Zootecnia, mozione Naturale (M5S Senato): su benessere animali e alternative ad allevamenti intensivi

Atto Senato

Mozione 1-00041

presentata da

GISELLA NATURALE
martedì 18 aprile 2023, seduta n.057

NATURALE, LOREFICE, DAMANTE, LOPREIATO, DE ROSA, MARTON, LICHERI Sabrina, NAVE, SIRONI, CATALDI, MAIORINO, DI GIROLAMO, ALOISIO, GUIDOLIN, MAZZELLA, BILOTTI – Il Senato,

premesso che:

gli animali che vengono allevati intensivamente sono spesso confinati in spazi ristretti, senza possibilità di muoversi e senza accesso alle condizioni di vita naturali. In alcuni casi, essi sono sottoposti a pratiche di selezione genetica che ne aumentano la crescita e la produttività, ma che causano, al contempo, problemi di salute e di benessere. La selezione genetica, inoltre, porta inevitabilmente alla perdita della diversità all’interno di una popolazione animale, rendendola più vulnerabile alle malattie e alle sfide ambientali;

l’obiettivo delle selezioni in campo zootecnico è quello di ottimizzare la produzione industriale delle razze animali con caratteristiche desiderabili ai fini della macellazione. Di converso, l’impatto sull’ambiente delle pratiche di allevamento ha una incidenza particolarmente rilevante soprattutto per quanto concerne la gestione dei rifiuti, la deforestazione e l’inquinamento delle acque. I rifiuti derivanti dalle attività di gestione, infatti, spesso si riversano in fiumi e laghi, causando la morte di pesci e di altri animali acquatici;

sul punto, il settore agricolo è responsabile del 10,3 per cento delle emissioni di gas a effetto serra dell’Unione europea. Quasi il 70 per cento di esse proviene dal settore dell’allevamento e consiste di gas a effetto serra diversi dalla CO2 (metano e protossido di azoto);

considerato che:

i polli “broiler” sono frutto di una selezione genetica, crescono con estrema velocità e sviluppano eccessivamente petto e cosce, le parti destinate al mercato. Il loro organismo, dunque, non è in grado di sorreggere il peso innaturale raggiunto in breve tempo, con conseguenti problemi ai muscoli, agli arti, alle vie respiratorie e al cuore. I menzionati animali, a causa del fisico artificialmente modificato, mostrano non solo patologie cardiocircolatorie, ma anche ascite, dermatiti, oltre che serie difficoltà a raggiungere acqua e cibo in autonomia. Il fenomeno relativo agli alterati processi di crescita è esemplificato da una comparazione tra i dati del passato con quelli odierni. Fino agli anni ’50, infatti, i polli raggiungevano il peso di 1,2 kg in 112 giorni. Ora, invece, in soli 35-45 giorni raggiungono il peso di 2,5 kg;

i tori “blu belga”, frutto di un’azione selettiva iniziata nella metà del XIX secolo, mostrano un eccezionale sviluppo delle masse muscolari, con un rendimento della macellazione che può essere pari o superiore al 70 per cento. Uno dei principali problemi legati alla muscolatura massiccia dei tori blue belga è la distocia, ovvero la difficoltà nel parto. A causa delle dimensioni accentuate, infatti, il parto di un vitello blue belga comporta numerose complicazioni, sia a danno della madre, sia a danno del vitello stesso. I tori in questione, inoltre, sono frequentemente soggetti a malattie muscolari, come la miopatia, che può causare la morte improvvisa. Questa malattia, nello specifico, è stata associata alla mutazione del gene della miostatina, che controlla la crescita muscolare dei bovini e, in generale, di altre specie;

considerato, altresì, che:

anche fuori dal territorio europeo, numerose pratiche di allevamento intensivo per l’ottenimento di carni o di pesci destinati all’alimentazione umana hanno suscitato accesi dibattiti, specie per l’improprio utilizzo di tecniche per accelerarne la crescita;

negli ultimi anni, sono diventate popolari i video e le immagini di allevamenti cambogiani, che ritraggono suini di grandi dimensioni, con una accentuata massa muscolare, soprannominati dai media “maiali hulk”. Questi suini, appartenenti alla razza “duroc”, selezionati per la capacità di crescere rapidamente, hanno difficoltà respiratorie, problemi articolari e muscolari, oltre che numerosi disturbi legati all’obesità quali diabete, ipertensione e malattie cardiovascolari;

il salmone “AquAdvantage”, commercializzato negli Stati Uniti, attraverso una modifica genetica, cresce più rapidamente rispetto agli altri ed è pronto per il mercato in massimo 18 mesi, in luogo dei consueti 32 mesi. Nonostante sia previsto l’allevamento in vasche a terra e senza comunicazione con corsi d’acqua, numerose associazioni ambientaliste e di consumatori oltreoceano, temono che gli eventi atmosferici eccezionali possano provocare delle fughe accidentali di uova dall’impianto di produzione dedicato, con gravi conseguenze per le popolazioni ittiche selvatiche. A questo si aggiungono le comprensibili preoccupazioni legate all’innaturale veloce accrescimento del salmone, tali da bollare l’esemplare come “pesce Frankenstein”;

valutato che:

le citate pratiche di allevamento, con particolare riferimento a quelle perpetrate all’interno dei confini unionali, appaiono palesemente in contrasto con quanto disposto dall’articolo 13 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea che riconosce gli animali quali “esseri senzienti”;

sul punto, la direttiva 98/58/CE del Consiglio, del 20 luglio 1998, riguardante la protezione degli animali negli allevamenti, prescrive, in particolare, che agli animali non vengano provocati dolori, sofferenze o lesioni inutili;

per quanto concerne il diritto interno ed i princìpi della nostra Carta fondamentale, durante la XVIII Legislatura, attraverso la proposta avanzata dal gruppo parlamentare MoVimento 5 stelle, culminata con la pubblicazione della legge costituzionale 11 febbraio 2022, n. 1, è stato introdotto il riconoscimento dei diritti degli animali in Costituzione. All’articolo 9, infatti, è ora esplicitato, nero su bianco, che la legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali;

tenuto conto che:

il Piano strategico della PAC 2023-2027 (PSP) definisce una strategia articolata che individua nel Sistema di qualità nazionale per il benessere animale (SQBNA), approvato con decreto interministeriale 2 agosto 2022, uno degli elementi chiave per accelerare il processo di transizione verso un modello allevatoriale più sostenibile, migliorare il benessere degli animali, innalzare la qualità delle produzioni agroalimentari, contrastare il fenomeno dell’antimicrobico resistenza (AMR) e rendere più trasparente il mercato agroalimentare;

il SQNBA prevede l’adesione volontaria da parte degli allevatori ad un disciplinare di produzione caratterizzato da una serie di impegni che vanno oltre i pertinenti limiti minimi di legge, e che prendono a riferimento la sanità animale, la biosicurezza, la gestione dell’intera fase allevatoriale e le emissioni nell’ambiente;

più in generale, la valorizzazione e la crescita della filiera zootecnica rappresenta uno dei punti cardine alla base della nuova PAC del periodo 2023-2027, del Piano nazionale di ripresa e resilienza, nonché della strategia “Farm to Fork”, che si pone l’obiettivo di far transitare, nel medio periodo, tutti i produttori verso una produzione alimentare sostenibile;

quest’ultima strategia, nello specifico, prevede una riduzione del 50 per cento entro il 2030 delle vendite complessive nell’Unione europea di antimicrobici per gli animali da allevamento e per l’acquacoltura, oltre che un riesame della normativa in materia di benessere degli animali, compresa quella sul trasporto e sulla macellazione, al fine di allinearla ai più recenti dati scientifici;

il miglioramento del benessere degli animali si traduce in un conseguente miglioramento delle condizioni negli allevamenti, della qualità degli alimenti, ed ha significativi riverberi positivi nella preservazione della biodiversità,

impegna il Governo:

1) a promuovere efficaci strategie di tutela per gli animali destinati all’alimentazione umana, anche in aderenza alla disciplina dell’Unione europea, in un’ottica di progressivo e costante innalzamento della salubrità e della qualità delle produzioni agroalimentari e di riduzione delle emissioni climalteranti;

2) ad assumere urgenti iniziative al fine di garantire agli animali allevati a fini alimentari un trattamento orientato ad evitare in qualsiasi modo dolore, stress e sofferenze inutili e di prevenire problematiche che possano direttamente ricadere nella sfera della tutela della salute pubblica;

4) ad intensificare le operazioni di controllo nel settore zootecnico, inclusive dell’esame degli aspetti ambientali, fisici, comportamentali e psicologici, al fine di verificare l’effettivo rispetto delle prescrizioni in materia di benessere animale, dalla fase dell’allevamento fino a quella del trasporto e della macellazione;

5) a supportare e finanziare la ricerca di alternative sostenibili all’allevamento intensivo e alle pratiche di selezione, nonché studi volti alla diminuzione dell’uso di antibiotici negli allevamenti e alla prevenzione della diffusione di batteri resistenti nell’ambiente e nell’uomo;

6) a prevedere, conformemente alla disciplina unionale, dei meccanismi incentivanti tesi a sostenere la transizione ecologica del settore agricolo ed attualizzare le risposte del comparto primario alle esigenze della società in materia di alimentazione e salute;

7) ad adottare iniziative orientate a favorire una maggior consapevolezza dei consumatori e delle imprese di trasformazione in termini di idonea qualificazione dei consumi dei prodotti di origine animale e, nel contempo, di bilanciato soddisfacimento delle esigenze nutrizionali e delle preferenze alimentari, per il perseguimento di obiettivi di equità e sostenibilità;

8) a favorire, nelle competenti sedi istituzionali europee, l’introduzione nelle etichettature dei prodotti di indicazioni relative al benessere degli animali, con l’intento di migliorare la trasmissione del valore lungo la filiera alimentare;

9) a sostenere, nelle opportune sedi, una revisione della legislazione sul benessere degli animali, aggiornandola alle attuali pratiche di selezione genetica, al fine di scoraggiare, in un’ottica preventiva, simili condotte lesive delle condizioni di salute negli allevamenti.

