Reddito agricoltori, Carloni: bene l’ok della Camera alla legge per fissazione prezzi minimi. VIDEOINTERVISTA

Dobbiamo fare in modo che il prodotto e questo tipo di attività, sia remunerazione. Una delle cose che stiamo perseguendo, non oggi ma da un anno in Comagri era rappresentare una proposta di legge che riguardasse la fissazione dei costi per la cessione della materia prima vincolata ai costi minimi di produzione. Se voi avete osservato attentamente i trattori che protestavano qualche giorno fa c’era scritto Fissiamo i costi di produzione, rispettate i costi di produzione”.

Così Mirco Carloni, presidente Commissione agricoltura della Camera, a margine dell’evento Generazione formaggi, la formula vincente del dop, organizzato oggi a Roma.

“Tutto questo significa che nella filiera agroalimentare, oggi, possono entrare a volte materie prime che arrivano da paesi terzi, a volte, come il latte che stamattina al Brennero è stato fermato, altri prodotti che vengono acquistati dalla nostra filiera agroalimentare ad un prezzo che è sotto il costo di produzione. Questo è un fatto che l’Italia poteva fermare da molto tempo su iniziativa di tutta la Commissione Agricoltura.

Oggi pomeriggio è stata approvata questa proposta di legge alla Camera dei deputati in Aula, che fissa e dà la delega al Governo per stabilire di anno in anno, in base alle variabili, quali sono i costi minimi per la cessione della materia prima. Credo che questa sia una risposta di grande importanza e che va veramente al cuore del problema che hanno gli agricoltori in questo momento, cioè di poter guadagnare dai loro sacrifici”.




Ripristino natura, assessore Beduschi (FdI Lombardia): legge è inaccettabile

“Oggi arriva l’ennesima prova che questo Parlamento europeo, con la sua visione ideologica ed estremista, non solo vuole affossare definitivamente il nostro sistema produttivo agricolo, ma è anche nemico dell’ambiente”. Così l’assessore regionale all’Agricoltura, Sovranità alimentare e Foreste, Alessandro Beduschi, commenta l’approvazione, da parte del Parlamento europeo, della legge sul Ripristino della natura. La nuova legge fissa l’obiettivo di ripristinare almeno il 20% delle zone terrestri e marine dell’Ue entro il 2030 e tutti gli ecosistemi entro il 2050. “Il messaggio di questo provvedimento è: smettete di coltivare la terra e quel poco che vi permettiamo di fare sarà sempre più sottoposto a vincoli, mentre al vostro cibo penseranno Paesi che se ne infischiano delle regole. Un approccio ridicolo e pericoloso”.

“Pensare che nel 2024 l’uomo non debba governare l’equilibrio naturale ma osservarlo passivamente è folle”, prosegue Beduschi, “anche perché viviamo in un periodo storico in cui la densità di boschi e foreste è al massimo livello da secoli. Abbandoniamo i campi, distruggiamo gli argini artificiali dei fiumi e facciamo proliferare specie selvatiche invasive fino alle nostre case. Questo è il messaggio che oggi ci arriva da Strasburgo e che non può essere tollerato”.

“Gli stessi che in queste settimane criticano Regione Lombardia e si ergono a paladini dell’agricoltura”, conclude, “oggi hanno gettato la maschera, votando proprio questo provvedimento. Questa è la loro coerenza: sono ‘pro-agricoltura’ quando ci sono i trattori nelle piazze, poi in Europa alzano la mano contro il settore primario”.




