano il seme da coltivare, oltre a produrre i fertilizzanti necessari alla loro crescita. Il tutto a danno non solo delle pmi agricole, specie del sud del mondo, ma anche della biodiversità, andando in tal modo a perdere varietà. Sullo sfondo la libertà d’impresa e la perdita di sovranità alimentare. Sono in tal modo poche aziende a controllare il mercato sementiero mondiale e a decidere cosa coltivare. 

Ma quali sono queste aziende che controllano circa il 60% del mercato globale sementiero? la tedesca Bayer (che ha inglobato Monsanto), la statunitense Monsanto Agriscience, la cinese Syngenta group, le tedesche Basf e Kws, e la francese Limagrain. Le stesse che controllano circa il 70% del mercato di pesticidi e fitofarmaci.

Scriveva così Oxfam in un suo report:

“Con l’approvazione delle mega fusioni tra Dow e DuPont Pioneer, ChemChina e Syngenta, e Bayer e Monsanto , solo tre multinazionali controllano il 60% del mercato globale delle sementi e il 71% del mercato agrochimico.Ciò lascia il mondo con solo poche aziende sementiere e agrochimiche a decidere quali colture saranno allevate e coltivate per quali ambienti e sistemi agricoli. Oxfam teme che il numero crescente e la portata dei brevetti su piante, parti di piante e sequenze di DNA possano minacciare la sicurezza alimentare e nutrizionale bloccando la libera disponibilità di questi materiali per ulteriori colture e reimpianti.”

Qui il report Oxfam tradotto in italiano: 

Report Oxfam

Degli stessi pericoli avvertivano anni addietro anche le Nazioni Unite in un rapporto su diritto al cibo e semi, mettendo in guardia sui rischi derivanti dai brevetti sul sistema delle sementi e dal monopolio delle industrie. Rischi che, denunciano le Nazioni Unite, vanno dalla perdita di agrobiodiversità all’indebitamento e perdita di reddito degli agricoltori, oltre all’obbligo da parte degli Stati di garantire l’accesso al cibo e assicurare lo sviluppo di sementi non commerciali.

Qui il report delle Nazioni Unite tradotto in italiano: 

Nazioni Unite, diritto al cibo

 

Semi e Ogm, il tentativo delle multinazionali

 

Altrettanto importante è notare come queste stesse aziende mettano in commercio fertilizzanti e pesticidi necessari per garantire la resa dei semi che producono, vincolando in tal modo gli agricoltori così da renderli dipendenti ai prodotti delle multinazionali, col rischio in caso contrario di perdere il raccolto o addirittura con l’impossibilità di coltivare. 

Obiettivo delle multinazionali è sempre di più quello di “impossessarsi” dei beni primari che alimentano i popoli. Prima con gli Ogm ora con il cibo artificiale prodotto dai privati.

Il vero rischio degli organismi geneticamente modificati era infatti – al di la della sicurezza sulla salute umana per la quale è stato applicato il cosiddetto principio di precauzione senza avere di fatto alcun dato certo – era quello di mettere nelle mani di pochi il potere di produrre cibo per tanti.

Le politiche intraprese all’epoca dei Big del settore erano tese infatti a vincolare senza soluzione di continuità, l’agricoltore che coltivava – almeno una volta – il seme Ogm.

Con una serie di contratti progettati per far si che l’agricoltore diventasse dipendente a tutti gli effetti da chi produceva il seme Ogm e i fertilizzanti e i fitosanitari necessari per farli crescere. Tanto da mettere a punto contratti ad hoc sfalsati di alcuni mesi. Così che – anche nel caso in cui l’agricoltore avesse voluto interrompere la coltivazione Ogm o anche solo passare a un altro operatore del segmento, avrebbe perso una stagione di colture.

 

Dunque un mercato globale in mano a poche grandi aziende del settore agrochimico e agroindustriale che -operando spesso tramite fusioni e detenendo i brevetti- realizzano un effettivo oligopolio, il quale mette a rischio la stessa sovranità alimentare delle nazioni. Un mercato a cui guardano con interesse anche i big dell’High Tech, che sempre più sono legati al settore agroalimentare come dimostrano gli investimenti su agricoltura, zootecnia, cibo sintetico.

