Rai, Report “difende” Nutriscore e fa melina su finanziatori. Ma la scienza dice altro

Nutriscore vs Nutrinform. Ennesimo attacco al Made in Italy, ma questa volta giunge dalla Rai attraverso la trasmissione Report andata in onda lunedì 15 maggio in prima serata. Il tutto finanziato con soldi pubblici.

Di seguito AGRICOLAE pubblica il link la puntata andata in onda:

https://www.rai.it/programmi/report/inchieste/La-battaglia-delle-etichette-e20891d9-b34c-418b-a0ca-c3e8660f19ba.html

E la Rai si trincera, dopo la nota di Palazzo Chigi dietro un no comment. Sigfrido Ranucci, raggiunto da AGRICOLAE spiega di non poter parlare senza autorizzazione di Fabrizio Casinelli (ufficio stampa Rai) il quale a sua volta spiega che è lo stesso Ranucci a dover chiedere l’autorizzazione a Antonio Luca Di Bella (Direttore Approfondimento). 

Nel frattempo la Rai tace in merito ai finanziatori della trasmissione Report. Infatti da quanto si apprende alcuni servizi vengono finanziati direttamente dalla Rai, mentre altri vengono venduti a pacchetto chiuso a seguito di quanto concordato preventivamente col servizio pubblico. Nel caso della puntata andata in onda sul Nutriscore si tratta di un giornalista interno, quindi un servizio finanziato con soldi pubblici. Resta il fatto che la Rai non fornisce alcuna trasparenza in merito ad eventuali finanziatori dei servizi che vengono confezionati non direttamente dal servizio pubblico.

AGRICOLAE ha difatti inviato una mail all’Ufficio Stampa Rai per sapere “chi finanzia i servizi e le trasferte, anche estere, dei giornalisti di Report. E nel caso in cui venisse venduto il prodotto finito se il servizio pubblico abbia contezza dei finanziatori delle inchieste.”

 

Nutriscore, Palazzo Chigi: Report ha fornito una visione dei sistemi di etichettatura dei prodotti alimentari parziale e non condivisibile

 

Il servizio andato in onda di Report sembra prendere le difese del Nutriscore senza chiamare in causa i molti soggetti che finora si sono espressi sfavorevolmente sull’etichettatura francese. Nel corso del servizio ritroviamo invece interviste finanche al suo ideatore ed organi di stampa che da sempre -pare- si esprimano a favore del Nutriscore, senza alcun accenno invece ai tanti dubbi sollevati dalla stessa comunità scientifica sulla reale efficacia del Nutriscore. Tra i molti a bocciare il Nutriscore anche l’Accademia dei Georgofili. 

“Quanto è giusto sacrificare sull’altare della semplicità la correttezza scientifica? si domanda Paolo Fantozzi, coordinatore del Comitato Consultivo dei Georgofili sulle Tecnologie Alimentari.

Nutriscore, anche i Georgofili bocciano (di nuovo) l’etichetta a semaforo

“Un sistema obsoleto, parziale e anni 80 con cui produttori manipolano composizione dei loro prodotti per ottenere un punteggio più favorevole” dichiara invece Jean-Michel Lecerf, autore di oltre 600 articoli e 400 papers e fondatore all’Istituto Pasteur di un dipartimento di nutrizione.

Nutriscore, il più grande esperto di nutrizione francese: “sistema obsoleto, parziale e anni 80 con cui produttori manipolano composizione dei loro prodotti per ottenere un punteggio più favorevole”

Il CNBBSV (Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita), un organismo di supporto del Governo e, in particolar modo, del Presidente del Consiglio dei Ministri, per l’elaborazione di linee di indirizzo scientifico, produttivo, di sicurezza sociale e di consulenza in ambito nazionale e comunitario, dichiara invece:

“Non ci sono prove che l’adozione del Nutriscore possa migliorare le conoscenze/competenze in ambito nutrizionale del consumatore o le sue scelte di acquisto in un contesto di vita reale, che possa migliorare la qualità della sua dieta e che le variazioni della sua dieta possano modificare favorevolmente lo stato di salute del consumatore.”

Nutriscore, la scienza lo boccia (di nuovo): algoritmi mutevoli e arbitrari che mettono a rischio donne incinte, vecchi e bambini. Le ricerche

Stessi risultati a cui è giunta anche una recente ricerca condotta da scienziati internazionali, tra cui italiani, spagnoli e olandesi, che ha messo in luce tutte le contraddizioni del Nutriscore che in numerose occasioni promuove cibi ultra elaborati e che, anziché promuovere modelli alimentari sani, rischia di fuorviare i consumatori portando a scelte dietetiche squilibrate. Dunque il Nutriscore – si legge nel rapporto – contraddice le intenzioni originali della Commissione Ue e soprattutto mancano reali conferme di causalità tra l’adozione di una etichettatura fronte pacco e il miglioramento della salute dei consumatori.

Di seguito AGRICOLAE pubblica i risultati della ricerca: 

https://doi.org/10.1016/j.nut.2022.111861

Nutriscore, cresce dissenso in Ue. Dopo Georgofili e comunità scientifica, si schiera anche Safe: Incongruenze e difetti, promuove cibi ultra lavorati. Meglio Nova e Siga

Era stato scritto: 

RAI SU ZOOTECNIA, RANUCCI: REPORT RISPONDERA EVENTUALMENTE NELLE SEDI ISTITUZIONALI

REPORT, CHIANCA: PER ORA NESSUNA RETTIFICA DA COLDIRETTI. PRANDINI: IO ANCORA IN ATTESA DI ESSERE CONTATTATO PER FORNIRE DATI RICHIESTI COME CONCORDATO

RAI ATTACCA ZOOTECNIA. PRANDINI: DISINFORMAZIONE PUBBLICA E SERVIZIO TAGLIATO. AGRINSIEME: INACCETTABILE. VIDEO

ZOOTECNIA, FILIERA SCRIVE A FOA: BASTA DA RAI TV DI STATO TEOREMI PRECOSTITUITI PER FARE SENSAZIONALISMO. CI SI BASI SU SCIENZA. LE LETTERE