(1-00041)




Siccità, mozione Manes (Misto-minoranze linguistiche): su azioni sistemiche montagna, ammodernamento reti adduzione e altre misure

Atto Camera

Mozione 1-00123

presentato da

MANES Franco

testo di

Lunedì 17 aprile 2023, seduta n. 88

La Camera,

premesso che:

il nostro Paese deve affrontare, con sempre più frequenza, situazioni di siccità prolungate che determinano condizioni critiche per ampie porzioni del territorio, da Nord a Sud. Risorse idriche sempre minori che stanno raggiungendo il loro livello minimo storico;

l’ecosistema montagna appare quello che ha subito in maniera preponderante tale criticità, non solo a causa delle scarse precipitazioni, nevose in quota, ma soprattutto per l’aumento dell’altitudine dello zero termico, che sta determinando una riduzione sensibile dei principali serbatoi di acqua: i ghiacciai. In tal modo viene compromesso il loro fondamentale ruolo «tampone», aggravando le crisi idriche estive;

è nei mesi estivi che si verifica il picco della domanda di acqua per uso civile, sensibile all’enorme fluttuazione di presenze nelle destinazioni turistiche, irriguo ed industriale, innescando conflitti d’uso multiscala (locale, regionale e nazionale) e intersettoriali (primario, secondario e terziario);

le montagne forniscono acqua e nutrienti alle pianure, compensando la riduzione delle precipitazioni estive, tipica del clima italiano. Il contributo della fusione di neve e ghiaccio al deflusso totale dei fiumi varia dal 5 per cento nelle regioni meridionali al 50-60 per cento nel bacino padano;

tra i servizi ecosistemici forniti dalle montagne, in connessione con le aree a valle, le pianure e le aree costiere, vi è quello di «serbatoi d’acqua» («water towers»);

la cronaca delle ultime settimane indica una situazione di forte riduzione degli stock idrici nivali. Gli ultimi dati (15 febbraio 2023) confermano il persistere di un deficit di risorse idriche nivali a livello nazionale (-45 per cento), con picchi nella zona alpina (-53 per cento) e, in particolare, nel bacino del Po (-61 per cento) (Cima foundation);

le indicazioni sono per un’estate ancora più critica di quella già molto difficile del 2022: Legambiente ricorda che l’Italia – con oltre 33 miliardi di metri cubi di acqua prelevata per tutti gli usi ogni anno – è un Paese a stress idrico medio-alto secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, poiché utilizza il 30-35 per cento delle sue risorse idriche rinnovabili;

la carenza di precipitazioni e l’aumento delle temperature stanno determinando anche una modificazione importante dell’assetto idrogeologico e meccanico delle montagne (Alpi e Appennini), con inevitabili conseguenze sui territori e sulle aree antropizzate;

l’agricoltura tutta dipende dalla risorsa idrica e quella delle regioni, soprattutto del Nord Italia, è legata ai grandi fiumi e ai bacini lacustri di pianura e di quota;

in base ai dati dell’Ispra, la disponibilità di risorsa idrica media annua in Italia, calcolata nel periodo 1951-2020, ammonta a 469,8 millimetri (corrispondente a un volume di circa 142 miliardi di metri cubi), cioè il 19 per cento in meno rispetto al valore medio annuo del trentennio 1921-1950, con un trend negativo che vede stimata una perdita di un ulteriore 40 per cento (con punte del 90 per cento in certe zone del Sud Italia) nei prossimi trent’anni;

la quantità d’acqua utilizzata in Italia ogni anno equivale a circa 26,6 miliardi di metri cubi, distribuiti per il 51 per cento nel settore agricolo, per il 21 per cento nel settore industriale, per quasi il 20 per cento nel civile e per un restante 8 per cento circa tra settore energetico e zootecnia;

la perdurante scarsità di precipitazioni pluviometriche e nevose degli ultimi anni ha, infatti, cagionato una riduzione dei deflussi sia superficiali che stoccati, condizionando in maniera significativa i livelli delle falde freatiche e mettendo in evidenza le importanti criticità strutturali che caratterizzano gli impianti e la rete di distribuzione idrica nazionale, con perdite ingenti;

nel nostro Paese le opere di urbanizzazione primaria, come reti di acquedotto e di fognatura, sono sempre di più datate e raramente si sono immaginati in passato investimenti atti al riuso appropriato, attraverso idonei sistemi di depurazione delle acque di scarico a fini non potabili;

la rete nazionale delle infrastrutture primarie di adduzione e scarico necessita in futuro di interventi di modernizzazione e manutenzione adeguatamente pianificati;

anche la rete per l’irrigazione rurale necessità di adeguati interventi manutentivi e di razionalizzazione funzionale;

il 28 dicembre 2022 si è finalmente giunti alla pubblicazione aggiornata del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, attualmente in fase finale di consultazione pubblica, prevista dalla valutazione ambientale strategica, nel quale sono indicate azioni di adattamento finalizzate all’ottimizzazione della gestione della risorsa idrica;

non risulta però definito come le strutture di governance del Piano intendano svolgere il ruolo di coordinamento, indirizzo e facilitazione nell’attuazione degli interventi, né sono previste specifiche fonti di finanziamento, la cui ripartizione non dovrebbe basarsi sul criterio di popolazione territorialmente residente, ma sul parametro idrologico di contributo sui deflussi a favore dell’intera popolazione del bacino di riferimento;

il Governo il 1° marzo 2023 ha riunito un tavolo sulla crisi idrica dai cui lavori è scaturita l’istituzione di una cabina di regia e la previsione di nominare un commissario straordinario nazionale con poteri esecutivi;

ad inizio aprile 2023 il Consiglio dei ministri ha varato un decreto-legge sulla prevenzione e sul contrasto della siccità e per il potenziamento e l’adeguamento delle infrastrutture idriche,

impegna il Governo:

1) a valutare e definire gli strumenti di finanziamento e quelli normativi necessari per l’attuazione di azioni sistemiche e non solo emergenziali, che consentano di ridurre la vulnerabilità dei territori di montagna, e quindi anche delle aree di pianura e costiere, sulla base della riduzione della disponibilità idrica causata dalla crisi climatica;

2) a valutare la definizione di un piano strategico di interventi, compatibilmente con le disponibilità finanziarie a disposizione, volte a provvedere, in via assolutamente prioritaria, alla realizzazione degli investimenti necessari per l’ammodernamento delle reti infrastrutturali di adduzione e scarico anche attraverso i fondi messi a disposizione del Piano nazionale di ripresa e resilienza;

3) in relazione alle iniziative di cui ai precedenti impegni, a coinvolgere le istituzioni locali, quali regioni e comuni, nella definizione strategica delle azioni future, tenendo conto degli areali di riferimento e delle problematiche territoriali in essere e del ruolo prioritario delle regioni stesse;

4) a valutare l’adozione di misure di fiscalità agevolata al fine di incentivare interventi anche di natura locale e privata, indirizzati all’ottimizzazione della risorsa idrica non solo per gli usi civili e/o produttivi, ma soprattutto per ottimizzare gli investimenti in irrigazione di precisione nei settori agronomici, tenendo conto delle tipologie di colture, della configurazione dei territori e delle pratiche e tecniche che rappresentano la nostra storia e cultura;

5) a definire in tempi adeguati un piano per la realizzazione di una rete nazionale di nuovi invasi, a servizio delle imprese agricole, necessari a una maggiore e più capillare capacità di immagazzinamento dell’acqua piovana, oltre che una semplificazione normativa per la gestione dei detriti nella pulizia degli invasi già esistenti, quali i bacini delle dighe e dei laghi artificiali;

6) a promuovere un piano per il riuso delle acque di depurazione;

7) a promuovere iniziative puntuali di informazione alla popolazione, coinvolgendo anche le istituzioni scolastiche nell’agevolare un cambiamento culturale incentrato sulla consapevolezza dei cambiamenti in atto.
(1-00123) «Manes, Schullian, Steger, Gebhard, Gallo».