Patronati: governo e opposizioni d’accordo su riforma legge. Inac-Cia incassa risultato

Gelera e Caridi (Inps) confermano il ruolo centrale degli enti di pubblica utilità, a cui
riconoscono l’universalismo ma anche la prossimità. Via libera al mandato digitale e ok sul trasferimento di alcune competenze del Ministero su Inps

Dal primo meeting nazionale promosso dall’Istituto Nazionale Assistenza ai Cittadini si
acclara una sostanziale convergenza tra pubblica amministrazione, Governo e i patronati
più rappresentativi del Paese. “Per le persone: innovarsi con i valori di sempre” è lo slogan
che è stato adottato e condiviso da tutti componenti della tavola rotonda, chiamati a
discutere sul tema “Il futuro dei Patronati tra sfide digitali in una società che evolve”. La
relazione introduttiva del Presidente di Inac-Cia ha indicato non solo le coordinate del
patronato del futuro, ma anche sollevato le criticità e i nervi scoperti. Ha accolto le istanze
la commissaria dell’Inps Gelera nel suo intervento inaugurale dei lavori, testimoniando
l’orizzonte collaborativo e sinergico tra Istituto di Previdenza e Enti di Pubblica Utilità. A
rafforzare la richiesta di una riforma normativa ormai datata di 23 anni, è intervenuto il
presidente nazionale della Cia- Agricoltori Italiani Cristiano Fini.
Gli addetti ai lavori hanno confermato la necessità e l’urgenza di riformare la Legge n.152
del 2001, definita inefficace, obsoleta e addirittura antieconomica. I protagonisti della
tavola rotonda hanno accolto e recepito la strategia in 5 punti presentata dal presidente di
Inac Mastrocinque e che sarà consegnata anche al Sottosegretario al Lavoro Claudio
Durigon, che ha delega sul comparto.

I CINQUE PUNTI INDICATI DA INAC PER UNA RIFORMA DEL SISTEMA PATRONATI

1. Ufficializzare l’inserimento del mandato digitale da parte di Inps
2. Spostare le risorse oggi previste per il “telematico” e indirizzarle su capitoli diversi, legati
alla qualità dei servizi, la sostenibilità economica e il funzionamento di strutture e uffici di
patronato;
3. Trasferire la gestione dei pagamenti, sull’attività finanziata ai patronati, dal Ministero del
Lavoro all’Inps, favorendo lo snellimento dei sistemi di controllo e accelerando il
meccanismo di liquidazione delle spettanze. Inac-Cia ritiene necessario pianificare un
controllo “veloce” ottimizzando i tempi, passando dagli attuali 5 anni a 1 anno, in cui consentire il conteggio dei punteggi e la verifica dell’operatività conseguita per procedere
al pagamento.
4. Applicare i parametri di qualità del lavoro del patronato attraverso una premialità, ben
codificata.
5. Aumentare il fondo di finanziamento destinato ai patronati, ripristinando l’aliquota
originaria, antecedente al taglio disposto nel 2014.

L’Inps, attraverso le parole della commissaria straordinaria Micaela Gelera prima, e del
direttore generale Vincenzo Caridi poi, offre una importante apertura alle richieste del
Patronato. A partire dal mandato di patrocinio digitale, la disponibilità a condividere le
banche dati per garantire l’interoperabilità, l’acquisizione della titolarità per i pagamenti e il
conseguente trasferimento dal Ministero del Lavoro all’Istituto di Previdenza.
Oltre ai rappresentanti Inps, i due raggruppamenti più importanti dei Patronati
rappresentanti da Anna Maria Bilato del Cepa e Valter Marani del Cipla, e gli interventi
dell’On. Chiara Gribaudo Commissione Lavoro alla Camera e dell’On. Michele Gubitosa
vice presidente del Movimento 5 Stelle hanno sottolineato il ruolo di primo piano espresso
dagli enti di pubblica utilità, e l’urgenza di una riforma che non guarda soltanto all’impianto
normativo, ma anche all’operatività: i patronati non viaggiano sul binario della
digitalizzazione.
Ad oggi, alla luce del grande cambiamento del tessuto sociale ed economico, un
ampliamento della forbice delle disuguaglianze sociali e un incremento delle povertà,
aumenta la domanda di welfare e quindi dei lavoro dei patronati. Proprio per rispondere
alle mutate esigenze del contesto e offrire risposte celeri ed efficaci ai cittadini, il Patronato
Inac -Cia si fa interprete della necessità di costruire una nuova infrastruttura sociale e
rinnovare la rete di relazioni e servizi da mettere in campo. Non solo. Inac- Cia chiede
l’introduzione di una soglia di sbarramento, per creare un imbuto sulla qualità, rispetto alla
stragrande fioritura di uffici che promuovono servizi e consulenze “magari creando dei
danni alla PA, ai cittadini e ai Patronati stessi” come è emerso dalla relazione del
Presidente Mastrocinque.
Ammodernamento, valorizzazione, semplificazione e territorialità sono i pilastri indicati dai
rappresentanti dei Patronati. I due esponenti, nell’accogliere le istanze di Inac, hanno
sottolineato la qualità espressa dai servizi e dalle strutture ma soprattutto dal capitale
umano, formato e specializzato. Bilato e Marani hanno indicato anche un ulteriore
traguardo: le consulenze, che pure mirano ad entrare nella gamma dei servizi erogati dai
patronati e attendono puntuale concertazione, tale da tradursi in valore economico.