RAI, interrogazione Lega: azienda chiarisca chi finanzia inchieste contro Made in Italy

Zootecnia, Rai non risponde su sponsor/finanziatori di “Indovina chi viene a cena”. No trasparenza servizio pubblico su programma conduttrice vegetariana che attacca allevatori su uso improprio ormoni

 

Per saperne di più: 

Nutriscore, Hercberg: sistema rigoroso e scientifico. Ma studio Ue in bilico: nessun legame tra etichetta fronte pacco e benefici sulla salute

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Studio Oxford promuove Nutriscore e carne finta. Ma ricercatori sono finanziati da Gates e sono gli stessi della Dittatura alimentare Eat e Piattaforma multinazionali, di cui fa parte anche Eni. Lo studio

Nutriscore sconfitto in casa. Ok in Francia a legge vs condizionamento influencer. Bocciato divieto pubblicità prodotti classificati D e E per non ‘influenzare’ i consumatori

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Nutriscore accantonato, Ue punta a ibrido modello Usa-Australia. Ma produttori lo utilizzano solo se punteggio è positivo (come in Francia). Nonostante non ci siano prove che migliori scelte consumatori, Nestlè lo adotterà per il suo report annuale

Nutriscore, i grandi marchi lo utilizzano ma solo se punteggio è buono. La ‘E’ presente solo sull’1% dei prodotti etichettati

Nutriscore e Nutrinform superati: alimento semplice è quello salutare. I sistemi NOVA e SIGA che restituiscono dignità a carne, latte e uova

Efsa, a guidare scelte consumatori al primo posto il costo, poi il gusto e l’origine. Agli ultimi posti Clima e Ambiente. Ecco la ricerca

Nutriscore, Ue promuove sistema superato da Nova e Siga e boccia Nutrinform. Lo studio e le prime reazioni

Nutriscore, Claire Bury (Dg Sante): Commissione Ue non lo proporrà, stiamo valutando altri schemi etichetta. Non possiamo polarizzare il dibattito. VIDEO

Nutriscore a fine corsa, associazione consumatori francesi e Hercberg accusano l’Italia, Draghi, la Destra, Confagricoltura e Copa-Cogeca, ‘lobby degli agricoltori Ue’

Nutriscore, Hercberg attacca Salvini e Meloni: Partiti di estrema destra, un cocktail di demagogia e volgarità. Nel mirino anche Coldiretti, Confagricoltura, Federalimentare e Ferrero. Mentre McDonald ottiene il massimo dei voti

 

 

 




Comagri Eu Report, Cenni:fondamentale stringere un patto tra imprese e decisori politici per la crescita dell’agroalimentare italiano

“Un lavoro grandissimo è stato svolto da Paolo De Castro per l’agricoltura in un anno drammatico e difficilissimo, non solo per le misure messe in campo ma per rilanciare l’agricoltura tutta. Si apre adesso un nuovo anno che ha grandi possibilità, grazie anche al grande lavoro svolto in Europa, perché non era scontato che avessimo queste ulteriore risorse in dotazione all’agricoltura” dichiara Susanna Cenni nel suo intervento durante il Comagri report.

“Il lockdown ha posto in evidenza le criticità e le debolezze del nostro sistema ma ha messo in luce anche le sue potenzialità. Abbiamo quindi la situazione critica dell’horeca completamente fermo e lo stop agli eventi fieristici ma segnali buoni vengono dalle vendite online, con piccole piattaforme strutturate dalle stesse aziende agricole. Positiva è anche la grande attenzione mostrata dai consumatori per un cibo di qualità e una sempre maggiore consapevolezza” prosegue.

“Adesso dobbiamo lavorare per utilizzare bene tutte le risorse a disposizione, consapevoli che l’Italia ha un vantaggio competitivo su molti temi importanti, una posizione da sfruttare per poter dire la nostra anche in Europa su temi come l’etichettatura.

Fondamentale sarà investire in innovazione e ricerca e poi in tema di organizzazione occorre una grande piattaforma nazionale del cibo italiano. Sarà infine fondamentale stringere un patto tra imprese e decisori politici per la crescita dell’agroalimentare italiano” conclude la Cenni.




Zootecnia sotto attacco. Mentre in Ue si discute, esce studio Greenpeace e La Tuscia sul ‘peso della carne’: allevamenti italiani insostenibili, tagliare le risorse

E’ come una bomba ad orologeria. Mentre gli europarlamentari discutono se accettare la definizione di carne vegetale o meno, Greenpeace esce, con l’Università La Tuscia, con un rapporto che dimostra un deficit fra domanda e offerta di risorse naturali.

Secondo il rapporto, uscito come una bomba ad orologeria proprio nei giorni clou per la zootecnia, in Italia gli allevamenti intensivi e l’agricoltura sarebbero insostenibili: stanno consumando una volta e mezza le risorse naturali dei terreni. La zona più critica? la pianura Padana che viene compensata dalle regioni virtuose della Valle d’Aosta e del Trentino grazie alle aree boschive.

E Greenpeace lancia un appello al Parlamento europeo: bisogna dare meno fondi al sistema degli allevamenti intensivi e più risorse per le aziende sostenibili.

Secondo l’autore dello studio Silvio Franco, docente di Economia, ingegneria, società e impresa dell’Università della Tuscia, gli allevamenti assorbirebbero il 39 per cento delle risorse agricole nazionali.

L’idea è quella dell’impronta ecologica, ovvero la stima dell’impatto di un segmento produttivo in rapporto alla capacità del territorio. In sostanza una sorta di stima conservativa.

La Lombardia con la maglia nera: contribuirebbe secondo lo studio Greenpeace-La Tuscia da sola per oltre un quarto all’impatto nazionale divorando il 140 per cento della biocapacità regionale. La Lombardia dovrebbe avere una superficie agricola di quasi una volta e mezzo quella attuale per compensare le sole emissioni degli animali allevati sul suo territorio.

Seguita poi dal Veneto (64%), Piemonte (56%), Campania (52%), ed Emilia-Romagna (44%).

