FILIERA ITALIA. FERRERO ESCE

Da quanto apprende AGRICOLAE Ferrero, il gigante della Nutella, è uscita da Filiera Italia, la realtà associativa nata dalla spinta Coldiretti per mettere insieme il mondo agricolo e l’industria agroalimentare italiana d’eccellenza insieme per difendere tutta la filiera agroalimentare nazionale dove era entrata ad ottobre 2017. Sempre da quanto si apprende la motivazione ufficiale sarebbe il fatto che la rete nata come associazione ha cambiato il proprio statuto in fondazione.

Proprio a seguito dell’uscita di Ferrero da Filiera Italia nei primi giorni di dicembre sia Matteo Salvini che Matteo Renzi hanno fatto tweet relativi ai dolci prodotti dalla nota casa dolciaria.

Per saperne di più:

FILIERA ITALIA, CONSEGUENZA DELLA ‘LOTTA’ TRA LA CARNE E LA PASTA IN FEDERALIMENTARE? MA ANCHE DELL’OLIO DI PALMA..

Posted by Redazione × Pubblicato il 09/11/2017 at 17:42

Potrebbe essere l’ex presidente dell’Agenzia per i Monopoli di Stato e delle dogane Giuseppe Peleggi tra i vertici di Filiera Italia

Potrebbe essere l’ex presidente dell’Agenzia per i Monopoli di Stato e delle dogane Giuseppe Peleggi tra i vertici di Filiera Italia, l’associazione che vede unite Coldiretti, l’industria della carne e Ferrero.

Ma qual è il patto di sangue che lega i due giganti dell’industria (Ferrero e Cremonini) e il gigante dell’agricoltura  (Coldiretti)? Sembrerebbe essere la guerra intestina che da anni si consuma all’interno della Federalimentare tra chi produce carne e chi produce pasta.

La questione infatti si inserisce in una dinamica di annosi scontri tra il mondo della carne di cui il leader assoluto è Cremonini, (l’ad Luigi Scordamaglia è anche presidente di Federalimentare) e il mondo della pasta (il numero uno al mondo è Barilla che ha fondato anni fa la fondazione sulla sostenibilità ambientale le cui ricerche hanno messo spesso sulla gogna la produzione zootecnica).

Attriti tali da spaccare il ramo alimentare della Confindustria.

Lo scontro tra la carne e la pasta è noto da tempo agli addetti del settore.

L’entrata in squadra di Ferrero si inserisce in una lotta sistemica e sinergica per difendere il made in Italy tutto – compreso il Know how – contro gli attacchi francesi (appunto contro la Nutella) e inglesi (l’etichetta a semaforo su tutti ma anche i recenti articoli pubblicati da The Guardian).

Di mezzo sembra esserci però anche l’affaire olio di palma.

Da quanto apprende AGRICOLAE infatti, sia Barilla che Ferrero avevano aderito al Rspo, round table for sustenaible palm oil. In pratica un tavolo deputato a rendere ‘sostenibile’ l’olio di palma, senza rinnegarne l’uso. Ma mentre la Nutella ne ha difeso l’utilizzo fino alla fine contro gli attacchi mediatici della Francia, la Barilla ha fatto una fuga in avanti da assolo che potrebbe non essere piaciuta. Pubblicizzando d’un tratto le merendine olio di palma free. Andando a ‘corrompere’ quello stesso tavolo di cui faceva parte.

Senza contare la guerra portata avanti da anni da parte della Coldiretti sul grano importato per fare la pasta…

Ora, la figura di Peleggi tra i dirigenti – al di là delle scelte e delle cariche ‘politiche’ – potrebbe essere in linea con gli obiettivi della Filiera Italia. Tra cui anche l’export.

Dopo tanto tempo di chilometri zero, ora si guarda oltre confine insieme all’industria.




FILIERA ITALIA, CONSEGUENZA DELLA ‘LOTTA’ TRA LA CARNE E LA PASTA IN FEDERALIMENTARE? MA ANCHE DELL’OLIO DI PALMA..

GIUSEPPE PELEGGI

Potrebbe essere l’ex presidente dell’Agenzia per i Monopoli di Stato e delle dogane Giuseppe Peleggi tra i vertici di Filiera Italia

Potrebbe essere l’ex presidente dell’Agenzia per i Monopoli di Stato e delle dogane Giuseppe Peleggi tra i vertici di Filiera Italia, l’associazione che vede unite Coldiretti, l’industria della carne e Ferrero.

Ma qual è il patto di sangue che lega i due giganti dell’industria (Ferrero e Cremonini) e il gigante dell’agricoltura  (Coldiretti)? Sembrerebbe essere la guerra intestina che da anni si consuma all’interno della Federalimentare tra chi produce carne e chi produce pasta.