BIO, LEGGE FERMA AL SENATO E OPERATORI SCRIVONO A GRASSO. ITALIA RESTA AL PALO CON REGOLAMENTO CONTROLLI E REGOLAMENTO UE

BIO

La legge sul biologico è ferma al Senato. E operatori prendono carta e penna e scrivono al presidente di Palazzo Madama. In gioco uno dei settori trainanti del Made in Italy

La legge sul biologico è ferma al Senato. E gli operatori prendono carta e penna e scrivono al presidente di Palazzo Madama. In gioco uno dei settori trainanti del Made in Italy che ha registrato negli ultimi anni un trend in crescita costante. La legge – che riguarda circa 60mila aziende e aveva l’ok di tutti i partiti politici – doveva essere la prima ad essere approvata dopo la legge di Bilancio. Ma il caos emerso sul Ius Soli ha fatto slittare il calendario anteponendo alla capigruppo altri provvedimenti. Attualmente l’Italia rimane dunque con un regolamento Ue che non piace a tutti (anzi a pochi) e un regolamento sui controlli mal visto dagli operatori del settore. Nel frattempo continuano ad entrare i prodotti dall’estero.

BIOLOGICO, LEGGE BLOCCATA AL SENATO. FIORIO, PD: GOVERNO INTERVENGA

“L’Italia ha bisogno della legge sull’agricoltura biologica: si tratta di un provvedimento, già approvato dalla Camera e fermo ormai da mesi al Senato, fondamentale per un settore in continua crescita, che conta ormai oltre 60mila aziende”: è quanto dichiara Massimo Fiorio, deputato Pd e primo firmatario della proposta di legge.

“Il nostro paese è il secondo esportatore mondiale – continua Massimo Fiorio –, questa legge favorirà l’associazione delle nostre aziende biologiche permettendo loro un più puntuale ed esteso ingresso nel mercato internazionale prodotti, rispondendo così meglio esigenze del mercato globale. Anche per controbilanciare gli effetti del Regolamento comunitario sull’agricoltura biologica che, ad una prima lettura, potrebbe creare problemi al comparto italiano”.

DDL BIO FERMO AL SENATO. CONFAGRICOLTURA SOLLECITA IL PARLAMENTO AD APPROVARLO ENTRO L’ANNO

Confagricoltura fa appello ai senatori affinché sia calendarizzata al più presto la discussione in aula sul disegno di legge sull’agricoltura biologica.

“Gli agricoltori biologici italiani hanno bisogno che la legge sull’agricoltura biologica venga approvata entro la fine della legislatura – ha evidenziato Paolo Parisini, presidente della Federazione nazionale di prodotto agricoltura biologica di Confagricoltura -. Non si può disperdere il prezioso lavoro portato avanti dal Parlamento a favore di un settore che necessità di regole innovative per assicurare, da una parte un ulteriore sviluppo e dall’altra parte garantire sempre più il consumatore”.