“Il Parlamento europeo è chiamato nei prossimi giorni a esprimersi sulla PAC (Politica Agricola Comune), e desta forte preoccupazione l’accordo trasversale firmato da Popolari (PPE), Socialisti (S& D) e Renew, che rischia di cancellare gli obiettivi “green” della strategia”, si legge sul sito dell’Ong ambientalista.

“Il voto sulla futura PAC è un momento decisivo per tagliare i fondi agli allevamenti intensivi e destinare risorse per una vera riconversione ecologica del settore. I nostri europarlamentari devono dare ascolto alla scienza” dichiara Federica Ferrario responsabile Campagna Agricoltura di Greenpeace Italia. “Sul fronte Italiano è la stessa ministra Bellanova ad affermare che serve una visione della politica agricola che ponga al centro il contrasto all’emergenza climatica”  – continua Ferrario, riferendosi all’intervista rilasciata a Greenpeace dalla ministra – “I numeri mostrano che gli attuali livelli di produzione sono insostenibili per l’ambiente e poco remunerativi per tanti allevatori italiani, mentre gli esperti confermano che le soluzioni tecnologiche non bastano a ridurne gli impatti. È ora di considerare seriamente una riduzione della produzione e del consumo di prodotti di origine animale, a vantaggio della qualità, della salute e dell’ambiente”.

Invertire la rotta si può. “Una maggiore attenzione a salute e alimentazione può comportare un vero e proprio cambiamento di sistema, che porti a produrre, ma anche, a consumare meno” spiega Riccardo De Lauretis, responsabile dell’area emissioni e prevenzione dell’inquinamento atmosferico dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), in accordo con Adrian Leip, dell’Unità Food Security del Centro comune di ricerca della Commissione europea (JRC)

Studi fatti finora mostrano come le tecnologie che abbiamo a disposizione nel settore allevamenti non saranno sufficienti per rispondere alle ambizioni di riduzione dell’effetto serra”.

Leggi il rapporto di Greenpeace “Il peso della carne”.

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RAI ATTACCA ZOOTECNIA. PRANDINI: DISINFORMAZIONE PUBBLICA E SERVIZIO TAGLIATO. AGRINSIEME: INACCETTABILE. VIDEO

REPORT, CHIANCA: PER ORA NESSUNA RETTIFICA DA COLDIRETTI. PRANDINI: IO ANCORA IN ATTESA DI ESSERE CONTATTATO PER FORNIRE DATI RICHIESTI COME CONCORDATO

ROLFI:STOP ‘FAKENEWS’ SU TV DI STATO, ‘REPORT'(RAI 3) HA MESSO IN CORRELAZIONE ALLEVAMENTI E DIFFUSIONE COVID-19. A CONSORZI TUTELA CHIEDO STOP PUBBLICITÀ RAI

ZOOTECNIA, FILIERA SCRIVE A FOA: BASTA DA RAI TV DI STATO TEOREMI PRECOSTITUITI PER FARE SENSAZIONALISMO. CI SI BASI SU SCIENZA. LE LETTERE

RAI SU ZOOTECNIA, RANUCCI: REPORT RISPONDERA EVENTUALMENTE NELLE SEDI ISTITUZIONALI

RAI, ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE E ANIMALISTE: SOSTEGNO A REPORT

RAI, SALVINI: ORA CI ASPETTIAMO INCHIESTA REPORT SECONDO CUI COVID NATO IN UNA STALLA LOMBARDIA. CENTINAIO: FAKE NEWS, ZOOTECNIA ITALIANA LA PIU CONTROLLATA AL MONDO

ZOOTECNIA, SERPILLO, UCI: RAI TV DI STATO SEGUA VERITA, NON OPINIONI E FALSI SCOOP MEDIATICI. SULLA PELLE DI CHI E’ IN PRIMA LINEA

 




RAI, SALVINI: ORA CI ASPETTIAMO INCHIESTA REPORT SECONDO CUI COVID NATO IN UNA STALLA LOMBARDIA. CENTINAIO: FAKE NEWS, ZOOTECNIA ITALIANA LA PIU CONTROLLATA AL MONDO

Matteo Salvini, il leader della Lega, risponde duramente alla puntata che Report, lunedì 13 aprile, ha dedicato agli sversamenti del comparto della Zootecnica nella zona del bresciano e dell’ipotetica correlazione tra l’allevamento di bovini, l’inquinamento e la maggiore diffusione in Lombardia del Coronavirus. “Ora mi aspetto un’inchiesta giornalistica che dimostri che il Coronavirus non è nata in Cina ma in una stalla bresciana. Siamo al surreale. La Regione Lombardia sta rispondendo con un consiglio che sta pensando alla ripartenza e non alla caccia alle streghe e all’inseguimento alle vacche”, ha dichiarato Salvini ad una domanda posta da AGRICOLAE durante la conferenza stampa online.
Sull’argomento è intervenuto anche Gian Marco Centinaio, ex ministro delle politiche agricole alimentari e forestali nel precedente governo Conte, accusando la Rai di non rispettare il suo ruolo di emittente pubblica: “Mi dispiace che la tv di stato trasmetta fake news di questo tipo. Sappiamo che gli allevamenti lombardi e italiani sono controllatissimi, sono tra i più controllati al mondo. La carne che esce è di altissima qualità e non viene solo riconosciuto da noi ma dai più importanti organismi mondiali di controlli”. Per il senatore la tesi di fondo del servizio presentato di Report è inaccettabile: “Dire che i nostri allevatori stanno inquinando o dire che il Coronavirus parta dalla nostre stalle è una fake news. Che poi sarebbe la stessa accusa partita anni fa in cui si diceva che una stalla inquina molto di più della tangenziale ovest di Milano nell’ora di punta. Se vogliamo uccidere l’agricoltura italiana divulghiamo cose del genere e faremo male al nostro paese”.