“Le più grandi aziende agrochimiche e sementiere del mondo hanno rafforzato il loro controllo sul mercato attraverso consolidamenti e mega fusioni. Ora stanno investendo febbrilmente in tecnologie high-tech e digitali per espandere ulteriormente il loro già solido oligopolio. Ecco perché le più grandi società di dati del mondo – Apple, Alibaba, Amazon, IBM, Google, Baidu e Microsoft, tra le altre – sono ora strettamente legate alla produzione alimentare industriale.

Così avverte il report “Foodbarons 2022” pubblicato da Etc Group, un collettivo internazionale di ricerca impegnato nella difesa dei sistemi agroalimentari.

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Cibo sintetico e multinazionali

In tale ottica si legge l’obiettivo delle grandi corporation dell’High Tech e dell’agroindustria di allungare la mano sul mercato del cibo sintetico che garantirebbe di assestare un colpo forse fatale al settore della zootecnia e dell’agricoltura tradizionale, concentrando nelle mani di pochi la produzione di cibo. Previsioni che già oggi sono realtà con le grandi aziende zootecniche e i big label dell’industria alimentare che controllano anche il mercato delle alternative della carne, dal sintetico alle varianti vegetali. 

Società come Cargill e JBS, la più grande azienda di lavorazione della carne al mondo, non solo hanno investito in tali mercati, ma hanno rilevato società più piccole, in quello che va dunque definendosi come un monopolio sul fronte zootecnico e non solo. Queste stesse aziende, inoltre, sono le stesse che si stanno unendo ad altri giganti alimentari che già controllano circa l’80% del mercato alternativo alla carne, tra cui Kellogg’s, che possiede il marchio MorningStar Farms, e Conagra, che possiede Gardein.

Secondo un rapporto di IPES-Food (gruppo internazionale di esperti e scienziati sui sistemi alimentari sostenibili, tra cui un vincitore del World Food Prize e copresieduto da Olivier De Schutter, attuale Relatore speciale delle Nazioni Unite su povertà estrema e diritti umani) il settore zootecnico rappresenta oggi il 40-50% del PIL agricolo mondiale ed è sempre più caratterizzato da vaste aziende multinazionali con un’enorme quota di mercato e potere politico. Nel 2014, le prime 10 aziende di lavorazione della carne del mondo controllavano il 75% della macellazione della carne bovina, il 70% della macellazione della carne di maiale e il 53% della macellazione del pollo. 

Fake meat, 80% controllata da multinazionali e big della carne. Prezzo modifica scelte consumatori e in Paesi Bassi quella ‘finta’ costa meno. Chi decide e’ in piattaforma di affari Wbcsd

Il caso Tea e multinazionali

Emergerebbe inoltre – secondo un report del Centro Internazionale Crocevia – che Bayer-Monsanto, Corteva, BASF e Syngenta avrebbero già richiesto e depositato  139 brevetti su applicazioni delle nuove biotecnologie per l’editing genomico sulle piante, per acquisire la proprietà esclusiva di varietà vegetali geneticamente modificate per vent’anni e rivenderle agli agricoltori.

Le stesse multinazionali avrebbero creato nel marzo 2023-scrive nel suo report il Centro Internazionale Crocevia-  l’Agricultural Crop Licensing Platform (ACLP), una piattaforma di licenza che permetterà di gestire l’offerta di processi e prodotti NGT in regime di oligopolio. Tra i membri fondatori della piattaforma, anche Limagrain, KWS, BNA, HZPC ed Elsoms Ackermann Barley. Insieme, queste imprese contano un totale 180 brevetti depositati sulle NGT.




Google-Alleanza Cooperative, la digitalizzazione a supporto delle imprese italiane. Gli interventi di Giorgetti (Mise) e Gardini

Si è svolta quest’oggi la conferenza stampa di presentazione di “Cooperazione digitale”, il progetto Google-Alleanza delle Cooperative per supportare la digitalizzazione delle imprese cooperative e no profit italiane.