Il testo normativo già approvato dalla Camera e dalla Commissione Agricoltura del Senato mette a disposizione degli operatori nuovi strumenti che permetteranno al settore di migliorare la propria organizzazione e di assumere un ruolo importante nella filiera a fianco della trasformazione e distribuzione.

“Senza indicazioni specifiche sulle modalità di costituzione dell’organizzazione interprofessionale, sulle nuove regole per le organizzazioni dei produttori e sui biodistretti, il settore, composto per il 90% da aziende agricole, rischia – ad avviso di Confagricoltura – di non fare quel salto di qualità necessario per confrontarsi con le grandi multinazionali della trasformazione e della distribuzione”.

Ha concluso Confagricoltura: “L’approvazione definitiva della legge permetterebbe di riportare il buon umore nel settore dopo  l’inopportuna  approvazione del nuovo regolamento europeo sull’agricoltura biologica che, anche con l’approvazione dell’Italia, rischia di causare danni ingenti alla nostra agricoltura”.




CAPORALATO, TROPPE FALLE NEL SISTEMA. A RIMETTERCI I LAVORATORI, LE AZIENDE SERIE E TUTTO IL MADE IN ITALY. E CHI TRUFFA PRENDE ANCHE I SOLDI DA AGEA

 

Il fenomeno del Caporalato va oltre lo sfruttamento del lavoro, le vessazioni e in alcuni casi la morte di chi lavora nei campi. Si traduce spesso in una vera e propria truffa anche nei confronti delle aziende oneste che pagano al prezzo di mercato e i cui contratti non vengono rispettati. A danno, oltre di chi lavora la terra, anche di chi trasforma il prodotto fino – a cascata – al consumatore finale e a tutto il made in Italy.

E il sistema? Nonostante la soddisfazione dei ministri competenti Martina, Poletti, Orlando e Minniti, la legge, a un anno dall’entrata in vigore, fa ancora acqua.

I lavoratori vengono ancora sfruttati, i controlli non sono sufficienti e le aziende non possono sostituirsi alle forze dell’ordine entrando nelle proprietà private per assicurarsi che i vincoli contrattuali da loro posti siano rispettati. Per poi magari ritrovarsi in mezzo alle carte della procura. Ci sono i nomi di importanti aziende di trasformazione del pomodoro nella nota consegnata dai carabinieri alla Procura di Lecce nell’ambito delle indagini che hanno portato al rinvio a giudizio per omicidio colposo e caporalato dell’imprenditore salentino Giuseppe Mariano e del sudanese Mohamed Elsalih (detto Sale).

Le aziende citate nella nota, ma non indagate, sono Conserve Italia; la Fiordagosto, di proprietà dell’industria conserviera Mutti; la Rosina Srl di Angri, in provincia di Salerno.

Le indagini si riferiscono alla morte, nel luglio del 2015, del quarantasettenne sudanese Abdullah Muhamed mentre era impegnato nella raccolta del pomodoro nelle campagne salentine. Mariano, nello specifico, è accusato di aver consapevolmente sfruttato e agevolato l’attività “organizzata di intermediazione” e di prevaricazione del presunto caporale Sale per avvalersi di lavoratori “corrispondendo loro un compenso di gran lunga inferiore a quello previsto dai contratti collettivi nazionali di lavoro […], approfittando dello stato di bisogno, necessità e vulnerabilità, […] inducendo i lavoratori ad effettuare prestazioni lavorative nei campi in condizioni di assoluto sfruttamento”, senza “una preventiva visita medica”, “in assenza di erogatori gratuiti di acqua potabile”, ma con la sola “presenza di pozzi/cisterne non autorizzate a uso potabile”, e “ospitandoli per dormire e mangiare in situazioni alloggiative degradanti e fatiscenti”.

I Ros hanno svolto ricerche per seguire il pomodoro di Mariano dalla campagna fino alla sua destinazione finale, consegnando poi la loro nota informativa al pubblico ministero che ne aveva fatto esplicita richiesta per avere un quadro più completo del fenomeno.

