Formazione, Fiorio (Enpaia): coniugare welfare moderno e politiche sociali a esigenze lavoratori e famiglie settore primario

“Coniugare welfare moderno e politiche sociali alle esigenze dei lavoratori e delle famiglie impegnate nel settore primario è una sfida impegnativa. Si tratta di affrontare i fenomeni in trasformazione nelle aree rurali dove è insediata l’agricoltura e dove è dunque più complicato avere a disposizione servizi per una popolazione, sia essa stabile o in declino, la cui età è sempre più avanzata.  Fenomeno che purtroppo in Italia ha una rilevanza maggiore che in altri paesi europei”. È quanto affermato da Massimo Fiorio componente del CdA di Enpaia in rappresentanza del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, durante i lavori del corso di formazione continua dei giornalisti. “Ogni cittadino – ha riferito Fiorio – ha il diritto di godere di un’assistenza sociale nel luogo in cui vive; i pubblici poteri devono quindi impostare le loro politiche sul convincimento che il fatto di soddisfare le esigenze dei residenti rurali fa parte integrante di un vasto programma nazionale di coesione sociale”. Tuttavia sarebbe annoverare l’agricoltura come una problematica e non come una parte una opportunità. Da pochi anni – e l’Italia è all’avanguardia – si è sviluppato un grande campo di sperimentazione di nuove pratiche colturali, culturali e relazionali che hanno tutte un forte impatto in termini di sviluppo locale: l’agricoltura sociale. Si tratta di un fenomeno sociale magmatico, in continua evoluzione, ancora poco raccontato, che esalta tre caratteristiche fondamentali dell’agricoltura mediterranea: la relazionalità, la multifunzionalità e la policoltura. “L’agricoltura sociale – ha poi concluso Fiorio – non va solo considerata una “pratica virtuosa” che ha un grande valore in sé, ma soprattutto come una componente rilevante di un nuovo modello di sviluppo rurale sostenibile e di un nuovo welfare locale partecipato”.




Decarbonizzare la democrazia, il nuovo saggio di Massimo Fiorio: una grande sfida per l’occidente. VIDEOINTERVISTA

“Questo libro intende affrontare il tema della cosiddetta transizione ecologica, il passaggio dall’energia fossile a quelle alternative, cercando di mettere in luce le connessioni con la politica. Ho ricostruito come storicamente energia fossile e rivoluzione industriale siano andati di pari passo con l’impianto politico-istituzionale della democrazia che oggi conosciamo, ma di cui oggi sentiamo una forte fragilità”.

Così Massimo Fiorio, già parlamentare nelle scorse legislature ed ora impegnato nel settore agricolo e ambientale, in occasione della presentazione alla Camera dei Deputati del saggio “Decarbonizzare la democrazia”, volume che affronta il tema dell’economica decarbonizzata analizzando l’intreccio tra il sistema politico-istituzionale e il regime energetico fossile.

“Il libro sostiene che una delle cause è il passaggio in corso dell’esaurimento dei pozzi di petrolio e gas, accompagnato dal passaggio alle energie alternative e del cambio necessario dall’inquinamento e per il cambiamento climatico. Nel volume cerchiamo di identificare del limite ecologico, le prospettive e le paure. Si tratta di grandi sfide che mettono pressione alle democrazie occidentali, anche esterne a competitor sulla decarbonizzazione. Penso alla Cina e altri paesi, che possono essere concorrenti potentissimi rispetto a certe scelte che sta conducendo l’Europa con grande difficoltà.

La democrazia è in gioco, serve una consapevolezza comune e non bastano direttive che vengono fatte cadere dall’alto, serve una politica democratica che affronti queste sfide. Non basta nemmeno dei rilanci oltre il 2035 per il divieto per le auto a combustione: accanto alla politica industriale serve una politica democratica fatta dai governi nazionali e sovranazionali per andare in quella direzione.

Il libro affronta anche le derive fondamentalista. Io credo che serva una ecologia che non insegna alla politica attraverso numeri e dati, ma che si metta a fare politica, entrando nel gioco democratico, in una comunità attenta alle ripercussioni di quello che avviene nel pianeta”.