RAI SU ZOOTECNIA, RANUCCI: REPORT RISPONDERA EVENTUALMENTE NELLE SEDI ISTITUZIONALI

“Risponderemo eventualmente nelle sedi istituzionali”. Sigfrido Ranucci, conduttore e giornalista di Report, risponde così con AGRICOLAE alle accuse del presidente della Coldiretti Ettore Prandini (intervistato nella puntata d lunedì 13 marzo) che ha contestato a Luca Chianca, l’autore del servizio andato in onda lunedì sulla zootecnia in Lombardia, di non aver mandato in onda i dati prodotti e le risposte registrate in maniera integrale così da non stravolgerne il senso. Già la scorsa settimana erano partite due lettere al presidente della Rai Marcello Foa da parte di tutta la filiera zootecnica per lamentare un’informazione da parte della tv pubblica alterata, inadeguata, pretestuosa e scorretta. “I dati che abbiamo presentato ci sono stati forniti da Arpa Lombardia. Se Prandini afferma che non abbiamo trasmesso le sue risposte può chiederci la rettifica, se lo ritiene opportuno può chiamarci e noi la trasmetteremo, come abbiamo sempre fatto”, precisa Ranucci.




RAI, GASPARRI: ATTACCO INGIUSTIFICATO AD AGROALIMENTARE ITALIANO E A ZOOTECNIA. DA TV PUBBLICA FINORA RISPOSTE INSODDISFACENTI

“È un attacco ingiustificato, la Rai ha dato già alcune risposte in merito ma non sono soddisfacenti. È un momento molto delicato per tutti i settori produttivi ed alimentare una informazione di questo genere non è utile. Occorre invece tutelare gli allevatori, gli agricoltori e i produttori. C’è stato un atteggiamento poco responsabile da parte della Rai, che è asservita a Conte e fa interviste anonime per alimentare campagne giudiziarie sulla sanità, oltre ad assumere atteggiamenti poco utili nei confronti dell’agroalimentare e della zootecnia”.

Così il senatore Maurizio Gasparri membro della commissione Vigilanza Rai e già ministro delle Comunicazioni ad AGRICOLAE in merito al servizio di “Report” andato in onda sulla Rai.




RAI ATTACCA ZOOTECNIA. PRANDINI: DISINFORMAZIONE PUBBLICA E SERVIZIO TAGLIATO. AGRINSIEME: INACCETTABILE. VIDEO

Report ancora una volta torna sul tema della Zootecnia. Stavolta – oltre ad addebitarle la ‘colpa’ dell’inquinamento, anche mettendola in correlazione con il diffondersi del Coronavirus nelle zone più colpite.

A rispondere duramente il presidente della Coldiretti Ettore Prandini che in un video indirizzato al giornalista Luca Chianca, chiede come mai abbiano confezionato il servizio senza mandare in onda i dati prodotti e le risposte registrate. “Un informazione falsa e faziosa” grave soprattutto perché viene da una televizione pubblica, la RAI.

“Ma perché non trasmettere quello che hai registrato? perché quando hai parlato di zootecnia non hai fatto vedere tutti i dati che ti abbiamo prodotto? Perché non hai portato il modello legato all’inquinamento anche di Co2 della regione Lombardia da quando è cessato il traffico pesante e sono diminuite le attività industriale e quello che emerge da tutti i dati tecnici. Cioè che abbiamo avuto una precipitazione in termini postivi di inquimaneto a domsotrazione che gli allevamenti zootecnici con l’inquimaneto nulla c’entrano. Avevamo anche presentato tutta una serie di dati a livello europeo, non della Coldiretti, che rilevano che la zootecnia italiana è la più sostenibile a livello mondiale. Abbiamo un dato rispetto all’emissioni che è il 50 per cento più basso rispetto a Francia, Germania e molto più basso al Regno Unito e alla Spagna. Di tutto questo non hai fatto minima menzione”, spiega nel video Prandini.

https://m.facebook.com/ettoreprandiniofficial/videos/2514325815499319/?refsrc=https%3A%2F%2Fm.facebook.com%2F1152243054949233%2Fposts%2F1505812396258962&_rdr

“E ti sei anche scordato di riportare che quando parlavi dello studio presentato da qualche ricercatore dello studio dell’università di Parma di portare anche lo studio dell’Università di Milano che andava a dimostrare quanto la zootecnia in pianura Padana con l’inquimaneto nulla ha a che fare”, prosegue.

“Ma fa molto comodo far credere quello che non è, per ingannare i cittadini, ingannare i consumatori, per fare un’informazione che assolutamente non è veritiera. Quello che più dispiace è che questo tipo di informazione è fatta da un emittente pubblico e da un programma pagato dai soldi dei contribuenti. E in tutta onestà e trasparenza pretendiamo che l’informazione venga data in modo corretto. Anche per quanto riguarda il dato sulle importazioni”.

“Pretendiamo che ci sia trasparenza. La demonizzazione della zootecnia fatta sistematicamente da alcune trasmissioni che finalità ha? Il Coronavirus, che nulla c’entra con la zootecnia – ma la demagogia fa sempre comodo – come mai ha colpito New York che non ha neppure una stalla. Non sei stato onesto nel pubblicare quello che ti abbiamo raccontato”, conclude.

Tempo fa – a seguito di una puntata di Indovina chi viene a cena, sempre sulla Rai, sul glifosate – la conduttrice Sabrina Gianni scriveva al noto agricoltori del Veneto già presidene dell’associazione Maiscoltori italiani Marco Pasti nel corso di una feroce disussione: “E se ti venisse a te [il cancro ndr]..o a tua madre? o a tua sorella? O a tuo figlio? Se tu fossi un’agricoltore…”

Poi il glifosate è stato invece ritenuto innocuo e non cancerogeno dall’Efsa e assolto dalla sentenza della Corte di giustizia europea secondo la quale “non sussistono elementi per inficiare la legittimità sull’uso del glifosato”.