A un anno dall’approvazione della nuova legge sul caporalato, e a pochi mesi dalla storica sentenza del processo Sabr, sempre a Lecce, che ha visto la condanna per riduzione in schiavitù di undici imputati, oltre che l’assoluzione dello stesso Mariano, sembrano rimanere alcuni interrogativi su quali siano le falle nel sistema e in una filiera che porta i pomodori e gli altri prodotti agricoli dal campo ai centri di raccolta, alle aziende conserviere e poi alle industrie di distribuzione.

LA PROCURA DI LECCE: OCCORRONO LE SANZIONI

Al di là delle responsabilità giuridiche, “esistono responsabilità morali che non possono essere eluse”, dichiarano dalla Procura di Lecce ad AGRICOLAE. “Responsabilità a livello amministrativo, politico e istituzionale. Una situazione come quella emersa in questo procedimento non può essere oggetto di attenzione della sola Procura, ma dovrebbe coinvolgere tutti. Soprattutto ci vogliono controlli a tappeto”. E sui nuovi strumenti previsti dalla legge, tra cui il potenziamento della Rete del lavoro agricolo di qualità? “Sicuramente possono essere strumenti efficaci. Ma personalmente ritengo – dice la fonte – che siano veramente efficaci quei principi che sono corroborati da una sanzione”.

LE AZIENDE: ANCHE NOI TRUFFATE, NONOSTANTE I NOSTRI SFORZI. CHIEDIAMO PIU CONTROLLI

Le aziende citate nella nota dei Ros, da parte loro, non ci stanno a fare da capro espiatorio e spiegano di aver sempre agito nel pieno rispetto delle regole.

Nel caso di Conserve Italia, risulta che dal 2015 abbia interrotto i rapporti con Mariano perché non dava garanzia di rispetto delle regole. “Paghiamo il pomodoro applicando i prezzi di area”, ha detto ad AGRICOLAE il presidente di Conserve Italia Maurizio Gardini. “I nostri produttori sono quindi messi nelle migliori condizioni economiche nella gestione del rapporto di lavoro con i propri occupati”.

“Le Organizzazioni dei produttori – dice Gardini – e le imprese dalle quali compriamo il prodotto sono tenute a firmare un contratto di vendita con cui si impegnano a rispettare un protocollo di legalità”. Tra i punti chiave del protocollo, quello che richiede “l’osservanza delle vigenti normative in materia di sicurezza e salute sul lavoro, dei contratti collettivi nazionali di lavoro, della normativa in materia previdenziale e di quella in materia di lavoro per immigrati”.  E dal contratto di fornitura tra Conserve Italia e Pomoidea, l’Op cui faceva capo l’azienda di Mariano, è emerso che lo stesso Mariano (o meglio la moglie, nominalmente titolare dell’azienda) si era impegnato per iscritto a rispettare tutte le normative e a garantire adeguate retribuzioni.

“Non possiamo sostituirci alle autorità ispettive: Inps e forze dell’ordine in primis”, precisa ancora Gardini. Perché non comprate più il pomodoro da Mariano? “Mettiamo fuori non solo chi non accetta di firmare i nostri protocolli di legalità. Anche chi li firma e poi non li rispetta”.

LA DOCUMENTAZIONE DA CUI EMERGE CHE MARIANO NON HA RISPETTATO IMPEGNI PRESI

Inoltre, dalla documentazione acquisita da AGRICOLAE emerge che Conserve Italia ha pagato i pomodori a prezzi di mercato, e dunque Mariano, come gli altri produttori, era nelle condizioni di trattare adeguatamente i suoi impiegati. Peraltro, nell’avviso di conclusione delle indagini della Procura leccese si legge che i pomodori di Mariano, raccolti in condizioni di sfruttamento e sottopagando i lavoratori, venivano poi immessi “sul mercato al prezzo corrente, con un maggiore guadagno per lo stesso titolare dell’azienda”.