Guerra sul (al) Biologico, dopo 13 anni di limbo, legge di nuovo in bilico. Stavolta per biodinamico. Che lascia dubbi su garanzie import

E’ guerra sul (o al) biologico. E dopo 13 anni di passione parlamentare in cui la legge – all’epoca a prima firma Massimo Fiorio alla Camera e Paolo De Castro al Senato – è rimasta nel limbo, rischia per un pugno di aziende biodinamiche in Italia (283 censimento Crea o 307 censimento Demeter) di sprofondare nel Purgatorio per rimanervi fino a data indefinita. In attesa delle ‘decisione politiche’ per la calendarizzazione dell’affare assegnato alla commissione Agricoltura della Camera da cui si deciderà se fare o meno il quarto passaggio al Senato per eventuali modifiche.

Ad alzare il polverone è stata Elena Cattaneo, senatrice a vita e scienziata, che invoca la scienza contro i ‘ciarlatani’ del biodinamico e contro l’equiparazione tra biologico e biodinamico.

A sollevare perplessità sembra essere anche il legame che l’agricoltura biodinamica sembra avere con pratiche considerate pseudoscientifiche o esoteriche legate a filosofia, antroposofia, astrologia. Elaborata dal teosofo Rudolf Steiner, è una sorta di filosofia che crede nelle energie vitali nella materia inanimata. Questa pratica diventò più diffusa dopo la morte dello stesso Steiner, quando i seguaci Erhard Bartsch e Franz Dreidax fondarono, nel 1928, l’associazione Demetria (Demeter) che fu accolta dal regime della Germania nazista.

Una compromissione che portò l’agricoltura biodinamica di quegli anni a riconoscere il nazional socialismo come la propria fonte ispiratrice in linea con la politica espansionistica dello spazio vitale nazista.

Ma se ora Elena Cattaneo difende il biologico contro il biodinamico, a dicembre del 2017 – nel mezzo del cammin della legge – scriveva in un editoriale su Repubblica come fosse improbabile che il futuro dell’agricoltura potesse essere nel biologico. Reputato, dati alla mano, insostenibile. E come invece l’agricoltura del domani dovesse affidarsi al miglioramento genetico. E faceva un manifesto ‘contro’ firmato da circa 150 scienziati. Che suscitò in risposta un manifesto pro bio.

“Qual è, dunque, il futuro dell’agricoltura? È improbabile – scriveva – dati alla mano, che sarà il biologico com’è inteso oggi. Non solo perché i prodotti bio nella grande distribuzione presentano un ingiustificato ricarico di prezzo, non differendo in qualità al consumo rispetto ai corrispettivi non biologici; non solo perché le procedure del biologico su larga scala sono piene di deroghe e truffe. Ma soprattutto perché con tali procedure si produce pochissimo, consumando il 40% di suolo in più degli altri modelli di agricoltura. Inoltre, usando letami e farine animali — fertilizzanti azotati derivati della zootecnia, com’è prassi nel biologico — si emettono gas serra e si consumano alimenti vegetali, prodotti con fertilizzanti azotati di sintesi, ottenuti da oli combustibili. Per asciugare, poi, i residui di macellazione e farne le farine animali da spargere nei campi del biologico serve altra energia.

L’agricoltura del futuro dovrà invece essere a basso impatto e usare piante migliorate geneticamente per evitare gas serra e agrofarmaci e per assimilare meglio i fertilizzanti, combattere la denutrizione sperimentando le varianti genetiche che rendono le piante resistenti e sfruttare l’innovazione per ottenere chirurgiche variazioni del Dna tali da rendere, senza usare la chimica, tante nostre piante non attaccabili dai parassiti, consentendo anche il recupero della biodiversità afflitta dai patogeni o in via di estinzione. Un compito della ricerca scientifica pubblica, anche di quella in campo aperto, vietata in Italia. Serve tantissima ricerca, ma anche più fiducia e trasparenza, meno slogan e ideologie”.

