ELEZIONI, SPIEGEL: IN ITALIA “CLOWN” E LA COLPA DELLA ‘SCONFITTA’ E’ DI DRAGHI. NEW YORK TIMES: ITALIA TROPPO AVVILITA PER ACCORGERSI DEL VOTO. MA BLOOMBERG: “INVESTITE IN TITOLI DI STATO ITALIANI”

L’Italia ago della bilancia delle sorti europee. Negli ultimi scampoli di campagna elettorale, i più autorevoli giornalisti politici hanno rinunciato ai pronostici della “fantapolitica italiana”, come la chiamava El Mundo una settimana fa, per allargare lo sguardo oltre l’Italia e riflettere sul presente e sul futuro dell’Europa, qualcuno prediligendo i nodi politici, qualcun altro dando spazio soprattutto ai fattori economici. Quasi tutti però concordi su un fatto: l’Unione europea non naviga in acque tranquille (e tantomeno l’eurozona).

E, a quanto pare, sotto le attese pre-elettorali, sotto l’insistenza su temi importanti come l’immigrazione o la recrudescenza di neofascismi e razzismi, covano tensioni che assumono una portata geopolitica di non poco conto per il Vecchio Continente.

Eppure diverse fonti finanziarie, giornalistiche e non, ci hanno tenuto a gettare ancora acqua sul fuoco, assicurando che gli investitori (ossia, detto più chiaramente, i detentori di titoli italiani) non sono preoccupati dall’esito del voto. Una delle testate che con maggiore insistenza ha ribadito questa imperturbabilità finanziaria è Bloomberg, la quale scrive che “un nuovo cast al governo non cambierebbe granché”. Tanto che colossi finanziari come Barclays e Morgan Stanley “raccomandano di acquistare titoli di Stato italiani”. A impensierire seriamente i detentori di titoli sarebbe solo un governo fortemente euroscettico, insomma quello che è ormai diventato lo spettro di famiglia dell’Europa. Un’ipotesi, sempre a detta di Bloomberg, ormai altamente improbabile.

Ciononostante, c’è chi vede ancora molti campanelli d’allarme e non mancano critiche feroci, non soltanto verso Berlusconi, da sempre sotto la lente impietosa della stampa estera, ma verso un’intera classe politica che, come ha scritto il Wall Street Journal in un editoriale della testata (27 febbraio), “non è all’altezza delle sfide cui è chiamato il paese”.

Le Monde, in un editoriale del giornale dal titolo poco rassicurante (“Europa: la minaccia italiana”, 27 febbraio), afferma che l’ultima cosa di cui ha bisogno l’Europa in questo momento, mentre la Germania cerca se stessa e il Regno Unito si prepara a partire, è che l’Italia si perda per strada. Naturalmente con tale smarrimento la testata francese intende la vittoria dei partiti euroscettici e “antisistema”, che minerebbe la coesione dell’Ue. Eppure lo stesso Le Monde si accorge – come, evidentemente, quell’entità un po’ ineffabile che sono “gli investitori”, oltre che il resto della stampa estera – della nuova prudenza dei Cinque Stelle e della Lega rispetto all’euro; per quanto, secondo il giornale francese, essa sia dettata da “una scelta tattica, ispirata dalla prospettiva di una vittoria imminente”. Le Monde azzarda anche una previsione: “Una grande coalizione tra il centrosinistra e il centrodestra pare ogni giorno più improbabile”.

A questo punto il giornale decide di dare un respiro diverso alla sua analisi, ravvisando nella campagna elettorale e nell’Italia del 2018 “quasi tutti i sintomi della crisi delle democrazie occidentali”: indebolimento dei partiti politici tradizionali, ascesa degli estremismi, spinte antisistema, disaffezione dell’elettorato e un astensionismo elevatissimo. Con un “tocco locale: la crescita delle formazioni neofasciste”. Per questo il giornale spera vivamente che, il 4 marzo (data delle elezioni italiane e del responso sul referendum interno all’Spd riguardo alla grande coalizione), l’Europa “si rimetta in marcia”.