A sentirsi “truffata” anche un’altra azienda simbolo del Made in Italy: “In quella vicenda noi ci sentiamo parte lesa”, dice l’amministratore delegato Francesco Mutti, raggiunto telefonicamente da AGRICOLAE. “Dopo tutti gli sforzi che facciamo, che non è solo pagare il pomodoro adeguatamente ma anche cercare di costruire una filiera sana, non è giusto che veniamo coinvolti in un episodio del genere. Anche perché non abbiamo gli strumenti per andare a controllare quotidianamente tutte le aziende agricole”.

Quanto alla forma dei rapporti tra la Fiordagosto e Mariano, Mutti dice: “Noi richiediamo le certificazioni Durc a tutte le aziende da cui ci riforniamo. E, tramite le Op, nei nostri contratti non soltanto esigiamo esplicitamente il rispetto di tutte le normative vigenti in materia di sicurezza e retribuzioni, ma prevediamo anche una clausola in cui chiediamo che la raccolta sia fatta in forma meccanica, tranne deroghe.

Insomma in questo caso ci troviamo di fronte a un signore che sì firmava ma poi era abbastanza indifferente a quello che aveva firmato”. La Mutti ha avuto rapporti con l’azienda di Mariano anche nella campagna del 2016 e del 2017? “No. I rapporti sono cessati pochi giorni dopo la morte dell’uomo. Quando abbiamo cominciato ad avere sentore, anche a prescindere da quell’evento drammatico, che dietro la signora De Rubertis ci fosse il marito e che non fosse persona affidabile abbiamo interrotto i rapporti nello spazio di pochissimi giorni”.

Qui di seguito AGRICOLAE riporta la documentazione in pdf:

CONTRATTO AZIENDA MARIANO

MARIANO HA PRESO ANCHE I CONTRIBUTI DA AGEA

Si ha notizia, peraltro, che nel 2015, cioè quando era ancora in corso il processo Sabr in cui lui era imputato, Giuseppe Mariano abbia ricevuto 86.000 euro di fondi disaccoppiati della Pac certificati dal centro di assistenza agricola Acli Terra che si appoggia al Caa Coldiretti.

LA POSIZIONE DELL’ASSESSORE ALL’AGRICOLTURA DELLA REGIONE PUGLIA

Su questo AGRICOLAE ha chiesto un commento all’assessore all’Agricoltura della Regione Puglia Leo Di Gioia. “La Pac è una materia che gestisce Agea. Comunque sicuramente è auspicabile che venga sospesa l’erogazione di aiuti agricoli ad aziende che sono eticamente responsabili di comportamenti delittuosi. Deve però essere la legge a dirlo”.

E in merito alla questione della vigilanza da parte dell’amministrazione e della politica? “I controlli spettano alle forze dell’ordine e agli organi ispettivi. Detto questo, la Regione, per la quale rispondo, collabora in combinato disposto, anche in base alla nuova legge sul caporalato, con i vari ministeri, oltre che con le associazioni di categoria.

Nei mesi scorsi abbiamo dato il via allo sgombero del cosiddetto Gran Ghetto di Foggia. E ci siamo attivati per individuare luoghi di accoglienza, quelle che il presidente Emiliano ha chiamato ‘foresterie’, con strutture amovibili ma dotate di tutti i servizi. Stiamo anche cercando di avviare una serie di attività di logistica, per esempio sul fronte dei trasporti, che è uno dei punti chiave della cultura illegale del caporalato sul quale non è semplice intervenire.

Non escludo poi che quello che già fa la Regione nel campo delle frodi o dell’uso non corretto dei fondi Psr – ossia le convenzioni con le forze dell’ordine per aumentare il livello dei controlli – possa estendersi anche al caporalato. Ed è ovvio che debba esserci una vigilanza anche sociale, ma senza che diventi una psicosi in cui a rimetterci sono tutte le aziende oneste, che sono la maggioranza”.

I ministri dell’Agricoltura Martina, del Lavoro Poletti e della Giustizia Orlando, in ogni caso, riuniti qualche giorno fa a un anno dall’approvazione della nuova legge sul caporalato, si dicono soddisfatti dei risultati. “In 12 mesi – ha detto Martina – sono aumentati molto i controlli grazie al lavoro di cooperazione con le forze dell’ordine che ci  ha consentito in diversi territori di lavorare sempre meglio per l’attività di contrasto a questa piaga inaccettabile”.