E rincarava, a proposito del glifosato, che “non utilizzare il glifosato significherebbe tornare agli anni ‘ 50, diserbando a mano i campi. Oppure usare altri erbicidi, molto più costosi, meno efficaci ( che costringono a più trattamenti), e dai profili tossicologici simili”.

I tempi sono cambiati, la Monsanto, acquisita nel 2018 dalla Bayer, è stata nel frattempo condannata a risarcire 25 milioni di euro nel 2019 (condanna confermata lo scorso 14 maggio in appello) a un cittadino ammalatosi di cancro dopo aver usato per decenni il Roundup, erbicida a base di glifosato e gli Ogm sono stati superati dal Genome editing che sta trovando tutti d’accordo, Commissione europea compresa, come pratica sostenibile da utilizzare per il futuro del Pianeta.

E ora, la diatriba si sposta dal biologico al biodinamico. E la filiera sembrerebbe stia lavorando – senza troppo successo – per trovare una quadra con la quale ‘aggiustare’ il tiro senza fermare la legge. Ancora una volta.

In Italia esistono due livelli di controllo sinergici e paralleli: il regolamento Ue 625/2017 che legifera su tutti gli alimenti che rimanda, nello specifico caso del biologico, ai controlli del regolamento 848/2018 la cui entrata in vigore è stata prorogata a gennaio 2022.

A fare i controlli sono i cosiddetti enti controllori, soggetti privati che vengono accreditati presso Accredia che ne controlla a sua vota l’affidabilità e il rispetto dei requisiti e delle normative vigenti. Tutto l’apparato è poi vigilato dal ministero delle Politiche agricole, Mipaaf, attraverso l’operato dell’ICQRF, l’Ispettorato frodi controllato dallo stesso ministero che verifica il rispetto delle normative internazionali e nazionali.

Un apparato che si riversa sulle aziende agricole in base all’analisi del rischio che viene fatta. Nel caso in cui qualche cosa non dovesse risultare a norma, la non conformità va trasmessa immediatamente al Mipaaf, e i prodotti bloccati. Nel caso di esportazioni, la notifica deve essere inviata anche agli uffici di Bruxelles e agli altri Stati membri tramite il sistema Ofis.

Diversa è la questione per quanto riguarda il biodinamico. Il cosiddetto Demeter, non è di fatto un ente certificatore riconosciuto dalle istituzioni, ma un ente detentore del marchio sulla biodinamica non riconosciuto però a livello internazionale da tutti i paesi interessati. E il disciplinare è scritto – al contrario di quanto avvenuto per il biologico – da parte di soggetti privati.

Nel caso in cui il biodinamico fosse biologico il problema dovrebbe essere superato. E sul sito Demeter si legge: “condizione necessaria per poter avere accesso al sistema Demeter è che l’azienda agricola sia assoggettata al controllo per l’agricoltura biologica così come previsto dal Reg.CE 834/07 e 889/08. Per avere il marchio è obbligatorio infatti essere certificati biologici”. Regolamenti sostituiti dal’848 ma non aggiornato sul sito Demeter.

Ma anche vero che il sistema biologico non controlla quello biodinamico che resta in mano a privati. Quindi se un prodotto certificato biodinamico è sicuramente biologico in quanto riconosciuto dalle istituzioni, il prodotto biodinamico non ha lo stesso livello di controllo e di riconoscimento a livello nazionale o europeo. E di garanzie nel caso di non conformità. 

Esempio: se un prodotto biologico importato dalla Turchia è controllato, il prodotto biodinamico non lo è.

Quindi il consumatore che va ad acquistare un prodotto biodinamico sarà garantito per quanto riguarda l’aspetto del biologico (anche se solo per i prodotti europei) ma non per quanto riguarda l’aspetto del biodinamico che resta in mano a privati e fuori da qualsiasi controllo ufficiale e globalmente riconosciuto. Infatti il marchio Demeter italiano non è riconosciuto dal marchio Demeter americano, con tutto ciò che ne consegue.