Cooperazione Digitale nasce da un confronto con il Ministero dello Sviluppo Economico sul tema della trasformazione digitale delle imprese italiane, con l’obiettivo di valorizzare le imprese cooperative e non profit. Il progetto sarà realizzato grazie a un fondo da 3,5 milioni di euro di Google.org, la divisione filantropica di Google impegnata sulle principali sfide della nostra società attraverso finanziamenti, innovazione tecnologica e competenze tecniche, per supportare le comunità più vulnerabili e offrire una maggiore equità e inclusione.

 

Di seguito gli interventi: 

Google-Alleanza Cooperative, Giorgetti (Mise): Raccogliere la sfida digitale, grande occasione per le piccole e medie imprese di aprirsi al mercato

Google-Alleanza Cooperative, Gardini: Accompagnare transizione digitale per correggere disuguaglianze a dare maggiori opportunità a imprese e territori

Un fondo da 3,5 mln euro di Google.org per Alleanza delle Cooperative Italiane a sostegno dell’innovazione di imprese cooperative e non profit 

 

 




Google-Alleanza Cooperative, Gardini: Accompagnare transizione digitale per correggere disuguaglianze a dare maggiori opportunità a imprese e territori

“Siamo convinti insieme a Google di vincere questa sfida molto interessante per il paese e per le nostre imprese. Con il covid si sono create molte fratture sociali tra ceti scoiali e territori ed il rischio della digitalizzazione e della transizione digitale è quello di creare ulteriori fratture se non saremo in grado di accompagnarle.”

Così Maurizio Gardini, presidente Alleanza delle Cooperative Italiane nel corso di “Cooperazione digitale” la presentazione del progetto Google – Alleanza delle Cooperative. Un progetto per supportare la digitalizzazione delle imprese cooperative e no profit italiane.

“Dovremo essere capaci di far arrivare la rete in tutte le parti del territorio, anche quelle più remote che sono comunque un avamposto sociale. Poi c’è il tema dell’alfabetizzazione digitale che deve essere un diritto di tutti, perché oggi chi non raccoglie la sfida della digitalizzazione è un cittadino con minori opportunità. È dunque un dovere del paese far crescere questa opportunità e noi ci sentiamo questa responsabilità perché come cooperative vogliamo eliminare le fragilità, dare un diritto di cittadinanza e correggere le disuguaglianze. È un grande atto di responsabilità che vogliamo assolvere nel modo migliore” prosegue Gardini.

“Abbiamo fatto scelta di accompagnare in questo percorso le piccole e piccolissime cooperative, spesso ubicate nelle città più lontane dalle grandi direttrici metropolitane ma che spesso sono avamposti di eccellenze e legalità.”




Google-Alleanza Cooperative, Giorgetti (Mise): Raccogliere la sfida digitale, grande occasione per le piccole e medie imprese di aprirsi al mercato

“Sono questi momenti di grande cambiamento, e dunque anche tempo di investimenti, e soltanto investendo si possono affrontare le sfide che abbiamo di fronte e vincerle. L’Italia è caratterizzata da una realtà di imprese medio piccole, rappresentate in molti casi dalle società cooperative che hanno una grande capacità di resilienza e di adattamento alle circostanze, una forte capacità di cogliere il senso del tempo.”

Così Giancarlo Giorgetti, ministro dello Sviluppo Economico nel coso di “Cooperazione digitale” la presentazione del progetto Google – Alleanza delle Cooperative. Un progetto per supportare la digitalizzazione delle imprese cooperative e no profit italiane.

“Come detto questo è un momento di cambiamenti e di investimenti, il ché significa grandi opportunità ma anche grandi rischi. La rivoluzione digitale ed ecologica ha grandi costi oltre che opportunità e la capacità di seguire questi processi è la ricetta per evitare drammi di natura sociale e occupazionale. La sfida digitale va ampiamente raccolta perché anche per le piccole realtà il digitale è l’unico modo per aprirsi al mondo. Tutto ciò che è italiano riscuote sempre grande successo, siamo un brand e il digitale permette al piccolo imprenditore di poter essere presente nel mercato mondiale” prosegue il ministro.