Siccità, mozione Almici (FDI): su piano nazionale, incentivi e altre misure

Atto Camera

Mozione 1-00121

presentato da

ALMICI Cristina

testo di

Lunedì 17 aprile 2023, seduta n. 88

La Camera,

premesso che:

se il 2022 è stato segnato da siccità e da eventi climatici eccezionali, che in passato capitavano nell’arco di un decennio, il 2023 ha presentato con largo anticipo un quadro molto preoccupante, come documentato dalle fotografie della secca dei fiumi e dei laghi in Italia scattate da un satellite dell’Agenzia spaziale europea;

laghi e fiumi risultano in forte sofferenza, quasi in secca come nell’estate 2022, mentre in montagna è scarsa la neve accumulata: è quanto registrato in Italia, a metà febbraio 2023, complice l’aumento delle temperature superiori ai valori di riferimento, le esigue precipitazioni e una crisi climatica senza precedenti;

a segnalare gli allarmanti trend idrici in un periodo tradizionalmente piovoso e oggi addirittura afoso è l’osservatorio dell’Associazione nazionale delle bonifiche irrigazioni e miglioramenti fondiari (Anbi) sulle risorse idriche, che sottolinea innanzitutto come in tutta l’Emilia-Romagna tornino a calare vistosamente le portate dei fiumi, con il Po tornato su valori minimi, attorno al 30 per cento della media, e il Secchia che è sceso ai limiti del minimo storico (2,8 metri cubi al secondo), minimo sotto il quale è già sceso l’Enza;

confrontando i dati 2021-2022 dei grandi bacini naturali del Nord, oggi tutti sotto media, si può notare come, ad eccezione del Lago di Como, le differenze siano notevoli: 12 mesi fa, Garda ed Iseo erano quasi al colmo di piena come il Maggiore, a cui oggi manca invece un buon 50 per cento del volume d’acqua presente nel 2022 e che, permanendo le attuali condizioni, segnerà prossimamente nuovi record di altezza idrometrica minima. In Valle d’Aosta le temperature della terza settimana di maggio, che sfiorano i 30 gradi, favoriscono lo scioglimento della neve, che sta rimpinguando i corsi d’acqua della regione. In Piemonte calano i livelli dei principali fiumi; in Lombardia, dove la neve che va sciogliendosi è circa il 62 per cento in meno di quella normalmente presente nel periodo, le portate del fiume Adda sono inferiori di oltre 200 milioni di metri cubi al secondo, rispetto allo stesso periodo del particolarmente siccitoso 2017. Il Veneto resta una delle regioni maggiormente in difficoltà idrica, con tutte le conseguenze che già ora si stanno manifestando per l’agricoltura e l’ambiente (gran parte delle risorgive sono ai minimi o perfino asciutte);

scendono a livelli da piena estate anche le portate dei fiumi toscani e anche i corsi d’acqua marchigiani mostrano primi segnali di difficoltà. Nel Lazio, esigue, se confrontate con gli anni precedenti, sono le portate del fiume Tevere e non migliora la situazione del Lago di Bracciano. In Campania i livelli idrometrici dei corsi d’acqua sono in discesa: il rischio di siccità resta presente soprattutto nelle aree settentrionali della regione. Un leggero incremento nei volumi invasati si registra per le dighe della Basilicata, mentre quelle pugliesi calano di quasi 3 milioni di metri cubi in una settimana, segnando un leggero deficit sul 2022. In Sicilia, infine, rimane positiva la condizione complessiva degli invasi, nonostante le precipitazioni si manifestino da mesi in maniera disomogenea, lasciando all’asciutto una buona porzione di territorio;

il bilancio complessivo è di una nuova ondata di siccità o forse sarebbe meglio parlare di un’emergenza siccità mai finita, con corsi d’acqua che hanno raggiunto uno stato di severità idrica «media» in tre delle sette autorità di distretto secondo gli ultimi bollettini emanati dalle stesse in questi ultimi mesi: il distretto idrografico del Fiume Po, quello dell’Appennino settentrionale e quello dell’Appennino centrale;

secondo Terna, la crisi idrica ha ridotto la produzione di energia idroelettrica del 37,7 per cento nel 2022 e a dicembre è stato registrato –18,6 per cento rispetto allo stesso mese del 2021; preoccupante anche la carenza di neve, con il 53 per cento in meno sull’arco alpino, e, in particolare, il bacino del Po, con un deficit del 61 per cento (fonte: Cima research foundation);

tale emergenza ha scatenato una tempesta perfetta anche sull’agricoltura italiana, come denunciato dalla Coldiretti, che ha stimato in circa 6 miliardi di euro i danni da siccità, arrivando a bruciare così il 10 per cento del valore della produzione agricola nazionale. Previsioni simili arrivano anche dalla Cia-Agricoltori italiani: partendo da un valore aggiunto per il settore intorno ai 34 miliardi di euro annui, c’è effettivamente il rischio che se ne vada in fumo il 10 per cento del prodotto interno lordo del comparto. Più cauta Confagricoltura, che ad oggi stima i danni da siccità in 2 miliardi di euro e le perdite per il valore aggiunto agricolo attorno al 6 per cento, anche se la percentuale è destinata senz’altro a salire per colpa degli aumenti dei costi di produzione;

preoccupante è l’allarme in agricoltura lanciato da Coldiretti: «Il Po è praticamente irriconoscibile con una grande distesa di sabbia che occupa la gran parte del letto del fiume, fondamentale per l’ecosistema della pianura padana, dove per la mancanza di acqua è minacciato oltre il 30 per cento della produzione agricola nazionale e la metà dell’allevamento che danno origine alla food valley italiana conosciuta in tutto il mondo»;

le difficoltà, ovviamente, si estendono a buona parte della penisola, dove con il picco delle temperature manca l’acqua necessaria ad irrigare le coltivazioni che si trovano in una situazione di stress idrico che mette a rischio le produzioni;

l’assenza di precipitazioni colpisce i raccolti nazionali in una situazione in cui l’Italia è dipendente dall’estero in molte materie prime e produce appena il 36 per cento del grano tenero che serve per pane, biscotti, dolci, il 53 per cento del mais per l’alimentazione delle stalle, il 56 per cento del grano duro per la pasta e il 73 per cento dell’orzo;

per il raccolto del grano la Coldiretti stima un calo del 30 per cento per quello duro usato per la pasta e del 20 per cento per quello tenero, utilizzato per il pane, ma in alcune regioni si arriva addirittura a punte del 40 per cento di perdita delle rese;

le stime per il mais sono ancora peggiori, il raccolto sarà dimezzato perché la siccità ha colpito più duro soprattutto in Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna, che rappresentano quasi il 90 per cento dell’intera produzione nazionale. Il crollo del raccolto impatta pesantemente sulle stalle, anche a causa della contemporanea diminuzione della produzione di foraggi, anch’essa dimezzata dalle alte temperature;

anche nelle risaie è allarme rosso, con perdite stimate in oltre il 30 per cento del raccolto. Dei 217 mila ettari coltivati a riso in Italia, ricorda la Coldiretti, il 90 per cento è concentrato fra la Lombardia e il Piemonte, due delle regioni dove l’emergenza siccità è più grave. Il riso, ad esempio, nel 2022 ha perso 23.000 ettari soltanto nella Lomellina, 3.000 nel Novarese; i risicoltori, anche a causa dell’aumento dei costi dei fertilizzanti, dei principi attivi e per l’essiccazione, hanno abbandonato 9.000 ettari di riso, passando a coltivazioni come soia, girasole, mais: una scelta dettata proprio dai cambiamenti climatici;

quanto all’olio, la campagna 2022 era già risultata compromessa nei mesi scorsi, quando il caldo anomalo aveva ridotto significativamente la trasformazione dei fiori in frutti e la situazione è particolarmente grave in Puglia, dove, nonostante i danni da Xylella, si coltiva ancora un terzo delle olive italiane, con una produzione stimata in calo del 40 per cento;

la siccità condiziona anche le vigne: senza pioggia gli acini di uva faticano a ingrossarsi, quando addirittura non si asciugano, ed è a rischio anche la sopravvivenza dei nuovi impianti, specie nelle aree dove non c’è possibilità di irrigare;

nei campi la frutta e la verdura stanno letteralmente bruciando, con danni che in alcune zone arrivano a provocare la perdita del 70 per cento del raccolto: peperoni, meloni, angurie, albicocche e melanzane soprattutto. Per evitare le scottature da caldo, si cerca di anticipare il raccolto quando possibile o si provvede al diradamento dei frutti sugli alberi, eliminando quelli non in grado di sopravvivere; per il pomodoro da sugo, ad esempio, la raccolta è cominciata con una settimana di anticipo, ma nonostante questo si stima un calo del raccolto dell’11 per cento;