Legge di Bilancio: Anp-Cia incontra senatori Pittella e Taricco, lavorare per pensioni dignitose

Nella legge di Bilancio 2021 si devono fare scelte importanti per rispondere alle condizioni di disagio sociale e restituire dignità ai pensionati al minimo, prima di tutto agli agricoltori, che nella vita lavorativa hanno assicurato beni essenziali alla società, come il cibo, la tutela del territorio, la cura del paesaggio. Lo chiede Anp, l’Associazione nazionale pensionati di Cia-Agricoltori Italiani, che ha incontrato in modalità webinar i senatori Gianni Pittella e Mino Taricco.

L’incontro, che rientra nelle attività dell’Anp in vista della nuova manovra, è stato occasione per sottolineare criticità e avanzare proposte sul tema.

“E’ tempo di decidere -ha dichiarato Alessandro Del Carlo, presidente nazionale dell’Associazione-. Servono pensioni dignitose per garantire giustizia ed equità sociale e per incoraggiare il ricambio generazionale. Gli agricoltori con pensioni minime, che sono ancora le più basse d’Italia, ferme a 515 euro, sono costretti a rimanere a lavoro nei campi fino a tarda età”.

Per questo, tra le priorità dell’Anp discusse con i due senatori, è entrata subito la questione dell’aumento delle pensioni minime, che devono raggiungere almeno il 40% del reddito medio nazionale, come indicato dalla Carta Sociale Europea (650 euro). Anche perché la pensione di cittadinanza, con i rigidi requisiti imposti, non ha risolto in nessun modo il problema delle pensionati al minimo, visto l’esiguo numero di beneficiari raggiunti con appena 137.295 nuclei percettori della misura.

Altro punto di discussione, da anni nella piattaforma Anp-Cia, la previsione dell’APE sociale per gli agricoltori, in modo da poter garantire anche a questa categoria di lavoratori la fruizione dell’anticipo pensionistico senza penalizzazioni ed evitare i rischi connessi al prolungamento eccessivo dell’attività lavorativa per l’incolumità e la salute.

Secondo l’Associazione, poi, occorre pensare a una pensione base per i giovani, a sostegno di una prestazione minima e dignitosa, sulla quale ciascuno potrà aggiungere la contribuzione prodotta nel proprio percorso lavorativo. Nel caso degli agricoltori, l’attuale sistema li destina a una pensione addirittura inferiore alle minime attuali, rappresentando un ostacolo all’ingresso di tanti nuovi giovani nelle aziende del settore.

Grande attenzione alle questioni sollevate dall’Anp da parte dei senatori Pittella e Taricco, che hanno condiviso le priorità dell’Associazione, con l’impegno di portare all’attenzione dell’aula la necessità di lavorare a una modifica della fiscalità e della previdenza in senso più favorevole agli anziani.

All’incontro, oltre al presidente nazionale dell’Anp Del Carlo, hanno partecipato i vicepresidenti Franco Fiori, Giovanna Gazzetta, Anna Graglia, Franco Tinelli. E’ intervenuto anche il responsabile Affari istituzionali di Cia, Massimo Fiorio.




LE BATTUTE DI MASSIMO FIORIO: TRA SOVRANISMO ALIMENTARE E NUOVA TECNOLOGIA. COME CAMBIA IL CIBO IN TEMPO DI COVID

L’epidemia Covid-19, il lock-down che ha progressivamente e rapidamente chiuso il mondo e le modalità di lento, lentissimo ritorno alla normalità hanno imposto ed imporranno un cambio della nostra quotidianità con un impatto sulle nostre abitudini di vita che si trascinerà nel tempo.

Riguardano la nostra socialità, i nostri consumi ed inevitabilmente come dimensione che riguarda entrambi gli aspetti: il cibo.

L’antropologo Tullio Sepilli in Per un’antropologia dell’alimentazione afferma che la nutrizione, oltre ad essere un bisogno biologico, è una “risposta sociale”. I comportamenti connessi alla nutrizione travalicano il semplice bisogno di cibo trovando fondamento nel modo di produzione, nell’ assetto delle strutture organizzative e istituzionali direttamente o indirettamente correlate con il modo di produzione e con le forme di cultura. Il consumo di cibo risulta inserito nel contesto storico-sociale cosi come il bisogno stesso. La risposta comportamentale e istintuale al bisogno biologico di nutrizione è insomma fortemente modificata, nell’uomo, dall’intermediazione di un insieme di processi attinenti alla sfera del sociale.