“Questo progetto l’abbiamo seguito come ministero fin dall’inizio e l’abbiamo accompagnato perché è molto interessante che Google si muova nella direzione delle medio e piccole imprese e delle società cooperative. Questa è una sfida che può dare grandi risultati, vogliamo essere sempre più vicini al sistema cooperativo. Accordi come questi ci permettono di competere e vincere.”




Carne sintetica, Coldiretti: ecco il video che dimostra come consuma più acqua, energia e inquina di più. Per favorire multinazionali. E addio benessere animale

La carne sintetica è prodotta a partire da strisce di fibre muscolari che crescono attraverso la fusione di cellule staminali embrionali. La crescita del prodotto avviene in un Bíoreattore utilizzando le tecniche di ingegneria tessutale note da diversi anni in medicina rigenerativa. Le cellule si sviluppano in vitro e sono influenzate dalle loro interazioni con la matrice extra cellulare ossia la rete tridimensionale di glicoproteine, collagene ed enzimi. Responsabili della trasmissione di segnali meccanici e biochimici alla cellula questo prodotto di laboratorio può essere un nutriente ma non ha nulla che fare con il concetto di cibo.

E’ quanto emerge dal video trasmesso dalla Coldiretti nel corso del Forum di villa Miani a Roma sulle reali caratteristiche della carne sintetica.

“I consumatori non vogliono mangiare scienza quando si parla di cellule la percezione del consumatore si allontana dal mondo dei sapori e questo rende difficile vendere la nostra idea”, riporta Barb Stuckey, chief innovation officer Mattson.

I produttori di carne sintetica (o Frankenstein meat) tendono ad utilizzare denominazioni che evitano ogni riferimento al fatto che il prodotto non ha nessuna origine naturale e non sia mai stato parte di un animale vivo.

Per essere più appealing verso il consumatore sono state coniate denominazioni sulle quali costruire un percepito che rimanda alla coltivazione delle piante e alla salute così sono venuti fuori carne coltivata o carne pulita.

E nella narrazione diventa più utile chiamare “cultivator” l’ambiente in cui le cellule staminali crescono con il suo vero nome. Piuttosto che con il suo vero nome: bioreattore.

 

La realtà è che non è carne ma si tratta di un prodotto sintetico ingegnerizzato che non ama l’ambiente: secondo John Linch, ricercatore della Oxford Martin School, “la produzione in laboratorio potrebbe richiedere molta energia e potrebbe finire per essere peggiore per il clima rispetto alle mucche”.

Uno dei vantaggi sbandierati dei produttori di carne sintetica sarebbe quello di ridurre come vorrebbero le narrazioni più audaci eliminare impatti sui cambiamenti climatici la realtà invece è ben diversa secondo un recente studio condotto da un gruppo di scienziati della Oxford Martin School, gli impatti ambientali della carne sintetica cui è associato un intenso consumo di energia potrebbero essere maggiori rispetto agli allevamenti. Il metano emesso dagli allevamenti rimane nell’atmosfera per 12 anni mentre l’anidride carbonica legata alla produzione di carne sintetica di accumula e persiste per millenni.

Secondo i ricercatori la produzione di carne da laboratorio può provocare un maggiore riscaldamento globale.

Non solo: la carne sintetica spreca molta acqua. Secondo Jean François Hocquette dell’Inra (lo stesso istituto francese di ricerca in agricoltura da cui viene il fondatore del Nutriscore Serge Hercberg) “la carne artificiale può comportare la presenza di residui di molecole organiche chimiche nell’acqua i cui effetti sono oggi di difficile valutazione“.

Il potenziale inquinante non si ferma gli impatti climatici e molti dubbi si sono concentrati sui consumi di acqua infatti il processo di produzione della carne sintetica richiede consumi di acqua che sono di gran lunga superiori a quelli di molti allevamenti. Inoltre il processo produce enormi quantità di molecole chimiche i cui residui sono altamente inquinanti per le risorse idriche.