Per saperne di più:

AGRINSIEME: CORONAVIRUS, INACCETTABILE COLLEGARE RUOLO ALLEVAMENTI A EVOLUZIONE PANDEMIA; AGRICOLTURA E ALLEVAMENTO SONO ATTIVITÀ MILLENARIE E CARATTERIZZATE DALLA CIRCOLARITÀ

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“L’agricoltura e l’allevamento sono attività essenziali di fondamentale importanza per l’alimentazione umana oltre che di tradizione millenaria; la portata di tali attività, che per la loro natura intrinseca sono caratterizzate dalla circolarità poiché rimettono nell’ambiente le materie prime che utilizzano, si è inoltre andata via via riducendo nel corso dei secoli, durante i quali al contempo l’innovazione e lo sviluppo tecnologico ne hanno sensibilmente aumentato la sostenibilità ambientale. In ragione di ciò, stigmatizziamo con forza tutte quei messaggi che lasciano intendere che l’agricoltura e l’allevamento siano fonti primarie di inquinamento, che riteniamo ancora più irricevibili se non rapportati all’impatto causato da altri comparti dell’economia, caratterizzati senza ombra di dubbio da una minore circolarità”. Lo sottolinea il coordinamento di Agrinsieme, che riunisce Cia-Agricoltori italiani, Confagricoltura, Copagri e Alleanza delle Cooperative Agroalimentari, a proposito dei contenuti emersi nel corso di una puntata di una trasmissione in onda sul servizio pubblico.

 

“Riteniamo ancora più grave, poi, soprattutto in un momento triste e delicato quale quello che sta attraversando il Paese, collegare il ruolo degli allevamenti alla grave pandemia del COVID-19, o Coronavirus, senza evidenza scientifica. In un periodo in cui il Paese è messo a dura prova, sotto tutti i punti di vista, è poi inaccettabile che qualcuno metta in discussione un settore che ha garantito produttività, nonostante le difficoltà evidenti, garantendo cibo e rifornimenti a tutti, nel pieno rispetto delle prescrizioni sanitarie. Ricordiamo a tal proposito che esistono diversi studi scientifici i quali dimostrano come il COVID-19 non si trasmetta agli animali zootecnici, soprattutto se vi è un confinamento che ne garantisce la biosicurezza; gli allevamenti confinati e ad elevata efficienza, al contrario, contribuiscono alla riduzione dell’inquinamento, alla biosicurezza, alla salute e al benessere degli animali allevati, contribuendo alla produzione di cibo sostenibile, di qualità e di alto valore nutrizionale”, fa notare Agrinsieme.

 

“La gravità della situazione del Paese, inoltre, e le conseguenti misure adottate per il contenimento della pandemia con il blocco pressoché totale di numerose attività, ha portato a una riduzione dell’inquinamento dell’aria nell’ordine del 30%; sempre in riferimento all’inquinamento dell’aria, è l’ISPRA, fra gli altri, a certificare che l’agricoltura è responsabile di emissioni di PM10 e PM2.5 in percentuali nettamente inferiori e meno significative a quelle di altri comparti produttivi”, continua il Coordinamento.

 

“Quanto, infine, all’aumento di polveri sottili rilevato in Italia alla fine di marzo, si segnale come sia proprio il Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente a certificare come la provenienza di tale preoccupante crescita derivi dalle correnti atmosferiche e dalle polveri provenienti dalla zona del Mar Caspio, e non dallo spandimento dei liquami zootecnici nei campi”, conclude Agrinsieme.

Era già stato scritto:

ZOOTECNIA, FILIERA SCRIVE A FOA: BASTA DA RAI TV DI STATO TEOREMI PRECOSTITUITI PER FARE SENSAZIONALISMO. CI SI BASI SU SCIENZA. LE LETTERE. GIA IN PASSATO IL MONDO SCIENTIFICO AVEVA LANCIATO UN MONITO: BASTA PEZZI ‘SHOCK’, STUDIARE PRIMA DI SCRIVERE

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C’è chi insiste sul Coronavirus creato in laboratorio come arma chimica per mettere in ginocchio l’economia cinese e poi sfuggito di mano e c’è chi persevera sul fatto che sia collegato alla zootecnia e che l’inquinamento globale dipenda dalla ruminazione e dai peti delle vacche. Tra questi figura anche la televisione di Stato.

La filiera agricola ed agroalimentare rappresentata dalla filiera produttiva, (Agrinsieme), e dagli industriali, (Assolatte, UnaItalia, Assocarni, Assalzoo, Assica e Carni Sostenibili), ha finito la pazienza e scrive al ministro delle Politiche agricole Teresa Bellanova e al presidente Rai Marcello Foa: “messaggi dalla televisione di Stato fuorvianti e pericolosi basati su teoremi precostituiti senza fondamento scientifico”. E invitano a “una riflessione” e a un lavoro giornalisticomeno incline al sensazionalismo ed al pregiudizio, più scientifico e più equilibrato”. Chiedendo una comunicazione a viso aperto. E poi parlano di “inaccettabile atteggiamento che sta prendendo piede in numerose trasmissioni della televisione pubblica” e di “correlazione falsa, grave e fuorviante”. Infine: “trasmissioni, spesso animate dalla personalistica volontà di propagandare un modello di vita alternativo a quello comunemente diffuso” e di “informazioni imprecise, frammentate e non contestualizzate”.

Qui di seguito AGRICOLAE riporta il testo della lettera e a pie di pagina il documento in PDF:

“Egregio Presidente, Gentile Ministra,

come rappresentanti della produzione agricola ed agroalimentare, anche in forma associata, desideriamo intervenire – in un momento certo non facile, ma che forse ancora di più, proprio in quanto emergenziale, necessita della massima attenzione – su alcuni approcci che la televisione di stato sta promuovendo riguardo la comunicazione concernente il cibo e l’alimentazione.

Ci riferiamo in particolare a due recenti trasmissioni (Sapiens, la puntata del 28 marzo 2020 e “Indovina chi viene a cena” del giorno successivo) che hanno puntato la loro attenzione sulla zootecnia e sui sistemi allevatoriali moderni e razionali.

Il messaggio diffuso durante queste trasmissioni è stato a nostro avviso tanto pericoloso quanto fuorviante. Spinge il telespettatore a sviluppare immotivate paure nonché ragionamenti che si basano più su teoremi precostituiti, avulsi da una completa analisi dei dati e delle situazioni ed inducendo anche a delle scelte di consumo del tutto ingiustificate.

E’questo ad esempio il messaggio che lega l’allevamento intensivo all’inquinamento del pianeta o addirittura di quello che accosta in maniera azzardata e davvero improvvida, specie nell’attuale delicato contesto, lo sviluppo della pandemia di COVID-19 ai modelli moderni e razionali di allevamento.