Da questo punto di vista il Covid rappresenta un vettore di cambiamento straordinario ed inaspettato con cui fare i conti. Basti vedere come, negli ultimi anni, siano cambiate le abitudini alimentari e i processi di acquisto dei consumatori in risposta alle difficoltà economiche causate dalla crisi, alle crescenti patologie che portano ad avere un determinato stile alimentare e, più in generale, all’emergere di nuovi stili di vita.

In generale si è assistito ad una capacità da parte del consumatore di acquisire “competenza” alimentare su più livelli. Gli uomini e le donne che consumano, diventano tecnicamente più preparati e in grado di esprimere richieste al mondo della produzione e della distribuzione, con atteggiamenti “critici”, sino a convincersi di potersi porre allo stesso livello dei produttori e dei distributori. L’attenzione riguarda non solo “come” le merci possono soddisfare i bisogni, ma anche il processo di produzione, dove si esige sempre più di conoscerne i “retroscena”.

Evoluzione significa anche multicanalità negli acquisti, frequentazione di più formati- dagli iper ai super mercati, dagli hard ai soft discount, dai farmer’s market ai negozi di vicinato – che, di conseguenza, dà la possibilità di un maggior confronto tra qualità, prezzi e servizi.

Tra le tendenze in atto e che più marcatamente hanno influito sull’ alimentazione quotidiane senz’altro c’è una sorta di “medicallizzazione” del consumo di cibo con la crescente tendenza ad esprimere i valori nutrizionali in calorie. E’ solo una delle grandi tendenze che incidono sulla cucina contemporanea: ad essa si accompagna una marcata propensione alla destrutturazione del pasto che viene semplificato, si mangia fuori casa e, spesso, da soli e nei luoghi più diversi, senza seguire uno specifico insieme di norme rituali. Il boom del fast food, la produzione di massa, la diffusione delle monoporzioni, il cibo pronto, il cibo come commodity sono soltanto alcuni aspetti che si accompagnano ad una “risacralizzazione”, una rinnovata ritualizzazione dell’atto del consumo del cibo, il cibo di marca.

Dentro la dinamica evolutiva del consumo e degli stili di consumo alimentare la pandemia avrà un duplice impatto. In primo luogo una sorta di destrutturazione delle filiere lunghe con una circolazione rallentata di prodotto e di materia che si normalizzerà nel corso del tempo, ma che consentirà il riconoscimento del valore strategico dell’approvvigionamento alimentare nazionale.

Gli appelli a consumare italiano che arrivano da ogni parte si accompagnano a forme di sovranismo alimentare che possono avere sbocchi protezionisti o, come ci si augura, una ritrovata necessità di, se non piani produttivi nazionali, almeno politiche attive in grado di mettere in condizioni il nostro paese di recuperare parte della capacità produttiva persa in questi anni.

L’Italia è in grado di produrre appena l’80-85% del nostro fabbisogno alimentare, contro il 92% del 1991.

In neanche 20 anni abbiamo ridotto dal 7 al 12% la nostra sovranità alimentare. In questo senso un piano per recupero di terreni, la disponibilità per investimenti a giovani agricoltori è fondamentale.

L’altra grande questione è l’impatto sulla HO.RE.CA che la chiusura prima e le misure di distanziamento sociale poi, stanno producendo e produrranno su questo sbocco importante.

Ristoranti, bar, pizzerie, hotel, mense, servizi di catering: mai come ora hanno attraversato una fase così buia. Nell’attesa di capire quando e come riapriranno, le soluzioni messe in campo, come il delivery e l’asporto, per affrontare il calo vertiginoso di attività rappresentano solo una risposta parziale. Se nelle città ciò può condurre ad una rimodulazione dei tempi e delle fasce del consumo dei pasti con un anticipo e un allungamento degli orari come avviene peraltro in altri paesi, fuori dalle città, anche in quelle aree che in questi anni hanno vissuto un attenzione crescente da parte di un turismo esperienziale, il rischio è la desertificazione di quelle opportunità commerciali e di sbocco per il prodotto nazionale.