I sostenitori della carne sintetica raccontano che il futuro porterà a un miglioramento ma la stessa cosa vale per la carne tradizionale che sta tdrasticamente riducendo i consumi idrici.

Senza contare l’aspetto etico. Secondo Jan Van der Valk, Università di Utrecht, “durante il processo non viene somministrata alcuna anestesia il che apre un dibattito più che controverso sul benessere degli animali”.

Una delle promesse della carne artificiale è l’eliminazione delle sofferenze ma anche questa sembra smentita dai fatti. La carne coltivata richiede siero fetale bovino. Per la crescita alimentare in laboratorio richiede una coltura a base di cellule staminali di vitello: Dopo che una vacca madre è stata macellata il suo utero viene rimosso. Vengono utilizzati solo feti di età superiore a tre mesi altrimenti il cuore è troppo piccolo per perforarsi e non viene somministrata alcun anestesia

Esisteranno ancora gli animali da reddito?con quali conseguenze sui territori e sulla biodiversità? avremo in futuro solo allevamenti per utilizzare feti? è una bugia per la salute.

Secondo Eric Berg della North Dakota University, “da quando sono state pubblicate le prime linee guida dietetiche per i cittadini statunitensi nel 1977 il consumo di carne è diminuito ma i tassi di obesità negli USA sono all’incirca raddoppiati“.

I promotori della carne artificiale promuovono l’idea che consumare carne naturale faccia male. In realtà i rischi di carenza nutrizionale associati al mancato consumo di proteine animali sono ben documentati da un’ampia letteratura medica che in particolare segnala sintomi patologici gravi e talvolta irreversibili per i bambini.

Inoltre l’alto tasso di proliferazione cellulare può indurre instabilità genetica delle cellule inducendo la potenziale proliferazione di cellule cancerose sporadiche.

Infine non abbiamo finora la garanzia che tutti i prodotti chimici necessari per la cultura cellulare siano sicuri nel contesto del consumo alimentare.

C’è poi l’aspetto economico: secondo Moyano Fernandez dell’Università di Barcellona, “la carne sintetica contribuirebbe ad emarginare alcuni collettivi e rendere più vulnerabili coloro che già lo sono”.

La tecnologia usata ha costi di ingresso elevati e rendimenti di scala crescenti, tutto il necessario per la creazione di monopoli. Insomma sarà un affare per pochi. Spostare i sistemi alimentari verso la carne sintetica porta alla perdita di tradizioni basate su interazioni rispettose degli ecosistemi e sull’esperienza di ottenere cibo in modo sostenibile e rigenerativo.

Legare la produzione di cibo e la sua disponibilità all’accensione di un bioreattore produce la separazione degli attori chiave della filiera e marginalizza in particolare agricoltori e consumatori.

Finanza e hi tech puntano al governo del cibo: Solo nel 2020 sono stati raccolti 366 milioni di dollari investiti nel settore della carne artificiale.

Negli ultimi cinque anni 2016 2020 gli investimenti sono cresciuti di circa il 6000%.

Investimenti nel campo della biologia sintetica stanno crescendo molto ultimi anni e non mi ci impegnati sono soprattutto non essere protagonisti del settore high-tech e della nuova finanza mondiale e con alcuni Eric cofondatore di Google, Peter Thiel, cofondatore di PayPal; Mark Anderessen, fondatore di Netscape; Jerry Yang, co fondatore di Yahoo!; Vinod Khosla, di Sun Microsystems; Bill Gates, fondatore di Microsoft (che è anche uno dei sostenitori, assieme a Google e altri, di Eat Foundation e della piattaforma di affari (WBCSD) che racchiude le multinazionali del food con l’obiettivo di trasformare i consumi alimentari e imporre una dieta unica).




MIPAAFT-GOOGLE PER LA PROMOZIONE SUL WEB DEGLI AGRITURISMI ITALIANI. CENTINAIO: PRIMO STEP PER METTERE IN RETE IL PAESE

“È fondamentale dare risposte all’utente, dunque implementare l’aspetto tecnologico fornendo così più informazioni. Gli agriturismi hanno potenzialità enormi e molto di questi si trovano nelle zone più belle d’Italia”, ha dichiarato il ministro Centinaio nel corso della conferenza stampa che ha visto la firma del protocollo Mipaaft-Google per la promozione sul web degli agriturismi italiani.