Il tutto ingenerando confusione tra i nostri allevamenti e quelli di Paesi lontani che non soddisfano certo tutti gli elevatissimi standard in materia sanitaria, veterinaria e di benessere animale che sono da anni imposti in Unione europea.

Tutto ciò è a dir poco ingiustificabile ed inaccettabile.

Tanto più che gli stessi autori prevedono di replicare in futuro questo messaggio come un vero e proprio mantra a danno di operatori seri e responsabili che, come sempre fanno, anche soprattutto in questo periodo, stanno garantendo responsabilmente gli approvvigionamenti alimentari a beneficio di tutta la collettività che deve far fronte alla inedita esperienza della limitazione delle movimentazioni.

C’è chi ha paragonato questa terribile situazione ai passati conflitti bellici. Sicuramente in quelle tristi ed atroci situazioni c’era una aggravante non da poco che in questa emergenza, fortunatamente, manca: la indisponibilità di cibo sufficiente ed a prezzi contenuti che invece in questo frangente tutta la filiera “dal campo alla tavola” sta assicurando con tutto il suo impegno e sempre in linea con gli alti requisiti qualitativi che i nostri produttori sanno garantire.

Non possiamo con messaggi negativi e tendenziosi mettere a repentaglio questa ricchezza, approfittando peraltro di un momento davvero delicato che dovrebbe richiamare tutti ad un più elevato senso di responsabilità e di senso comune.

La filiera agroalimentare, dalla fornitura dei mezzi tecnici sino alla distribuzione ed alla ristorazione, rappresenta quasi il 20 per cento del PIL del Paese e quasi il 10 per cento dell’export agroalimentare.

E’ il prerequisito allo sviluppo ed alla sostenibilità del nostro Paese.

Invitiamo quindi ad una riflessione attenta su questi messaggi ed anche alla impostazione delle prossime puntate di queste trasmissioni che va a nostro avviso sicuramente corretta verso un approccio meno incline al sensazionalismo ed al pregiudizio, più scientifico e più equilibrato.

Il tutto anche con il nostro apporto.

Siamo pronti – piuttosto che a subire le incursioni notturne dei giornalisti – a confrontarci con la comunicazione a viso aperto, invitando chi ha in carico questa importante funzione di informazione dei cittadini a visitare le nostre aziende e i nostri impianti. Di giorno, alla nostra presenza; perché non abbiamo nulla da nascondere se non la fierezza e la piena responsabilità di chi è convinto di svolgere un compito essenziale e di farlo in maniera corretta e in linea con gli standard che ci teniamo a rispettare con il nostro quotidiano impegno.

Grazie per l’attenzione e in attesa di eventuali vostri riscontri, inviamo i più cordiali saluti”.

Di seguito il testo della lettera dell’industria:

“scriviamo in rappresentanza delle associazioni della filiera agroalimentare italiana dei prodotti di origine animale, per segnalare l’inaccettabile atteggiamento che sta prendendo piede in numerose trasmissioni della televisione pubblica, volto a creare un pericoloso quanto insussistente collegamento fra la zootecnia come causa all’origine dell’epidemia di coronavirus, oltre che a screditare i produttori italiani di alimenti di origine animale.

Il settore agro-alimentare italiano – in particolare quello legato alla zootecnia – sta facendo un enorme sforzo per far sì che, nonostante le difficoltà oggettive e le limitazioni, sugli scaffali e nei frigoriferi di negozi e supermercati si possano continuare a trovare alimenti e prodotti sicuri e di qualità. L’urgenza con cui ci appelliamo a Voi, sottolineando l’inaudita gravità di quanto denunciamo, è legata al fatto che puntare il dito contro allevatori, lavoratori e imprese di trasformazione che nel mezzo della più terribile pandemia dell’epoca contemporanea continuano a lavorare per garantire a tutti alimenti nobili, è scorretto ed intollerabile.

Parliamo di oltre 250.000 lavoratori addetti al mondo delle produzioni zootecniche, 270.000 aziende agricole e di trasformazione, che generano un fatturato per il nostro Paese di oltre 40 Miliardi di Euro, che con profonda assunzione di responsabilità sono al servizio del Paese e dei consumatori, per garantire sicurezza e, almeno a tavola, un po’ di serenità.

Se guardiamo solo alla programmazione della scorsa settimana, rinveniamo almeno due trasmissioni che additano il sistema zootecnico come maggiore responsabile dell’inquinamento terrestre, che stigmatizzano l’allevamento facendo intendere che il cattivo allevatore non sia l’eccezione, ma la regola, fino ad arrivare a suggerire pericolose ed insensate associazioni fra coronavirus e produzione e consumo di carne, mai dimostrate. E non stiamo parlando solo di talk show, dove le opinioni volano sull’onda emotiva e dove queste cose accadono e non sono certo meno gravi, ma di programmi che si dicono di inchiesta o di approfondimento: nello specifico ci riferiamo alla puntata di “Sapiens” di Mario Tozzi andata in onda il 28/03/2020 e alla puntata di “Indovina chi viene a cena”, condotta da Sabrina Giannini del 29/03/2020.

Il collegamento tra la pandemia in corso e gli allevamenti occidentali è stato al centro dell’ultima puntata di “Indovina chi viene a cena”. Una correlazione falsa, grave e fuorviante, che Sabrina Giannini ha annunciato di voler proseguire nelle prossime puntate – e che associa l’epidemia da Coronavirus con il sistema produttivo agroalimentare occidentale e porta i telespettatori – già spaventati dall’attuale situazione – a un atteggiamento di sospetto e paura verso il proprio modello alimentare.

Alla luce delle anticipazioni della prossima puntata di “Indovina chi viene a cena”, abbiamo il fondato timore che l’autrice, proseguendo nel suo errato sillogismo iniziale, continuerà a indurre i telespettatori nel convincimento scientificamente scorretto che pandemia da Coronavirus e allevamenti convenzionali siano in qualche modo collegati.

Il danno, amplificato dall’attuale situazione emergenziale, potrebbe essere irreparabile per i settori che, in questo momento, tengono in piedi l’economia italiana e consentono agli italiani di continuare ad approvvigionarsi di beni alimentari primari.