il caldo condiziona anche gli animali nelle fattorie, dove per via delle alte temperature le mucche stanno producendo fino al 20 per cento di latte in meno. Ogni singolo animale è arrivato a bere fino a 140 litri di acqua al giorno, contro i 70 dei periodi meno caldi. La mancanza di acqua per garantire il ricambio idrico e l’aumento della salinità lungo la costa stanno invece soffocando le vongole e le cozze del delta del Po, con la perdita del 20 per cento degli allevamenti, sempre secondo le stime di Coldiretti Impresa-pesca;

condivisibili sono le preoccupazioni di Confagricoltura, che ha avanzato la necessità di una strategia idrica nazionale, dal rinnovamento delle infrastrutture all’innovazione, strettamente connessa alla produttività, dall’adozione di un nuovo piano sugli invasi al ripensamento dell’intera rete per evitare le attuali perdite d’acqua;

se è vero che da quando le imprese hanno investito in irrigazione di precisione, in sistemi di riutilizzo delle acque reflue e di raccolta massiva, si è assistito ad un grande risparmio valutabile nel 30/35 per cento di consumi in meno (si calcola che su alcune colture, con l’irrigazione mirata, si risparmino circa 630 metri cubi all’anno di acqua), è altrettanto vero che il problema risiederebbe in un sistema di distribuzione vecchio e fallace, considerato che in Italia si perde, lungo la rete idrica, mediamente il 42 per cento dell’acqua quando in Germania, ad esempio, tale percentuale sfiora l’8 per cento;

non è più pensabile rincorrere le emergenze, ma è necessario promuovere una politica di prevenzione, attraverso la definizione di una strategia idrica nazionale che abbia un approccio circolare con interventi di breve, medio e lungo periodo. In particolare, sono necessarie misure che favoriscano l’adattamento ai cambiamenti climatici e la riduzione di prelievi e di sprechi d’acqua. La domanda di questa preziosa risorsa è alta perché riguarda diversi usi, da quello agricolo, a quello civile e industriale, pertanto non adottare misure ragionate significa rischiare nel medio periodo a non riuscire a soddisfare come sistema Paese il fabbisogno idrico nazionale;

la transizione ecologica deve passare anche per il comparto idrico, oggi in forte sofferenza a causa soprattutto della crisi climatica. Una siccità prolungata comporta danni diretti derivanti dalla perdita di disponibilità di acqua per usi civili, agricoli e industriali ma anche perdita di biodiversità, minori rese delle colture agrarie e degli allevamenti zootecnici e perdita di equilibrio degli ecosistemi naturali. Da non sottovalutare, inoltre, il contributo che la neve apporta all’approvvigionamento idrico. La scarsa copertura nevosa unita alla fusione anticipata delle nevi condizioneranno pesantemente le capacità dei bacini idrografici nei prossimi mesi primaverili ed estivi;

come ricordato da Legambiente, l’Italia – con oltre 33 miliardi di metri cubi di acqua prelevata per tutti gli usi ogni anno – è nel complesso un Paese a stress idrico medio-alto secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, poiché utilizza il 30-35 per cento delle sue risorse idriche rinnovabili, con un incremento del 6 per cento ogni dieci anni. Una tendenza che, unita a urbanizzazione, inquinamento ed effetti dei cambiamenti climatici, come le sempre più frequenti e persistenti siccità, mette a dura prova l’approvvigionamento idrico della penisola;

secondo i dati diffusi dallo Giec (Gruppo intergovernativo degli esperti sul cambiamento climatico), all’aumento di un grado della temperatura terrestre corrisponde una riduzione del 20 per cento della disponibilità delle risorse idriche;

in tale contesto il Governo, meritoriamente, per fronteggiare immediatamente la situazione di eccezionale gravità causata dai cambiamenti climatici in atto, ha adottato con urgenza un decreto-legge per la prevenzione e il contrasto della siccità e per il potenziamento e l’adeguamento delle infrastrutture idriche. Le misure adottate aumenteranno la resilienza dei sistemi idrici ai cambiamenti climatici e diminuiranno le dispersioni di risorse idriche. Per riuscire nella missione si segnalano, in particolare, le misure adottate per garantire un regime procedurale semplificato per la progettazione e realizzazione delle infrastrutture idriche sul modello di quella assunte per il Piano nazionale di ripresa e resilienza, l’aumento dei volumi utili degli invasi, la possibilità di realizzare liberamente vasche di raccolta di acque meteoriche per uso agricolo entro un volume massimo stabilito, il riutilizzo delle acque reflue depurate per uso irriguo, l’introduzione di rilevanti semplificazioni nella realizzazione degli impianti di desalinizzazione;

l’immediata attuazione delle misure è garantita da un efficace sistema di governance grazie all’istituzione d’una cabina di regia per effettuare nel breve termine una ricognizione delle opere e degli interventi di urgente realizzazione per mitigare gli effetti della crisi idrica, individuando quelle da affidare immediatamente al commissario straordinario nazionale, il quale resterà in carica fino al 31 dicembre 2023 con possibilità di proroga, se permanesse la situazione descritta, fino al 31 dicembre 2024. Nel caso di ritardi o di altre criticità la cabina di regia interviene per superare i problemi anche nominando singoli commissari ad acta;

il commissario straordinario nazionale non solo realizzerà, in via d’urgenza, gli interventi indicati dalla cabina di regia, ma svolgerà anche ulteriori importanti funzioni, come la regolazione dei volumi e delle portate degli invasi, la verifica e il coordinamento dell’adozione, da parte delle regioni, delle misure previste per razionalizzare i consumi ed eliminare gli sprechi, la verifica e il monitoraggio dell’iter autorizzativo dei progetti di gestione degli invasi finalizzati alle operazioni di sghiaiamento e sfangamento, l’individuazione delle dighe per le quali risulta necessaria e urgente l’adozione di interventi per la rimozione dei sedimenti accumulati nei serbatoi, la ricognizione degli invasi fuori esercizio temporaneo da finanziare nell’ambito delle risorse del «Fondo per il miglioramento della sicurezza e la gestione degli invasi». Sono previste anche delle ulteriori procedure per consentire al Presidente del Consiglio dei ministri, previa delibera del Consiglio dei ministri, se e quando necessario, di imputare al commissario, in via sostitutiva, l’onere di adottare urgentemente tutti gli atti o i provvedimenti e di eseguire i progetti o gli interventi indispensabili alla nazione per contrastare con misure immediate la siccità e mitigarne efficacemente gli effetti che danneggiano tutti gli italiani e per dare una prima efficace soluzione alla preoccupante situazione economica e finanziaria vissuta dalle imprese a causa non solo della attuale congiuntura economico-finanziaria, ma anche delle conseguenze dei cambiamenti climatici;

fortunatamente le misure adottate per causa di necessità e urgenza dal Governo sopra descritte porteranno benefici nel breve periodo, ma ulteriori interventi futuri si ritengono necessari. Ad esempio, per risparmiare l’acqua, aumentare la capacità di irrigazione e incrementare la disponibilità di cibo per le famiglie, la Coldiretti, insieme all’Anbi (l’Associazione nazionale dei consorzi di bonifica), ha elaborato un progetto immediatamente cantierabile per la realizzazione di una rete di piccoli invasi con basso impatto paesaggistico e diffusi sul territorio, privilegiando il completamento e il recupero di strutture già presente. L’idea è di realizzare laghetti, senza uso di cemento e in equilibrio con i territori, per conservare l’acqua e distribuirla quando serve ai cittadini, all’industria e all’agricoltura, con una ricaduta importante sull’ambiente e sull’occupazione;

occorre pensare e realizzare una rete di micro/medi impianti di raccolta delle acque piovane e fluviali, utilizzando senza sprechi e in modo attento e mirato i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza destinati anche all’ammodernamento delle reti e delle captazioni dell’acqua. Occorre, altresì, ragionare sul riutilizzo delle acque depurate, che possono trovare nuovo impiego, anche in agricoltura, e al fine di non disperderle in mare, dove cagionerebbero danni certi giacché, trattandosi di acque dolci, la loro immissione nei bacini salati provoca alterazione dell’ecosistema;

non meno importante è un’opera di sensibilizzazione della cittadinanza sul tema del contrasto allo spreco della risorsa idrica, posto che siamo i più alti consumatori pro capite di acqua in Europa con oltre 220 litri al giorno per abitante, con consumi medi familiari nell’ordine dei 150 metri cubi all’anno; altro tema particolarmente sentito in tutti i principali settori produttivi che contribuiscono alla tenuta e alla crescita del Paese, a partire ovviamente dall’agricoltura, è quello dell’accesso al credito, posto che la disponibilità di risorse e di prodotti finanziari rappresenta indubbiamente una delle condizioni indispensabili per la crescita di una qualsiasi impresa o attività produttiva;

anche e soprattutto per tali ragioni, è fondamentale intervenire sugli accordi di Basilea, valutando la possibilità di un ripensamento che tenga conto delle particolarità dell’agricoltura: si pensi, ad esempio, a interventi sulle procedure di istruttoria e a deroghe apposite per il merito creditizio delle imprese agricole, la cui attività come noto è legata in maniera indissolubile ai cicli della natura e, in quanto tale, non ha le stesse tempistiche degli altri comparti produttivi;

in ogni caso, è necessario continuare a lavorare sul rapporto tra gli istituti di credito e le imprese agricole, rafforzandolo e facilitandolo, tenendo anche conto del fatto che un altro grande problema è quello legato all’inasprimento dei tassi d’interesse per i prestiti bancari, in atto ormai da diversi mesi. Questione di fondamentale rilevanza in un’ottica di rilancio dell’economia, per la quale lo stesso Piano nazionale di ripresa e resilienza, come noto, oltre a prevedere risorse a fondo perduto, contempla prestiti ad interessi agevolati,

impegna il Governo:

1) ad intraprendere ogni opportuna iniziativa, anche di carattere normativo, volta ad adottare un piano nazionale per combattere l’emergenza idrica, fondato su alcuni principali pilastri:

a) garantire la manutenzione costante della rete distributiva e degli invasi;

b) prevedere il coinvolgimento dei bacini idroelettrici per sostenere le forniture di acqua ad uso potabile e agricolo nelle fasi più acute della siccità;

c) favorire la ricarica controllata della falda, in modo che le sempre minori e più concentrate precipitazioni permangano più a lungo sul territorio invece di scorrere a valle fino al mare;

d) prevedere l’obbligo di recupero delle acque piovane con l’installazione di sistemi di risparmio idrico e il recupero della permeabilità e attraverso misure di de-sealing in ambiente urbano; in agricoltura prevedendo laghetti e piccoli bacini;

e) prevedere interventi strutturali per rendere efficiente il funzionamento del ciclo idrico integrato e permettere le riduzioni delle perdite di rete e completare gli interventi sulla depurazione;

f) implementare il riuso delle acque reflue depurate in agricoltura attraverso la promozione delle modifiche normative necessarie;

g) riconvertire il comparto agricolo verso colture meno idroesigenti e metodi irrigui più efficienti;

h) utilizzare i criteri minimi ambientali nel campo dell’edilizia per ridurre gli sprechi;

i) favorire il riutilizzo dell’acqua nei cicli industriali anche per ridurre gli scarichi inquinanti;

l) introdurre misure di incentivazione e defiscalizzazione in ambito idrico, come avviene per gli interventi di efficientamento energetico, per tutti gli usi e per tutti i settori coinvolti;

m) incentivare i comuni a dotarsi di strumenti di misura remoti smart meter e a promuovere progetti di intelligenza artificiale e data science per recuperare significative percentuali di risorse idriche perse;

n) definire una gestione delle crisi basata sui bisogni concreti dei distretti idrografici minacciati dalla scarsità delle risorse idriche e dalla siccità, sulla partecipazione pubblica e sui sistemi di allerta rapida che operano a livello nazionale, regionale e locale;

o) promuovere cooperazioni interregionali per la gestione integrata dei corsi d’acqua, in particolare in ambito agricolo;

2) a valutare l’opportunità di adottare iniziative di carattere economico a sostegno dei comparti produttivi maggiormente colpiti dall’emergenza idrica, con particolare riguardo a:

a) misure di aiuto, prevenzione e compensazione a sostegno del settore agricolo, valutando l’opportunità di un miglior indirizzamento di quelle del Piano nazionale di ripresa e resilienza;

b) estensione del credito di imposta per l’acquisto di gasolio agricolo, necessario ad arginare il «caro carburante»;

c) sterilizzazione strutturale del sistema delle accise sui carburanti e definitiva eliminazione degli oneri di sistema;

3) sul piano ambientale, a promuovere una politica volta a:

a) evitare la creazione di barriere al corso naturale dei fiumi nel tentativo di ridurre le inondazioni e condurre valutazioni più ampie dell’impatto in caso di sbarramento dei corsi naturali sul flusso d’acqua;

b) favorire un maggior utilizzo del rimboschimento per limitare e mitigare il deflusso estremo delle acque di superficie e sotterranee e per contrastare il degrado e l’erosione del suolo;

c) procedere a una nuova valutazione delle quantità di acqua sotterranea in Italia e delle norme che ne disciplinano l’uso, nel principale intento di garantire un uso razionale delle risorse d’acqua sotterranee in base alle esigenze dei singoli territori;

4) ad assumere iniziative di competenza presso le competenti sedi europee per l’estensione, anche per il 2023, delle deroghe accordate nel 2022 sull’uso non produttivo dei terreni e sulla rotazione annuale obbligatoria dei seminativi;

5) a istituire un tavolo di confronto permanente sul credito in agricoltura, vero e proprio motore della crescita e dell’innovazione, intorno al quale riunire le istituzioni, le organizzazioni di settore e l’Abi;

6) a promuovere campagne nazionali di informazione e sensibilizzazione su un uso ragionato dell’acqua.
(1-00121) «Almici, Foti, Cerreto, Mattia, Rotelli, Caretta, Milani, Benvenuti Gostoli, Ciaburro, Iaia, La Porta, La Salandra, Lampis, Malaguti, Marchetto Aliprandi, Fabrizio Rossi, Rachele Silvestri».




Siccità, mozione Bonelli (AVS): su fondo da 8 mld per acquedotti e altre misure

Atto Camera

Mozione 1-00117

presentato da

BONELLI Angelo

testo di

Venerdì 14 aprile 2023, seduta n. 87

La Camera,

premesso che:

la siccità in Italia sta diventando sempre più comune negli ultimi decenni, con conseguenze devastanti per l’agricoltura, l’ambiente e la popolazione. Le cause principali della siccità sono legate al cambiamento climatico, che sta aumentando la temperatura globale e alterando i modelli di precipitazione, ma anche a un uso insostenibile della risorsa idrica;

il grido di allarme lanciato dagli scienziati dell’Ipcc (il Panel intergovernativo sui cambiamenti climatici) con l’ultimo rapporto pubblicato a fine marzo 2023, indica chiaramente come non ci sia più tempo da perdere per fronteggiare l’emergenza climatica. Il surriscaldamento del pianeta, con un aumento della temperatura media globale di 1.1 °C rispetto all’era preindustriale (1850-1900), sta già avendo impatti diffusi e disastrosi che colpiscono la vita di milioni di persone in tutto il mondo, con l’aumento di ondate di calore, siccità e inondazioni che stanno già superando il livello di guardia;

in questo scenario si inserisce l’estate 2022, forse quella dove si è registrata la peggiore siccità in Europa da 500 anni a questa parte e il 2023 che si preannuncia ancora più drammatico. L’Italia ha chiuso il 2022 con un pesante deficit idrico, aggravato dalla siccità che ha colpito duramente tutto il Nord e parte del Centro per oltre un anno. A subire le conseguenze maggiori sono stati soprattutto i terreni irrigui e i prati-pascoli, che sono stati colpiti da un intenso deficit di pioggia di lungo periodo, ma la siccità ha influito pesantemente anche sull’agricoltura e sull’energia idroelettrica prodotta, che ha subito una forte riduzione di circa il 40 per cento. Secondo i dati della piattaforma Entso-E, il calo è visibile già dalla metà del 2021, ma il 2022 è stato un anno eccezionale rispetto ai sei precedenti e anche i valori dei primi mesi del 2023, sono molto inferiori aggravando ulteriormente la situazione;

appare molto preoccupante la situazione della siccità nel Nord-Ovest del Paese, come evidenziato da diverse fonti, in particolare, l’Ordine dei geologi, che ha riferito come le riserve di acqua in Lombardia sono di circa il 45 per cento in meno rispetto alla media tra il 2006 e il 2020, con il livello dei laghi inferiore di poco più del 50 per cento e il manto nevoso sulle montagne solo al 46,2 per cento della media. Questa grave siccità ha causato il ridotto livello dei fiumi e dei laghi della regione, che rappresenta un problema per l’ecosistema e per le attività umane che ne dipendono. Rispetto al massimo valore d’invaso il Lago di Garda, ad esempio, ha un riempimento del 35 per cento, che lo porta a soli 13 centimetri dal record minimo del periodo risalente al 1989, mentre il Lago di Como ha una percentuale di riempimento pari al 20 per cento e un livello di -5,8 cm, circa 20 cm al di sotto dei livelli normali. Il Lago Maggiore ha un riempimento del 38 per cento, inferiore alla norma, mentre il Fiume Po a Ponte della Becca (Pavia) si trova a -3,2 metri rispetto allo zero idrometrico, con le rive ridotte a spiagge di sabbia come in estate;