La questione infatti si inserisce in una dinamica di annosi scontri tra il mondo della carne di cui il leader assoluto è Cremonini, (l’ad Luigi Scordamaglia è anche presidente di Federalimentare) e il mondo della pasta (il numero uno al mondo è Barilla che ha fondato anni fa la fondazione sulla sostenibilità ambientale le cui ricerche hanno messo spesso sulla gogna la produzione zootecnica).

Attriti tali da spaccare il ramo alimentare della Confindustria.

Lo scontro tra la carne e la pasta è noto da tempo agli addetti del settore.

L’entrata in squadra di Ferrero si inserisce in una lotta sistemica e sinergica per difendere il made in Italy tutto – compreso il Know how – contro gli attacchi francesi (appunto contro la Nutella) e inglesi (l’etichetta a semaforo su tutti ma anche i recenti articoli pubblicati da The Guardian).

Di mezzo sembra esserci però anche l’affaire olio di palma.

Da quanto apprende AGRICOLAE infatti, sia Barilla che Ferrero avevano aderito al Rspo, round table for sustenaible palm oil. In pratica un tavolo deputato a rendere ‘sostenibile’ l’olio di palma, senza rinnegarne l’uso. Ma mentre la Nutella ne ha difeso l’utilizzo fino alla fine contro gli attacchi mediatici della Francia, la Barilla ha fatto una fuga in avanti da assolo che potrebbe non essere piaciuta. Pubblicizzando d’un tratto le merendine olio di palma free. Andando a ‘corrompere’ quello stesso tavolo di cui faceva parte.

Senza contare la guerra portata avanti da anni da parte della Coldiretti sul grano importato per fare la pasta…

Ora, la figura di Peleggi tra i dirigenti – al di là delle scelte e delle cariche ‘politiche’ – potrebbe essere in linea con gli obiettivi della Filiera Italia. Tra cui anche l’export.

Dopo tanto tempo di chilometri zero, ora si guarda oltre confine insieme all’industria.

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NUTELLA BATTE FRANCIA, SÈGOLÈNE COSTRETTA ALLE SCUSE. COSÌ I CUGINI DI OLTRALPE USANO IL MADE IN ITALY PER FARE CAMPAGNA POLITICA. E AGNESE RENZI RISPONDE DA EXPO CON UNA CREPE

image“Mille excuses pour la polémique sur le Nutella. D’accord pour mettre en valeur les progrès”. Si è trasformata in un boomerang per Ségolène Royal l’intemerata contro la Nutella lanciata lunedì nel corso di una trasmissione televisiva. Sommersa da una valanga di proteste sul web, con tanto di insulti e parolacce di nutellari entusiasti, e dalla risposta di molti volti noti della politica – a partire dalla moglie del premier Matteo Renzi, Agnese, che si è recata con la figlia Ester al Concept Bar Nutella dell’Expo di Milano – l’ex moglie del presidente Francois Hollande ha dovuto fare marcia indietro.

Tutto era cominciato lunedì mattina, quando nel corso del Grand Journal di Canal+, l’ex candidata alle presidenziali aveva invitato i suoi connazionali a boicottare la più famosa crema alle nocciole al mondo, fiore all’occhiello del Gruppo Ferrero, perché contiene olio di palma. Uno sgarbo diplomatico che ha del clamoroso, trattandosi di un ministro in carica che chiede a tutta la Francia di non comprare un prodotto straniero (peraltro amatissimo anche al di là delle Alpi). L’appello è anche totalmente infondato, come rileva in una nota l’azienda piemontese, che non commenta le frasi della Royal ma puntualizza il proprio impegno per l’ambiente e rivendica la totale sostenibilità del proprio olio di palma. Già il primo punto del comunicato fa riflettere: le importazioni di olio di palma della Ferrero ammontano solo allo 0,3% della produzione mondiale. Inoltre, l’approvvigionamento dell’olio è certificato come sostenibile al 100% non solo dalla RSPO (Roundtable on Sustainable Palm Oil) ma anche da Greenpeace: nel novembre 2013, per esempio, Areeba Hamid, parlando a Medan a nome della nota organizzazione ambientalista, aveva tessuto le lodi della “campagna di non-deforestazione” intrapresa dall’azienda albese.

imageMa allora, per quale motivo la Royal se l’è presa con la Nutella? In realtà, sono alcuni anni che l’olio di palma è diventato uno dei bersagli preferiti delle campagne di diverse organizzazioni non governative, e la Francia è uno dei Paesi dove questa propaganda negativa ha fatto più proseliti. Non a caso, negli ambienti dell’industria alimentare circola il sospetto che dietro certi attacchi si nasconda la lobby dell’olio di colza, fortissima Oltralpe.