A proposito di “marcia”, è l’inglese Times a fare chiaramente il nome di Macron (1° marzo), dicendo che “il grande sconfitto del voto italiano e di quello tedesco” sarebbe proprio il presidente francese. Vediamo perché. Il nuovo governo italiano, di qualsiasi colore, potrebbe attuare misure “populiste” che metterebbero a rischio la tenuta dell’economia italiana – ad esempio con un dietrofront sulla riforma pensionistica e del lavoro, o con un aumento della spesa pubblica – e ridurrebbero la fiducia dei soliti investitori. Certo, secondo la testata conservatrice, l’economia italiana pare tenere e potrebbe resistere a una fase di incertezza politica, “soprattutto se rimarrà in carica l’attuale governo Gentiloni a fare da garante”. Il secondo spauracchio sarebbero il mancato accordo in Germania e le conseguenti nuove elezioni. Ora, questi due scenari metterebbero “una seria ipoteca su un accordo per una riforma complessiva dell’eurozona da discutere al vertice dei leader Ue previsto per giugno”. Il punto è che “Macron ha investito un grande capitale politico in queste ambizione riforme”, e quindi vuole portare a casa il risultato.

mACRONIl nome del “riformatore Macron” ritorna anche nel già citato editoriale del Wall Street Journal: “Persino la Francia – scrive il quotidiano americano – ha prodotto un riformatore come Emmanuel Macron, mentre dalla classe politica italiana non riesce a emergere un solo candidato davvero convincente. Andrà così fino a quando gli elettori non pretenderanno e non premieranno i veri riformatori”. Invece è certo che il 4 marzo “gli elettori puniranno Renzi”, perché a quanto pare non hanno capito la bontà “delle sue modeste ma essenziali riforme, come l’innalzamento dell’età pensionabile e la cauta liberalizzazione del mercato del lavoro”. Sarà forse per questa durezza di comprendonio che l’Italia è “il nuovo malato dell’Europa”, come il WSJ ha scelto di titolare il suo autorevole commento, dando così anch’esso un orizzonte europeo al voto italiano.

Tra le analisi che chiamano in causa l’Europa intera e che più fanno riflettere vi è quella dello storico commentatore del Financial Times Tony Barber (27 febbraio). Sul più autorevole quotidiano finanziario, Barber decide di esaminare lo stato del centrosinistra in Europa. Secondo lui, l’ascesa dei partiti populisti, solo apparentemente arginata nel 2017, è il frutto del fallimento della socialdemocrazia, che non ha saputo occuparsi dovutamente della “minaccia ai valori culturali e della precarietà economica”. I partiti socialisti e laburisti di Francia, Olanda e Repubblica ceca hanno subito pesanti sconfitte, e così pure l’Spd tedesca. I partiti di sinistra, prevede Barber, saranno presumibilmente sconfitti anche in Ungheria, quest’anno, e in Polonia l’anno prossimo. Questo declino, però, non significa – ed è emblematico che a dirlo sia un commentatore del Financial Times – “che le politiche sociali ed economiche normalmente associate alla sinistra abbiano perso la loro importanza. Al contrario, milioni di elettori vogliono uno Stato sociale che li tuteli e sono stufi di lavori precari, disuguaglianza sociale e globalizzazione incontrollata”. Il problema è che “molti elettori non hanno più fiducia nel centrosinistra”. Troppi socialdemocratici, nel primo decennio di questo secolo, “hanno tollerato gli eccessi del capitalismo finanziario e sono stati poi complici del centrodestra nel far pagare il conto ai meno abbienti”. Secondo Barber, così come aveva già detto la scorsa settimana Lorenzo Marsili su Al Jazeera, “la crisi del centrosinistra rientra in una crisi più ampia della democrazia rappresentativa europea”. È tempo, dunque, “che la sinistra dia risposte a domande per troppo tempo rimaste inevase”.