Tali trasmissioni, spesso animate dalla personalistica volontà di propagandare un modello di vita alternativo a quello comunemente diffuso, producono un enorme danno a carico dei principali settori del Made in Italy e dei consumatori.

Saturare i telespettatori con informazioni imprecise, frammentate e non contestualizzate, suggerendo la presunta pericolosità del sistema alimentare o l’esclusione di un cibo a prescindere dalle reali necessità di ciascuno, non solo è sbagliato, ma è pericoloso perché minaccia la salute.

E’ essenziale che la RAI, consapevole del fondamentale ruolo che il servizio pubblico riveste, in particolare in momenti come questo che stiamo vivendo, presti molta attenzione a quei messaggi che, privi di fondamento scientifico, puntano a destabilizzare ulteriormente il fragile equilibrio che regna all’interno delle famiglie italiane.

Speriamo davvero che vogliate prendere in considerazione il nostro appello per un’informazione più distesa, equa ed imparziale, che non cerchi a tutti i costi improponibili capri espiatori, quando tutti stiamo cercando di uscire compatti da una pandemia globale.

Cordiali saluti.

Qui di seguito AGRICOLAE pubblica la lettera in PDF:

LETTERA FILIERA ALLA RAI E A MINISTRO BELLANOVA

LETTERA ALLA RAI DA PARTE DELL’INDUSTRIA

Per saperne di più:

CORONAVIRUS: COLDIRETTI, BASTA FAKE NEWS SU STALLE ITALIANE

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Mentre nelle stalle italiane si lavora a pieno regime per garantire le forniture di latte e carne alle famiglie italiane, il crollo dei livelli di inquinamento nella pianura padana per il blocco della circolazione delle auto e la limitata operatività delle industrie smentisce una delle piu’ diffuse fake news sull’impatto ambientale dell’allevamento nazionale. E’ quanto afferma la Coldiretti nel sottolineare che l’emergenza Coronavirus ha fatto emergere la centralità dell’attività di allevamento italiano per non far mancare le necessarie forniture alimentare alla popolazione, in un momento di difficoltà per i trasporti e per i transiti alle frontiere.

 

I livelli di inquinamento sono fortemente abbassati con le fabbriche chiuse e le stalle aperte e dopo oltre un mese di restrizioni, zone rosse e chiusura di attività industriali imposte dal Coronavirus – spiega la Coldiretti – i livelli di biossido di azoto, un marcatore dell’inquinamento, si sono ridotti chiaramente come mostrano le immagini del satellite Sentinel 5 del programma europeo Copernicus, gestito da Commissione Europea e Agenzia Spaziale Europea (Esa).

 

Smascherata la fake news sulle reali responsabilità reali dell’inquinamento dell’aria, vanno anche condannati – sottolinea la Coldiretti – i fantasiosi tentativi fuori dalla realtà di far immaginare un collegamento, del tutto inesistente, tra l’attività di allevamento nazionale e l’epidemia coronavirus, come purtroppo ipotizzato anche da qualche trasmissione televisiva pseudo scientifica, con il pericoloso effetto di screditare e depotenziare la capacità produttiva dell’allevamento nazionale e di favorire le speculazioni.

 

Un settore che al contrario alimenta economie circolari con la produzione di letame e liquami indispensabili per fertilizzare i terreni e alla base dell’agricoltura biologica con l’Italia che – riferisce la Coldiretti – detiene la leadership europea in termini di numero di aziende ma anche la produzione di energie rinnovabili come il biogas.

 

La carne e il latte italiani nascono da un sistema di allevamento che per sicurezza e qualità non ha eguali al mondo, consolidato anche grazie a iniziative di valorizzazione messe in campo dagli allevatori, con l’adozione di forme di alimentazione controllata, disciplinari di allevamento restrittivi, sistemi di rintracciabilità elettronica e forme di vendita diretta della carne attraverso le fattorie e i mercati di Campagna Amica” ha dichiarato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “scegliere carne Made in Italy significa anche sostenere un sistema fatto di animali, di prati per il foraggio e soprattutto di persone impegnate a combattere lo spopolamento e il degrado ambientale spesso da intere generazioni, anche in aree difficili”.

 

L’emergenza coronavirus ha fatto emergere tutta la centralità delle filiera nazionale di latte e carne dopo che stalle, ricoveri e ovili che si sono svuotati e la Fattoria Italia che nell’ultimo decennio ha perso – sottolinea la Coldiretti – solo tra gli animali più grandi, circa un milione di pecore e agnelli, oltre a quasi 800mila maiali e 200mila bovini e bufale. Un addio che – precisa la Coldiretti – ha riguardato soprattutto la montagna e le aree interne più difficili dove mancano condizioni economiche e sociali minime per garantire la permanenza di pastori e allevatori, spesso a causa dei bassi prezzi pagati per il latte e per la concorrenza sleale dei prodotti di dubbia qualità importati dall’estero. Ogni giorno 5,7 milioni di litri di latte straniero attraversano le frontiere e invadono l’Italia con cisterna o cagliate congelate low cost in piena emergenza coronavirus, proprio mentre alcune aziende di trasformazione cercano di tagliare i compensi riconosciuti agli allevatori italiani, con la scusa della sovrapproduzione, secondo una analisi della Coldiretti sulla base dei dati del Ministero della salute relativi ai primi quindici giorni del mese di marzo 2020 sui flussi commerciali dall’estero in latte equivalente.

 

Una tendenza preoccupate che va combattuta – conclude la Coldiretti – con un adeguato riconoscimento economico e sociale di quanti hanno la responsabilità in questo momento di garantire alimenti essenziali al giusto prezzo di fronte alla difficile esperienza della limitazione delle movimentazioni e del blocco di molte attività funzionali all’allevamento come la meccanica agricola.