L’ASSOCIAZIONE NO CAP E LA FILIERA ALTERNATIVA

Il lavoro da fare è molto più profondo, secondo l’Associazione No Cap. “Va bene la legge. Ma un modello economico – dice ad AGRICOLAE Angelo Consoli – non si cambia per decreto legge. E siccome ci sono moltissime aziende che rispettano la matrice multicriteri per come la intendiamo noi, che sono cioè etiche, energeticamente indipendenti, valorizzano il prodotto, adottano la filiera corta e per questo riescono a guadagnare di più e quindi a liberare risorse per pagare adeguatamente i dipendenti, noi vogliamo aiutare queste realtà a competere in una filiera alternativa”. Per i No Cap, questo comporta anche lavorare sulla certificazione dei prodotti delle aziende virtuose.

Quanto alla legge, “nella sua parte non repressiva, tra cui la Rete agricola del lavoro di qualità, a oggi si possono iscrivere accedendo al portale tutte le aziende che non abbiano ricevuto condanne negli ultimi tre anni. Ma questo non dà nessuna garanzia che non si ricorra poi ai caporali”.

Nel frattempo, “noi ci muoviamo dal basso”, spiegano. “Sul fronte della distribuzione collaboreremo con il consorzio Megamark, perché esce dall’orbita delle multinazionali. Mentre sul fronte della produzione, stiamo valutando una collaborazione con l’associazione Altra Agricoltura, che riunisce già 50.000 aziende produttrici”.

di Valentina Nicolì

Era successo ieri:

ETICHETTA POMODORO: MARTINA E CALENDA FIRMANO DECRETI PER OBBLIGO ORIGINE CONSERVE, SUGHI E DERIVATI

ALLEANZA COOPERATIVE: STRUMENTO CHE TUTELA NOSTRO POMODORO. ALZARE CONTROLLI CONTRO LAVORO NERO E SFRUTTAMENTO. E.ROMAGNA: BENE LA FILIERA DELLA TRASPARENZA

Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali rende noto che i Ministri Maurizio Martina e Carlo Calenda hanno firmato il decreto interministeriale per introdurre l’obbligo di indicazione dell’origine dei derivati del pomodoro.
I provvedimenti introducono la sperimentazione per due anni del sistema di etichettatura, nel solco della norma già in vigore per i prodotti lattiero caseari, per la pasta e per il riso.

Il decreto si applica ai derivati come conserve e concentrato di pomodoro, oltre che a sughi e salse che siano composti almeno per il 50% da derivati del pomodoro.
“Rafforziamo il lavoro fatto in tema di etichettatura in questi mesi – ha dichiarato il Ministro Maurizio Martina – Come ho ribadito anche oggi al Commissario europeo Andriukaitis crediamo che questa scelta vada estesa a livello europeo, garantendo la piena attuazione del regolamento europeo 1169 del 2011.

Il tema della trasparenza delle informazioni al consumatore è un punto cruciale per il modello di sistema produttivo che vogliamo sostenere. L’Italia ha deciso di non attendere e fare in modo che i cittadini possano conoscere con chiarezza l’origine delle materie prime degli alimenti che consumano. Soprattutto in una filiera strategica come quella del pomodoro l’etichetta aiuterà a rafforzare i rapporti tra chi produce e chi trasforma”.

LE NOVITÀ DEL DECRETO
Il provvedimento prevede che le confezioni di derivati del pomodoro, sughi e salse prodotte in Italia dovranno avere obbligatoriamente indicate in etichetta le seguenti diciture:
a) Paese di coltivazione del pomodoro: nome del Paese nel quale il pomodoro viene coltivato;
b) Paese di trasformazione del pomodoro: nome del paese in cui il pomodoro è stato trasformato.
Se queste fasi avvengono nel territorio di più Paesi possono essere utilizzate, a seconda della provenienza, le seguenti diciture: Paesi UE, Paesi NON UE, Paesi UE E NON UE.
Se tutte le operazioni avvengono nel nostro Paese si può utilizzare la dicitura “Origine del pomodoro: Italia”.