Anche in Italia sull’olio di palma si fanno campagne pseudo-salutiste, specialmente sui social network, dove la verifica delle informazioni è spesso trascurata. Tuttavia, come ha confermato meno di due settimane fa l’Unione Nazionale Consumatori sul suo sito web (http://www.consumatori.it/alimentazione/alimentazione-sicurezza/la-verita-sullolio-di-palma/), “la sfida mediatica sembra ispirata più da interessi di parte che dalla necessità di dare corrette informazioni ai cittadini”. Infatti, “solo il 20% dell’olio di palma che viene importato è destinato all’industria alimentare; il resto va ad altri settori industriali e alla produzione di energia. Sono molti i cosmetici, i farmaci, i prodotti per la casa, ecc. che contengono tra gli ingredienti l’olio di palma”. Non si capisce quindi perché andrebbe boicottata la Nutella e non altri prodotti. Qualcuno afferma che l’olio di palma è dannoso per la salute. In realtà, scrive l’UNC sulla base di studi scientifici, “si tratta di un ingrediente analogo ad altri grassi vegetali e persino migliore dei grassi animali in quanto non contiene colesterolo”.

Anche lo specialista in Scienza dell’Alimentazione Michele Pizzinini, dalle colonne dell’Adige, oggi definisce l’olio di palma “il male minore”, ricordando che è vero che “l’olio di palma, come il burro, è composto per circa la metà di grassi saturi (quelli dannosi), ma contiene un 38% di acido oleico (buono) mentre il burro ne contiene solo il 21%. L’olio di oliva è composto per il 78% di acido oleico mentre gli oli vegetali – mais, girasole, vinaccioli, arachidi ecc. – contengono alte concentrazioni di grassi polinsaturi (circa la metà) che sono meno stabili e più facilmente ossidabili. In sostanza, per le sue caratteristiche, l’olio di palma assomiglia più al burro che all’olio di oliva. Per inciso – conclude il prof. Pizzinini – ricordo che anche formaggi e salumi contengono per lo più grassi saturi”.

Ségolène Royal alle elezioni legislative del 2012 ha perso nel collegio della Charente Marittima contro un socialista dissidente, Olivier Falorni. L’anno precedente si era candidata alle presidenziali e aveva ottenuto un misero 7%. Nel 2008 aveva perso la leadership del partito contro Martine Aubry e nel 2007 era stata surclassata da Nicolas Sarkozy nella sfida per l’Eliseo. Dal 2014, malgrado questo palmares non proprio farcito di vittorie, è diventata ministro dell’Ambiente e dell’Energia. In fondo, è pur sempre la madre dei figli del presidente.

CAPORALATO, ECCO L’ATTACCO DI THE GUARDIAN AL MADE IN ITALY. MA TACCIONO SU APPROVVIGIONAMENTI AZIENDE INGLESI IN ITALIA

GUARDIAN

Come annunciato da AGRICOLAE nei giorni scorsi, The Guardian affonda un altro importante colpo al Made in Italy. Dopo il Prosecco che faceva male ai denti e il Pesto genovese che aveva troppo sale

Come annunciato da AGRICOLAE nei giorni scorsi, The Guardian affonda un altro importante colpo al Made in Italy. Dopo il Prosecco che faceva male ai denti e il Pesto genovese che aveva troppo sale. Proprio gli inglesi, che hanno rischiato – prima della Brexit – di andare in procedura di infrazione europea per non mollare la presa sull’etichettatura a semaforo, che bollava di ‘rosso’ la maggior parte dei prodotti della Dieta Mediterranea e il latte. Ma che salvava le bibite gassate. L’Inghilterra sembra voler screditare ancora una volta l’agroalimentare del BelPaese proprio pochi giorni dopo la lettera che Teresa May ha scritto ai propri concittadini: “Siamo vicinissimi a un accordo. So che entrambe le parti prenderanno in considerazione le reciproche proposte per concludere l’accordo con mente aperta. E con la giusta flessibilità e creatività da una parte e dall’altra”.Gli inglesi di The Guardian però, parlando dei grandi marchi tricolore – che non hanno esitato ad interrompere il contratto con il fornitore che non aveva rispettato le regole relative alle condizioni di lavoro e alla sostenibilità della produzione – si dimentica di scrivere che quel fornitore continuerebbe a distribuire importanti quantità di pomodoro a un‘azienda che ha la sede legale proprio a Londra.

https://www.theguardian.com/global-development/2017/oct/24/the-terrible-truth-about-your-tin-of-italian-tomatoes