Il circolo virtuoso turismo-enograstronomia-export rischia di spezzarsi con danni significativi per quelle produzioni tradizionali di qualità, per le produzioni DOP e IGP che con i territori di provenienza hanno innescato economie importanti. Da questo punto di vista sono da considerare e guardare con attenzione quei processi di digitalizzazione “esperienziali” in grado di trasferire informazioni, dati e “esperienze” a consumatori interessati a conoscere anche a distanza eccellenze e tradizioni enogastronomiche.

E’da valutare con attenzione la crescita della competenza digitale dei consumatori la cui combinazione nell’uso di smartphones e social media sta modificando i modelli di consumo e le tradizionali modalità del processo decisionale prima dell’acquisto. Forse più dei grandi players dell’e-commerce che rischiano di presentare in modo impersonale i prodotti, per quel tipo di produzioni è più utile pensare a piattaforme con forte capacità di comunicare identità e distintività.

In estrema sintesi, da queste primissime e insufficienti osservazioni lo scenario che si sta già profilando sotto i nostri occhi ha da una parte accellerato processi già in corso e dall’altro porterà a trasformazioni economiche, sociali ed antropologiche non irrilevanti.

Massimo Fiorio




TARTUFO, IN 15 GIORNI RIPRENDE ESAME. SAN MINIATO VERSO CANDIDATURA UNESCO. SANI, FIORIO E CARRA: CONFRONTO DIALETTICO

“La vicenda del tartufo s’intreccia con le attività che la commissione Agricoltura della Camera sta portando avanti da diverso tempo rispetto alla normativa che interviene sul settore. Proprio in queste settimane stiamo esaminando un testo che contiamo di licenziare in commissione entro il mese di novembre”. Così il presidente della commissione Agricoltura della Camera Luca Sani aprendo la conferenza stampa di presentazione della 47esima Mostra mercato nazionale del tartufo bianco di San Miniato, che si terrà a novembre.
 “La necessità della revisione, dell’aggiornamento della normativa è data dal fatto che l’interesse verso il tartufo nel nostro paese e non solo è cresciuto in modo esponenziale. Quindi dobbiamo tutelare il tartufo italiano e difendere il Made in Italy da un punto di vista legislativo”. 

Ancora, Sani ha sottolineato come un prodotto come il tartufo si leghi molto “con il territorio e con gli aspetti della cultura” dando vita a una “dinamica virtuosa che si intreccia con i paesaggi e la cultura dell’ospitalità che è quanto viene apprezzato del nostro paese all’estero in tema di agroalimentare”. 

L’obiettivo è dunque tutelare la sua “tracciabilità”, la “fiscalità” e tutto ciò che il tartufo rappresenta “in molti territori dal nord al sud del paese”.

FEDERSPINA: CANDIDARE A UNESCO

“Difendere i territori per difendere il tartufo. Per questo stiamo cercando di candidare le aree votate al tartufo come patrimonio UNESCO. Dice Delio Fiordispina, presidente Fondazione promozione San Miniato nel corso della conferenza stampa alla Camera. “Tartufo si traduce in economia e tradizione del territorio”, prosegue.

FIORIO: FARE SQUADRA ATTRAVERSO CONFRONTO DIALETTICO
“Bisogna fare squadra” per il vicepresidente della Commissione Agricoltura della Camera Massimo Fiorio, Pd. “Per portare a casa la legge sul tartufo che risponda alle esigenze di tutti i territori vocati al tartufo attraverso il confronto dialettico. 

CARRA: IN 15 GIORNI RIPRDNDE ESAME GOVERNO. FAR RIEMERGERE ECONOMIA SOMMERSA

“Abbiamo finito l’esame interno degli emendamenti e ora siamo pronti a riaprire il confronto con il governo e con le commissioni competenti”, spiega ad AGRICOLAE Marco Carra, relatore della legge sul tartufo. Finora, ha spiegato Carra, “gran parte del settore ha generato un economia sommersa che questa legge farà riemergere”.