ORIGINE VISIBILE IN ETICHETTA
Le indicazioni sull’origine dovranno essere apposte in etichetta in un punto evidente e nello stesso campo visivo in modo da essere facilmente riconoscibili, chiaramente leggibili ed indelebili.
I provvedimenti prevedono una fase per l’adeguamento delle aziende al nuovo sistema e lo smaltimento completo delle etichette e confezioni già prodotte.

IN VIGORE FINO A PIENA ATTUAZIONE REGOLAMENTO UE 1169
Il decreto decadrà in caso di piena attuazione dell’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento (UE) n. 1169/2011 che prevede i casi in cui debba essere indicato il paese d’origine o il luogo di provenienza dell’ingrediente primario utilizzato nella preparazione degli alimenti, subordinandone l’applicazione all’adozione di atti di esecuzione da parte della Commissione, che ad oggi non sono stati ancora emanati.

OLTRE L’82% DEGLI ITALIANI CHIEDE TRASPARENZA NELL’INDICAZIONE D’ORIGINE DEL POMODORO NEI DERIVATI
Oltre l’82% degli italiani considera importante conoscere l’origine delle materie prime per questioni legate al rispetto degli standard di sicurezza alimentare, in particolare per i derivati del pomodoro. Sono questi i dati emersi dalla consultazione pubblica online sulla trasparenza delle informazioni in etichetta dei prodotti agroalimentari, svolta sul sito del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, a cui hanno partecipato oltre 26mila cittadini.

ETICHETTATURA, ALLEANZA COOPERATIVE: STRUMENTO CHE TUTELA NOSTRO POMODORO. ALZARE CONTROLLI CONTRO LAVORO NERO E SFRUTTAMENTO

“L’obbligo di etichettatura è un ottimo strumento per la tutela dell’eccellenza Made in Italy. Nel tavolo di confronto abbiamo insistito molto perché diventasse strumento reale a tutela del nostro pomodoro”. Così Giorgio Mercuri presidente Alleanza Cooperative Agroalimentari promuove la misura sull’etichettatura del pomodoro ma aggiunge “bisogna alzare i livelli di controllo nel settore agroalimentare. C’è ancora una fetta di irriducibili delinquenti che sfuggono e raggirano i controlli con pesanti penalizzazioni per i lavoratori e per le imprese che rispettano le regole. Non possiamo condannare chi rispetta le regole a pagare ingiusti tributi economici e reputazionali per colpa di chi alimenta lavoro nero e caporalato”.

ETICHETTA DERIVATI POMODORO, E.ROMAGNA: BENE TRASPARENZA FILIERA

Con la firma sul decreto del ministro all’Agricoltura, Martina, e dello Sviluppo economico, Calenda, diventa obbligatoria l’etichettatura per tutti i derivati del pomodoro. Dovrà così essere indicato dove viene coltivato e trasformato il pomodoro stesso.
Un provvedimento accolto molto positivamente dalla Regione Emilia-Romagna. “Siamo molto soddisfatti del provvedimento adottato a livello nazionale – dice Simona Caselli, assessore regionale all’Agricoltura – dall’Emilia-Romagna, a tutti i livelli istituzionali, erano arrivate diverse sollecitazioni perché venisse regolamentata una materia così importante, oggi in vigore solo per la passata. Nei giorni scorsi, anche con il sostegno della giunta regionale, è stata approvata all’unanimità in Assemblea legislativa una risoluzione che chiedeva proprio questo.

Garantire la provenienza e il processo di lavorazione del pomodoro – chiude l’assessore – significa tutelare i consumatori e dare ulteriore valore ad una filiera che, nella nostra regione, rappresenta un’importante realtà produttiva”.