A una conclusione pressoché identica giunge il giorno dopo (28 febbraio) il professor James Newell in un commento su un altro quotidiano inglese, questa volta progressista, il Guardian. Evidentemente le grandi correnti politiche che attraversano l’Europa sono ormai percepite distintamente, e forse – a giudicare da ciò che scrivono esperti di tale caratura – è da prendere con le pinze l’idea per cui destra e sinistra sono ormai scomparse dal dizionario e dall’atlante politico.

“Divisa al suo interno e distante dalla classe lavoratrice”, scrive Newell, “in Italia la sinistra è in affanno per gli stessi motivi per cui lo è nel resto d’Europa”. A parte le considerazioni di breve termine sulla situazione italiana – e in particolare sulla difficoltà di Renzi di tradurre il favore verso il governo Gentiloni in voti utili, per via “della scarsa popolarità del segretario Pd” –, “dalla caduta del Muro di Berlino a condurre il gioco è stato un capitalismo sfrenato”. Di conseguenza, “una classe lavoratrice che non si riconosce più come tale”, anche per colpa dell’abdicazione culturale della sinistra, “si sente minacciata dall’immigrazione e percepisce l’abisso tra sé e le élite”, ossia tutti coloro che sono al riparo dai colpi della globalizzazione, non solo i grandi capitani dell’industria e della finanza, ma tutte le classi privilegiate. Si è creata così una spaccatura tra la sinistra cosiddetta “rispettabile” e la sinistra radicale antisistema, che pure deve competere con il Movimento Cinque Stelle. “Da sempre faro della sinistra in tutta Europa, oggi la sinistra italiana fa fatica a dare risposte popolari alla crisi sociale ed economica”.

Riflessione simile, nello stesso giorno, quella del New York Times. “Ci sono le elezioni, ma gli italiani sono troppo avviliti per farci caso”, titola il quotidiano americano. In questo reportage, Taranto, dove “il datore di lavoro ideale è la fatiscente acciaieria che domina questa degradata città sul Mar Ionio”, diventa la lente attraverso cui il NYT osserva lo svilimento di milioni di italiani, soprattutto del Sud, soprattutto giovani, che non vedono all’orizzonte occasioni di realizzazione professionale e umana e pensano che “la classe politica non sia riuscita a rivitalizzare una economia anchilosata, in cui le élite hanno case al mare, macchine di lusso e guardaroba stravaganti e le banche destinano i soldi ad aziende con gli agganci politici giusti”. La ripresa economica c’è stata, ma il problema dell’Italia, “e del resto del mondo”, è che “il successo delle aziende non sfocia più in una crescita dei posti di lavoro”. In questo contesto, “gran parte dell’elettorato italiano mostra indifferenza o disprezzo verso le prossime elezioni”.

Poi, immancabile, arriva la stampa tedesca a dare la sua visione pragmatica e a ricordare zelantemente agli italiani i loro mali, a pochi giorni dal 4 marzo, quando non solo in Italia ma anche in Germania i nodi verranno al pettine. Se un decano della Frankfurter Allgemeine Zeitung come Tobias Piller ci elenca, sulla falsariga del Fatto Quotidiano (che cita), tutti gli impresentabili della campagna elettorale, l’influente settimanale Spiegel (quello della copertina con il piatto di spaghetti sormontati da una pistola) pubblica un editoriale di Jan Fleischhauer il cui titolo lascia poco all’immaginazione: “Con i clown arrivano i debiti”. In effetti, come non aspettarsi una staffilata del settimanale tedesco? Ormai è quasi una tradizione.