l’altra causa della siccità in Italia è l’uso insostenibile dell’acqua, di cui non conosciamo appieno i consumi annui. Se per gli usi civili, periodicamente rilevati dall’Istat, sappiamo che si erogano ai cittadini circa 4,7 miliardi di metri cubi l’anno, ai quali va aggiunto un terzo dovuto alle perdite delle reti di distribuzione, le stime sugli usi industriali non sono mai state aggiornate da oltre 20 anni, mentre l’incertezza maggiore riguarda gli usi irrigui. Il Censimento dell’agricoltura 2010 stima che per irrigare i 2,42 milioni di ettari di superficie irrigua nazionale si impiegano circa 11,1 miliardi di metri cubi all’anno, che tenuto conto delle elevate perdite di distribuzione delle reti irrigue implicherebbe un prelievo di circa 25 miliardi di metri cubi;

al netto delle perdite l’Italia è il Paese dell’EU con i consumi domestici più elevati (220 litri/abitante/giorno contro i 150 della Grecia e i 132 della Spagna – fonte: Blue Book 2022) e ciò per la totale mancanza di incentivi per favorire la diffusione di soluzioni che nel resto d’Europa si stanno diffondendo, come la raccolta della pioggia e il riuso delle acque grigie depurate;

la fatiscenza degli acquedotti porta ad una perdita di acqua pari al 42 per cento, potremmo dare da bere ad una popolazione di 40 milioni di abitanti: nonostante questa emergenza infrastrutturale il PNRR prevede solo 900 milioni di euro di investimento per affrontare la dispersione dell’acqua dalle condutture;

l’azione condotta fin qui dai Governi è stata per lo più improntata ad un uso reiterato dei commissariamenti, da quelli per il dissesto idrogeologico a quelli per accelerare la predisposizione e attuazione del Piano nazionale di interventi nel settore idrico, dal commissario unico nazionale per la depurazione, ai commissari delegati per gli interventi urgenti per la gestione della risorsa idrica con un approccio dettato dall’emergenza e dall’estemporaneità degli interventi, per lo più di carattere infrastrutturale e di ulteriore artificializzazione del reticolo idrico, senza affrontare in modo ordinario e pianificato la gestione delle acque;

nel nostro Paese attualmente vi sono 532 grandi dighe, di cui solo 374 in pieno esercizio, mentre 7 risultano ancora in costruzione, 76 in attesa di collaudo, 41 a invaso limitato e 33 fuori esercizio temporaneo (Annuario dei dati ambientali 2020, Ispra, 2021), mentre per le piccole dighe sono state raccolte informazioni su 26288 invasi, molti dei quali recentemente costruiti. Da rilevare poi che, sulla spinta degli incentivi, gli impianti di produzione di energia idroelettrica e la conseguenza frammentazione del reticolo idrico soprattutto montano, sono aumentati enormemente nell’arco di un decennio, passando da 2249 nel 2009 a 4337 nel 2018 (Terna, 2018). Impianti piccoli, con un contributo energetico strategico trascurabile (+0,7 per cento di potenza installata in 10 anni) ma con elevati impatti ambientali;

in Italia, come in altri Paesi mediterranei, le politiche di approvvigionamento idrico hanno puntato ad accrescere la «capacità di regolazione» dei deflussi superficiali, creando invasi in cui accumulare le acque nel periodo piovoso per utilizzarle durante quello arido. Questa strategia ha tuttavia ben pochi margini per essere ulteriormente attuata, considerando che le sezioni dei corsi d’acqua dove era più facile ed efficace realizzare invasi sono ormai già abbondantemente sfruttate e che il riempimento dei volumi di accumulo esistenti sta diventando sempre più difficile a causa del mutato regime delle precipitazioni, a partire da quelle nevose, visto che con i grandi laghi alpini e gli invasi artificiali semivuoti sembra molto ottimistico pensare che realizzarne di nuovi possa risolvere il deficit idrico;

negli ultimi decenni, sono risultati sempre più evidenti i notevolissimi impatti ambientali e socio-economici degli sbarramenti dei fiumi. Secondo l’analisi delle pressioni sulle acque svolta in attuazione della direttiva quadro 2000/60, dighe e altri ostacoli sono, infatti, il fattore di pressione più significativo in almeno il 30 per cento dei corpi idrici europei e causa del mancato raggiungimento del buono stato ecologico in almeno il 20 per cento di essi;

le dighe, oltre ad impattare drammaticamente la popolazione ittica, hanno determinato (insieme alle escavazioni in alveo) un cronico deficit di sedimenti su estese porzioni del reticolo idrografico italiano, con incisione degli alvei ed erosione costiera e conseguenti danni a ponti e opere di difesa, rendendo necessario un ingente esborso di risorse per ricostruire o stabilizzare tali infrastrutture e per realizzare opere di difesa dei litorali. Incisione degli alvei ed erosione delle coste sono fattori primari di depauperamento delle falde freatiche e di intrusione del cuneo salino, ovvero proprio quei fenomeni che vengono spesso imputati esclusivamente alla siccità e che si pretende di combattere con nuove dighe;

all’accumulo negli invasi si collegano poi altri problemi significativi, come la perdita di molta acqua per evaporazione, l’aumento elevato di temperature negli invasi più piccoli, con formazione di condizioni anossiche, fioriture algali e sviluppo di cianotossine (uno dei problemi di qualità dell’acqua emergenti di maggior rilievo a livello mondiale), fattori che compromettono il successivo utilizzo di queste acque e la necessità di sfangamento degli invasi, che spesso comportano interventi costosi e complessi sul piano tecnico, impatti ambientali rilevanti e la difficoltà di reperire siti idonei, nel caso in cui i fanghi vadano smaltiti ai di fuori del corso d’acqua;

risulta pertanto evidente come gli invasi lungo i corsi d’acqua non rispettino assolutamente il principio Dnsh (Do no significant harm), che prevede che gli interventi previsti dai PNRR non arrechino danno significativo all’ambiente e vanno nella direzione diametralmente opposta rispetto alla Strategia europea per la biodiversità 2030 e alla proposta di Regolamento europeo per la «Nature Restoration», che chiedono invece di ripristinare la connettività dei corsi d’acqua, rimuovendo sbarramenti che creano più danni che benefici e non di costruirne di nuovi;

anche la realizzazione di impianti di desalinizzazione per aumentare la disponibilità idrica non è sostenibile come soluzione strutturale di approvvigionamento idrico per il Paese e può essere presa in considerazione solo in casi di necessità, in determinati periodi dell’anno e solo per realtà particolari, ad esempio le piccole isole. Sono, infatti, molto elevati tanto i costi economici quanto quelli energetici e ambientali associati a questa tecnologia, considerando che i residui del trattamento, ad esempio, sono costituiti da una «melma» ipersalina (la salamoia) ricca di anti-incrostanti, metalli e cloruri, il cui smaltimento determina notevoli impatti dove viene scaricata, tendendo a stratificarsi in prossimità del fondale marino e alterando gravemente habitat e specie;

per sopperire all’eccesso di domanda irrigua rispetto alla disponibilità idrica, troppo spesso inoltre si fa ricorso al meccanismo della deroga al deflusso ecologico, che dovrebbe restare una misura di assoluta emergenza. Ora la deroga, applicata anche nella misura del 70 per cento e per l’intera stagione irrigua, sta diventando, di fatto, un istituto ordinario in diverse regioni, vanificando così gli sforzi in corso per passare da un ormai obsoleto deflusso minimo vitale a un vero e proprio deflusso ecologico, che tenga in considerazione i diversi aspetti rilevanti del regime idrologico e le funzioni e servizi ecosistemici a essi associati. La realizzazione di nuovi invasi rischia, non solo di alterare ulteriormente il regime idrologico di corsi d’acqua già fortemente impattati, ma di determinare un’ulteriore spinta per altre deroghe;

secondo stime Anbi in Italia all’agricoltura sono imputabili 14,5 miliardi di metri cubi di acqua l’anno, pari al 54 per cento dei consumi totali e in tale contesto appare quanto mai necessario, a fronte non solo delle crisi idriche ma di quelle sistemiche che rendendo sempre più difficile e costoso l’accesso ai fattori su cui si è basata la produttività agricola, promuovere un sistema agroalimentare che richieda un minor uso idrico, anche attraverso una riconversione del sistema dell’industria zootecnica e ridefinire l’organizzazione dei paesaggi agrari e delle pratiche agronomiche, con l’adozione di misure mirate all’incremento della funzionalità ecologica dei territori agrari e della loro capacità di trattenere e far infiltrare le acque meteoriche e prevenire il degrado dei suoli, con l’adozione generalizzata di pratiche colturali che implementino il contenuto di sostanza organica nei suoli e la loro capacità di assorbire le piogge e trattenere umidità;