“I nostri agriturismi ospitano 12 milioni di visitatori ogni anno, di cui il 47% viene dall’estero. C’è dunque la necessità d’informare il più velocemente possibile, essere efficaci e promuovere nel modo migliore il nostro paese e questo significa farlo anche attraverso il web. Abbiamo 21.000 aziende a livello familiare con necessità di farsi conoscere con strumenti smart e a basso costo ed adesso possono farlo, ha proseguito Centinaio. L’agricoltura vede sempre più giovani impiegati al suo interno e che in seguito diventano imprenditori anche in ambito di valorizzazione e accoglienza, il che significa che le aree rurali diventano sempre più accoglienti oggi, in grado di valorizzare anche le filiere, i produttori locali e le cantine.

Questo con Google, ha concluso il ministro, è un primo step per mettere in rete il paese e renderlo più disponibile.”

MIPAAFT: SIGLATO PROTOCOLLO D’INTESA TRA MINISTERO E GOOGLE PER PROMUOVERE OLTRE 20MILA AGRITURISMI ITALIANI

Valorizzare il comparto agrituristico nazionale, tutelarne e potenziarne le risorse su ciascun territorio sfruttando le possibilità offerte dalla tecnologia. È questo l’obiettivo del protocollo d’intesa siglato dal Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo e Google per dare maggiore visibilità sul web a circa 21mila strutture del nostro Paese.

Grazie all’accordo, gli agriturismi italiani potranno verificare ed entrare in possesso della propria pagina gratuita Google My Business, grazie alla quale potranno creare una scheda personalizzata con testi e foto, rispondere alle recensioni degli utenti e avere un riscontro immediato, oltre a uno strumento di analisi, sull’interesse verso la struttura, con un effetto positivo in termini di promozione online.

L’attività rappresenta un vantaggio diretto anche per i cittadini-utenti, perché renderà più facile individuare da qualunque dispositivo le strutture d’interesse, e quindi l’organizzazione del viaggio. Inoltre, in ottica di internazionalizzazione e valorizzazione del turismo estero verso l’Italia, le informazioni saranno automaticamente disponibili nella lingua preferenziale dell’utente straniero.

“Ormai è innegabile che su Internet bisogna essere presenti. E questo – afferma il Ministro Gian Marco Centinaio – vale sia per le imprese che per le strutture turistiche. Ecco perché la digitalizzazione rappresenta una grande opportunità per i nostri agriturismi. Con questo protocollo diamo loro la possibilità di allargare il proprio bacino di domanda, conquistare nuove fette di mercato e abbattere le distanze. Sia chiaro: è un punto di partenza, non di arrivo. Parliamo di un processo complesso che richiede competenze specifiche da parte degli imprenditori e dall’altro la creazione di strumenti validi. Possiamo fare molto, estendendo magari questo progetto dal turismo alle aziende agricole in generale. Fondamentale sarà poi raccogliere e studiare i dati che avremo a disposizione. Chi viaggia? In che periodo? Cosa chiede? Da qui dobbiamo partire per valorizzare tutti i territori, non solo le grandi città turistiche che ormai sono sature, programmare e destagionalizzare.”

“L’Italia deve ancora cogliere appieno il proprio potenziale digitale – dichiara Giorgia Abeltino, public policy Director France, Italy, Greece and Malta di Google – e questo è vero in particolare nei settori dell’agroalimentare e del turismo. Grazie a questa innovativa collaborazione siamo felici di fornire agli agriturismi italiani un nuovo strumento per farsi conoscere nel mondo, direttamente. Vogliamo continuare a lavorare con le istituzioni per promuovere l’Italia nel mondo. Dalla valorizzazione online del Made in Italy e del nostro patrimonio culturale possono nascere grandi opportunità di sviluppo e lavoro.”