I clown, nello specifico, sono Berlusconi e Grillo. Mettiamola così, dice Fleischhauer: “Si possono trarre le dovute conclusioni sulla maturità mentale ed emotiva di un popolo dai politici che scelgono di mandare al potere. Gli adulti scelgono gli adulti, i bambini scelgono i pupazzi”. Vedremo lunedì se gli italiani sono adulti o bambini, secondo il giornalista. Fleischhauer ci tiene a spiegare che ogni volta che in un paese vicino così importante si tengono delle elezioni, un tedesco osserva sempre con attenzione. Tanto più se fa parte della stessa unione monetaria. E qui sta il problema. “Se i creditori si convinceranno che non rivedranno i loro soldi, allora scapperanno. E nemmeno la potente Germania potrà venire in soccorso”. La paura, tale da generare una sorta di terrorismo psicologico, è insomma che si materializzi uno scenario politico tale per cui l’onere del debito pubblico di cui la Bce si è fatta carico tramite l’acquisto di titoli di Stato (circa 300 miliardi dal 2015 al 2017, stando al giornalista) ricada su tutta l’eurozona, e nello specifico sulla Germania, per quanto “i tedeschi siano molto pazienti”. Insomma, “il debito italiano ora è anche il nostro debito”, chiosa Fleischhauer. La “sconfitta ha un nome”, secondo l’analista tedesco: si chiama Mario Draghi. Lasciando velatamente intendere che le misure di Draghi e della Banca centrale europea siano state progettate appositamente per l’Italia, e non per tutti i paesi europei in difficoltà e per calmierare il mercato e lo spread, Fleischhauer dice che “il programma di acquisto di obbligazioni della Banca centrale europea ha portato all’Italia 45 miliardi di euro di risparmio sugli interessi nei quasi tre anni del governo Renzi”. Le ansie del giornalista sembrano però in controtendenza rispetto alle indicazioni delle banche d’affari ad acquistare titoli italiani di cui si diceva poc’anzi. Forse per questo, come riferisce lo stesso Fleischhauer, in una recente conferenza stampa “Draghi ha ‘riso’ delle paure della Germania”. In ogni caso, i tedeschi devono vedersi prosciugare il conto mentre “il Sud se la può cavare senza misure di austerity”. Ecco perché, conclude, “chi fa di un buffone come Grillo la prima forza politica o riporta in auge un artista delle tinture per capelli come Berlusconi, non merita che di essere preso in giro”. L’ultima volta che Fleischhauer ha scritto dell’Italia, il caporedattore di Spiegel ha ricevuto una lettera direttamente dall’ambasciatore italiano a Berlino.

bilancio


Non è solo lo Spiegel ad aver motteggiato, diciamo così, l’Italia. Ci ha pensato anche un comico inglese ma trapiantato negli Stati Uniti, John Oliver, molto popolare soprattutto tra l’elettorato di tendenze democratiche; una sorta di Crozza americano. Durante il suo programma Last Week Tonight ha dedicato diversi minuti a ironizzare su tutti i leader politici italiani, definendo ad esempio Salvini “una Mary Poppins fascista, quindi in sostanza Mary Poppins”, per poi lanciare l’idea di candidarsi anche lui, da comico, alla premiership in Italia. Il video ha fatto il giro del mondo e d’Italia.

Infine, forse stremata dalla “campagna elettorale più deprimente di sempre”, l’inviata di lungo corso Giada Zampano ne ha voluto segnalare su Politico i “momenti più strani e divertenti”. In cima alla classifica il consiglio di Berlusconi alla reporter della BBC di ingentilire la sua stretta di mano per non rischiare di “non trovare marito”; al secondo posto, lo spot di Renzi con la tipica famiglia italiana, che ha dato vita a mille versioni parodistiche; al terzo, il fotomontaggio della Meloni su una sedia con la chitarra in mano durante un comizio; al quarto, la campagna “a premi” di Salvini su Facebook; infine, gli strafalcioni lessicali di Di Maio.

Lunedì sapremo quale risata ci seppellirà.

di Valentina Nicolì