l’agricoltura intensiva ha poi determinato un estremo impoverimento dei suoli agricoli. Secondo Ispra il 28 per cento del territorio italiano presenta segni di desertificazione, che non è solo un problema di mancanza d’acqua. Secondo i dati Crea (2017) in Italia il contenuto di carbonio organico nei suoli è in media pari all’1 per cento: questo indica suoli disfunzionali, inclini alla desertificazione, meno capaci di trattenere acqua e nutrienti, dalla minore capacità produttiva. Si stima che aumentando di solo l’1 per cento il contenuto di sostanza organica nel suolo, la capacità di trattenere acqua aumenti di quasi 300 metri cubi per ettaro. La superficie agricola italiana è di circa 17 milioni di ettari, si tratta quindi di un accumulo di oltre 5 miliardi di metri cubi, quasi la metà di quella che si può attualmente accumulare negli invasi delle grandi dighe italiane (11,8 sono i miliardi di metri cubi invasabili attualmente stimati);

il luogo migliore dove stoccare l’acqua rimane la falda e la ricarica controllata della falda determina un ventaglio ampio di benefici oltre quello dello stoccaggio: falde più alte sono di sostegno a numerosi habitat umidi, lentici e lotici si previene la subsidenza indotta dall’abbassamento della falda; falde più elevate rilasciano lentamente acqua nel reticolo idrografico sostenendo le portate di magra; livelli di falda alti contrastano l’intrusione del cuneo salino. I sistemi di ricarica controllata della falda costano in media 1,5 euro per metri cubi di capacità di infiltrazione annua, mentre per gli invasi i costi arrivano a 5-6 euro per metri cubi di volume invasabile. I sistemi di ricarica controllata consumano molto meno territorio e per essi è più facile trovare siti idonei; metodi «naturali» come le aree forestali di infiltrazione, già realizzate ed efficacemente dimostrate in alcuni contesti agricoli, andrebbero incentivate e potrebbero, fornire diversi servizi ecosistemici aggiuntivi;

l’ostacolo principale all’infiltrazione delle piogge nel suolo è data dalla forte cementificazione del territorio e dall’impermeabilizzazione dei suoli che ha ridotto progressivamente la capacità di rigenerazione delle falde idriche, determinando il rapido convogliamento delle acque nei sistemi di fognatura urbana. Il consumo di suolo viaggia ad una velocità di 2 mq/sec, secondo i dati Ispra il recupero delle acque piovane in ambito urbano risulta viceversa assolutamente strategico, considerando che i dati pluviometrici relativi a 109 città capoluogo di provincia nel 2023, anno in cui le piogge sono state anche inferiori alle medie storiche di riferimento, indicano in circa 13 miliardi di metri cubi l’acqua piovana dispersa, una quantità corrispondente a circa il 40 per cento dei prelievi medi annui di acqua in Italia (circa 33 miliardi di metri cubi);

per far sì che le precipitazioni permangano più a lungo sul territorio, alimentando le falde e smorzando i picchi di piena, invece di scorrere velocemente a valle, un’altra misura fondamentale è la restituzione di spazio ai fiumi, riducendone la canalizzazione e ripristinando la connessione tra gli alvei e le pianure inondabili, anche rimuovendo opere di difesa e, quando necessario, ricostruendole a maggior distanza dal fiume. In questa direzione va anche il ripristino della connettività monte-valle, rimuovendo o modificando parte degli sbarramenti esistenti, per recuperare le forti incisioni subite dagli alvei nei decenni scorsi a causa dell’eccesso di escavazioni nei corsi d’acqua e all’effetto di dighe e invasi;

l’indagine «Il riutilizzo delle acque reflue in Italia», realizzata da Utilitalia (la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche), sostiene che il riuso delle acque reflue depurate in agricoltura ha un potenziale enorme (9 miliardi di metri cubi all’anno, l’acqua che esce dai depuratori), ma in Italia viene sfruttato solo per il 5 per cento (475 milioni di metri cubi), a causa di limiti normativi, pregiudizi degli agricoltori e una governance non ancora ben definita. È quindi necessario superare i limiti culturali su questa soluzione, cui dovremo necessariamente ricorrere nei prossimi anni e che, se progettata con criterio, ovvero seguendo i principi della gestione del rischio, e associata a una capillare attività di monitoraggio della qualità, garantisce che l’acqua recuperata sia utilizzata e gestita in modo sicuro per la salute e l’ambiente;

le soluzioni sopra indicate dovrebbero essere tra le misure previste dai piani di gestione dei bacini idrografici e dettagliate dalle regioni nell’ambito dei piani regionali di tutela delle acque come prescritto dal decreto legislativo n. 152 del 2006, per cui non servono piani straordinari concepiti sull’onda emotiva dell’emergenza, ma eventuali procedure straordinarie limitate ad affrontare particolari criticità e urgenze, mentre è necessario prevedere dotazioni finanziarie adeguate per l’attuazione di una strategia nazionale integrata per l’attuazione di politiche idriche al tempo del cambiamento climatico,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative di competenza volte ad istituire un fondo di 8 miliardi di euro da destinare alla sostituzione-manutenzione degli acquedotti fatiscenti attraverso la rimodulazione del fondo complementare del PNRR;

2) a individuare, sentita Arera e le associazioni degli enti d’ambito e dei gestori dei Sii, gli eventuali ostacoli e i meccanismi di reperimento delle risorse finanziarie che permettano di accelerare il percorso volto a portare le perdite delle reti civili al di sotto del 25 per cento (per le perdite percentuali) ed entro i 15 mc/km/gg (per le perdite specifiche lineari) e di introdurre un nuovo criterio in aggiunta ai 6 definiti dalla «regolazione della qualità tecnica del servizio idrico integrato», che premi i gestori che massimizzano il riuso delle acque depurate;

3) ad istituire, con il supporto di Ispra, Istat, Irsa-Cnr e le altre istituzioni tecnico-scientifiche in grado di contribuire, protocolli di raccolta dati e modelli logico/previsionali che consentano di conoscere e rendere disponibili ai cittadini stime affidabili delle disponibilità delle risorse idriche, dei consumi reali e della domanda potenziale;

4) ad adottare iniziative volte a definire e adottare per ogni bacino idrografico piani di bilancio idrico con misure di gestione delle siccità che devono essere inserite nella pianificazione territoriali e tenute in considerazione del rinnovo delle concessioni idriche, in modo da superare definitivamente l’attuale approccio emergenziale;

5) a definire un quadro normativo e regolamentare per favorire il riuso in ambito irriguo delle acque reflue secondo il regolamento UE 741/2020, anche associando agli impianti di depurazione delle acque reflue urbane sistemi di fitodepurazione e lagunaggio, al fine di garantire una maggiore persistenza degli accumuli in superficie, contribuendo alla ricarica delle falde;

6) a definire, di concerto con l’Anci, una strategia sui criteri minimi edilizi che porti alla riduzione dei consumi idrici domestici e il ricorso ad acque non potabili (acque di pioggia accumulate o acque grigie depurate) per gli usi compatibili (risciacquo dei WC, lavatrice, lavaggi esterni) in modo da portare il valore medio dei consumi civili di acqua potabile a non oltre i 150 litri abitante giorno;

7) a definire una strategia di trasformazione del nostro sistema agroalimentare, identificando misure fortemente orientate:

a) a favorire la diffusione di colture e sistemi agroalimentari meno idroesigenti;

b) a promuovere la diffusione di misure mirate all’incremento della funzionalità ecologica dei paesaggi e suoli agrari e della loro capacità di ritenzione idrica;

c) a ridurre gli allevamenti intensivi;

d) a contenere i consumi irrigui anche attraverso la digitalizzazione e l’innovazione tecnologica;

8) ad adottare le iniziative di competenza volte ad arrestare la costruzione di nuovi grandi invasi artificiali e di nuove dighe lungo i corsi d’acqua e l’escavazione in alveo, che pregiudicano il deflusso ecologico dei fiumi determinando un fortissimo impatto sul sistema idrografico e in generale sulle funzioni vitali dell’ecosistema fluviale;

9) a favorire interventi di rinaturalizzazione dei corsi d’acqua previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza;

10) ad adottare iniziative volte a garantire la piena attuazione degli obblighi di rilascio del deflusso ecologico nei corpi idrici, per assicurare una maggior resilienza degli ecosistemi acquatici in condizioni di siccità e anche al fine di ripristinare le naturali funzioni di ricarica delle falde acquifere, associandolo a misure di ricarica artificiale;

11) a recepire le misure previste dalle strategie per la «Biodiversità 2030», «From farm to fork» e «Suolo» nell’ambito del New Green Deal dell’UE e riprese dalla recente proposta normativa «Pacchetto Natura» presentata dalla Commissione europea;

12) ad adottare iniziative normative che portino a consumo suolo zero entro il 2030 per fermare anche l’impermeabilizzazione dei terreni;

13) ad avviare una un programma nazionale di riqualificazione e ripristino della connettività dei corsi d’acqua, come misura di adattamento al cambiamento climatico, in coerenza con gli obblighi della direttiva quadro acque e con gli impegni della strategia europea per la biodiversità e in sinergia con la direttiva alluvioni;

14) ad adottare iniziative volte a destinare almeno 2 miliardi di euro l’anno per un periodo di 10 anni per interventi di riqualificazione morfologica ed ecologica dei corpi idrici naturali e del reticolo minore;

15) a favorire il riutilizzo dell’acqua nei cicli industriali anche per ridurre gli scarichi inquinanti.
(1-00117) «Bonelli, Zanella, Fratoianni, Evi, Borrelli, Dori, Ghirra, Grimaldi, Mari, Piccolotti, Zaratti».




Nutriscore, Senato approva mozione Vallardi: Italia paese più longevo in Ue senza etichette colorate. Farm to Fork non sia a scapito di agricoltori e allevatori. Reciprocità fondamentale

“Abbiamo voluto questa mozione per sottolineare come l’etichettatura a semaforo del Nutriscore rischi di affossare le nostre eccellenze. Siamo il paese più longevo in Europa ed il secondo al mondo dopo il Giappone, ci pare dunque assurdo che l’Ue voglia classificare i cibi secondo un bollino che penalizza le nostre produzioni.”

Così ad AGRICOLAE il presidente della Comagri Senato in merito alla mozione approvata quest’oggi sulla difesa del Made in Italy all’interno del dibattito su Farm to Fork e Nutriscore.

“Riguardo al Farm to Fork voglio ricordare come siamo tutti amici dell’ambiente, condividiamo l’impegno di arrivare a raggiungere gli obiettivi fissati al 2030 e 2050 ma non a scapito degli allevatori e degli agricoltori. Dobbiamo migliorare sempre di più il benessere animale ma già lo stiamo facendo e i risultati lo dimostrano. Non possiamo però togliere dalla nostra dieta la carne, come invece vuole qualcuno, perché per soddisfare i criteri della farm to fork non possiamo diventare tutti vegani.

Fondamentale è poi il criterio della reciprocità, perché nel momento in cui si stabiliscono dei criteri per le nostre produzioni allora questi devono essere rispettati anche dai prodotti che importiamo. Dobbiamo chiedere gli stessi standard di qualità e salubrità anche ai prodotti che importiamo.”

Mozione, Vallardi Lega Senato, su tutela e sostegno Made in Italy in ambito Farm to Fork e Nutriscore

Per saperne di più:

Nutriscore: Taricco (Pd), “Nutrinform Battery per tutela alimentare e della qualità”

Nutriscore: Biti (Pd), noi siamo contro, per tutelare qualità italiana e dieta equilibrata serve Nutrinform Battery

Agroalimentare, Nevi (FI): Bene la presentazione del Nutrinform Battery

Nutriscore, Trentacoste (M5S): Ue si doti di sistema equo e imparziale, serve massimo impegno per impedire forme di discriminazione

Nutriscore, Bergesio (Lega): progetto fallimentare, necessario difendere patrimonio agroalimentare




Mozione Camera maggioranza su clima: eliminare sussidi ambientalmente dannosi salvaguardando agricoltura. Ecco il catalogo: figura anche sostegno a grano, pomodoro, riso e zootecnia. E non solo

Fermo l’impegno del ministro delle Politiche agricole Teresa Bellanova a tutelare il settore agricolo e della pesca precisando che il comparto “non è il problema ma la soluzione dei cambiamenti climatici”. Ripescando una mozione presentata lo scorso 10 maggio da Rossella Muroni, Leu, controfirmata da Pd, Italia Viva, Movimento Cinque Stelle viene modificata cercando di salvaguardare l’agricoltura. E discussa lunedì 25 novembre con tanto di resoconto del sottosegretario all’Ambiente Roberto Morassut. Praticamente tutta la maggioranza coesa su un fronte: mettere mano ai SAD, i sussidi ambientalmente dannosi.

La mozione 1-00181 – che si limita ad essere un impegno e non un provvedimento esecutivo e la cui votazione è stata rinviata – tratta gli “eventi climatici estremi – alluvioni, siccità, ondate di calore, livello del mare e l’aumento del cuneo salino che si susseguono con sempre maggiore frequenza in diverse parti del mondo, determinando danni economici a persone, ad animali e a interi sistemi produttivi” si prevede “l’urgenza di un intervento netto e deciso per invertire tale processo non è più in alcun modo rinviabile, come ampiamente dimostrato dal sempre crescente numero di allarmi che giungono dall’intera comunità scientifica”.

Al punto G del testo, si legge l’intento di “pervenire alla progressiva riduzione dei sussidi ambientalmente dannosi di cui alla legge 28 dicembre 2015, n. 221, attraverso un percorso di transizione che contempli ipotesi alternative e compensative con carattere di sostenibilità, anche con l’eventualità di introdurre l’obbligo di valutazione ambientale preventiva dei sussidi, con l’obiettivo di salvaguardare, innovare e rafforzare le attività produttive collegate, a cominciare dall’agricoltura”.

Tra i sussidi ambientalmente dannosi, figurano, per quanto riguarda il settore dell’Agricoltura e della pesca:

Indennità giornaliera per i lavoratori dipendenti da imprese adibite alla pesca marittima nei periodi di fermo obbligatorio;

Estensione della garanzia per i finanziamenti a favore delle imprese della pesca e dell’acquacoltura;

Sostegno specifico per la zootecnia bovina da carne: macellazione bovini;

Sostegno specifico per i seminativi: premio per la soia;

Sostegno specifico per i seminativi: premio per il riso;

Sostegno specifico per i seminativi: premio pomodoro da industria;

Sostegno specifico per i seminativi: frumento duro;

Misure per la competitività delle filiere agricole strategiche e per il rilancio del settore olivicolo nelle aree colpite da Xylella fastidiosa;

Sostegno specifico per la zootecnia bovina da latte;

Sostegno specifico per la zootecnia bufalina da latte;

Sostegno specifico per la zootecnia bovina da latte in zone montane;

Razionalizzazione e riconversione della produzione bieticolo-saccarifera in Italia;

Misura 4 PSR 2014-2020: Investimenti in immobilizzi materiali;

Misura 6 PSR 2014-2020: Sviluppo delle aziende agricole e delle imprese;

Aiuti nel settore degli ortofrutticoli: sostegno ai programmi operativi delle Organizzazioni dei produttori;

Regime di pagamento di base;

Intervenuto in aula il sottosegretario al ministero dell’Ambiente Roberto Morassut che, tra le altre cose, ha precisato: “Quello che è certo è che il Governo ha messo al centro della propria azione e forse anche della propria identità questa materia che è una materia ribollente, difficile, non è una materia che crea soltanto consenso, è anche una materia che divide, che può creare conflitti, che può creare resistenze e lo stiamo vedendo in molti casi, ma che va affrontata sapendo che il tempo è una variabile indipendente di tutto questo.

C’è un proverbio che è stato ricordato nel recente congresso di Legambiente che voglio ricordare concludendo questa discussione, è un proverbio africano molto significativo e molto illuminante che dice: se vuoi andare veloce corri da solo; se vuoi andare lontano cammina con gli altri. Oggi noi abbiamo l’obbligo di correre con gli altri cioè di andare veloci e di arrivare lontano e dobbiamo farlo naturalmente non issando bandiere di partito ma attraverso una grande operazione culturale”.

Qui di seguito AGRICOLAE pubblica il catalogo dei SAD:

csa_ii_edizione_2017_luglio_2018

catalogo_sussidi_ambientali 2016(1)

Qui di seguito AGRICOLAE pubblica la mozione:

http://aic.camera.it/aic/scheda.html?core=aic&numero=1/00181&ramo=C&leg=18

Tutto nasce dalla risoluzione del Parlamento europeo sull’emergenza climatica globale. E che oggi è stata approvata. A commentare è stata la responsabile Ambiente del Pd Chiara Braga: “Oggi il Parlamento europeo ha approvato la dichiarazione di emergenza climatica e ambientale. Il Pd ha presentato da mesi una mozione a prima firma del nostro vicesegretario Orlando perche’ anche l’Italia faccia la stessa cosa”. “Finalmente questa settimana la questione è stata discussa alla Camera, condivisa da tutta la maggioranza, ora – aggiunge – è importante che tutto il Parlamento sostenga questa proposta. Le emissioni continuano a crescere, l’Italia anche in questi giorni è sconvolta da nord a sud da calamità causate dai cambiamenti climatici. Non c’è più tempo: chiediamo al ministro Costa e al nostro governo di dichiarare subito – conclude Braga – lo stato di emergenza climatica e ambientale”.