ZOOTECNIA, SERPILLO, UCI: RAI TV DI STATO SEGUA VERITA, NON OPINIONI E FALSI SCOOP MEDIATICI. SULLA PELLE DI CHI E’ IN PRIMA LINEA

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“Inopportuna querelle comunicativa da parte della Rai in questo momento. La tv di stato e chi è pagato dalla tv di Stato dovrebbe avere riguardo per il nostro Paese, non per fare tifoseria del patrimonio Made in Italy, ma semplicemente per dovere di verità che va oltre qualsiasi opinione e interesse di scoop mediatico o altri settori che possono avere interesse a colpevolizzare il segmento zootecnia”. Così il presidente dell’Unione coltivatori italiani – Uci Mario Serpillo in merito alle trasmissioni mandate in onda sulla Rai nel corso delle quali si colpevolizza il settore zootecnico per quanto riguarda il suo ruolo nell’inquinamento e addirittura nella diffusione del coronavirus.

“Oggi nessuno risponde più agli interessi generali del Paese ed è inammissibile che la tv pubblica confonda interessi personali mossi da alcuni ‘sentito dire’. Ci si basi su verità scientifiche.

Non è possibile che anche la televisione di Stato propini fake news. Dobbiamo governare questi strumenti nell’interesse della verità e nell’ottica della tutela della salute dei consumatori. Non c’è agricoltura o agroalimentare di altri paesi che non sia controllato e salubre come quello italiano”, prosegue Serpillo ricordando la battaglia ‘ossessiva’ portata avanti dall’Italia in Ue proprio in ambito di certificazione, sostenibilità e sicurezza della filiera.

“Un comportamento questo – conclude Serpillo – ancora più grave in questo momento storico in cui la filiera agricola ed agroalimentare è impegnata in prima linea a garantire la continuità degli approvigionamenti sugli scaffali rischiando sulla propria pelle”.

Era già stato scritto in merito al Glifosate, al centro di una diatriba politica, economica e della salute, in seguito assolto dalla sentenza della Corte di giustizia europea secondo la quale “non sussistono elementi per inficiare la legittimità sull’uso del glifosato”.

GLIFOSATE, LETTERA APERTA DEL MONDO SCIENTIFICO A GIORNALISTA DI INDOVINA CHI VIENE A CENA: STUDIATE PRIMA DI FARE ALLARMISMO. E, COME TV PUBBLICA, SENTITE TUTTE LE VOCI

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AGRICOLAE riceve e pubblica una lettera aperta da parte del gruppo Seta a firma di Donatello Sandroni, giornalista specializzato con laurea in scienze agrarie e dottorato in ecotossicologia, a Sabrina Giannini, giornalista di indovina chi viene a cena, in merito alla puntata andata in onda sul Glifosate e alla polemica che ne è scaturita sui social. In particolare a quanto dichiarato dalla giornalista agli agricoltori che quotidianamente lavorano la terra.

Lettera aperta a Sabrina Giannini, conduttrice su Rai 3 del programma “Indovina chi viene a Cena”.

Di Donatello Sandroni

Talvolta il sarcasmo sui social può rivelarsi gratuito e imprudente al contempo, specialmente nell’era in cui gli screenshot permettano di salvare traccia delle discussioni stesse.

Gratuito, si diceva, per la fatuità delle argomentazioni su cui poggia. Imprudente, perché sarebbe meglio verificare sempre con chi si abbia a che fare, prima di assumere atteggiamenti supponenti quando non addirittura sbruffoni. Una regola aurea che vale doppio quando ci si avventuri su terreni circa i quali non si possieda per lo meno una sufficiente infarinatura. Regola che non sembra particolarmente radicata in Sabrina Giannini, conduttrice di “Indovina chi viene a cena”, programma di Rai3 che spesso rilancia messaggi inquietanti sui prodotti per la difesa delle colture, i famigerati “pesticidi”.

Il 14 ottobre 2019, l’ennesimo capitolo. “Il Santo Gran”: questo il titolo della puntata incentrata sullo stagionato tema della pasta al glifosate, sbocciato nei primi mesi del 2017 con le ormai note analisi di diverse marche di pasta. Analisi commissionate da Granosalus, neonata associazione di Saverio De Bonis, oggi Senatore ex Cinque Stelle. Ex, in quanto espulso dal partito per alcune omissioni sul proprio passato giudiziario.

Nonostante l’effimero tema della “pasta al glifosate” stia quindi per accendere la terza candelina, pare rimanga un evergreen buono per qualsiasi stagione. E a nulla vale che siano già stati forniti approfondimenti più che sufficienti per bollare l’intera querelle come la classica montagna che partorisce il topolino.

A carico dei consumatori non vi è infatti alcun rischio sanitario derivante dai residui nei cibi, posizione ribadita dalle Autorità europee appositamente preposte, ma giornali e programmi televisivi vanno comunque riempiti e pare non vi sia nulla di più intrigante di un erbicida che finisce nel cibo italiano per antonomasia: la pasta. Se poi la multinazionale è americana, bingo. Poco importa che quei residui siano perfettamente nei limiti legali, come pure siano da centinaia a migliaia di volte inferiori alla soglia di sicurezza sanitaria per l’Uomo. Senza contare poi che durante la cottura l’idrofilia di glifosate e la sua “fragilità” strutturale fanno sì che di quel residuo trovato nella pasta cruda, una volta cotta e scolata, ne resti solo una frazione, essendone finita buona parte nell’acqua di cottura e tramite questa nel lavandino. Quindi l’affare glifosate nella pasta è sostanzialmente il Nulla. Una non-notizia sia dal punto di vista scientifico, sia da quello normativo. Ma sul Nulla a volte si possono costruire intere puntate e catturare in tal modo l’attenzione del pubblico.

In fondo, per evitare tali servizi basterebbe guardare qualcos’altro e il problema non si porrebbe neanche. Cosa che personalmente faccio da anni, salvo andarmi a rivedere le puntate su web quando mi vengano segnalate da miei contatti professionali, scandalizzati per quanto è stato confezionato e servito via etere. Da quando però i social ne hanno integrato la diffusione, anche Facebook può diventare una rete in cui, volenti o nolenti, si finisce “taggati” da chi sia curioso di sapere tu, esperto in materia, cosa ne pensi di quella data puntata. E anche se non si affonda più di tanto il dito nella piaga, ricordando solo che tu mai verrai intervistato, altrimenti il giochino dell’allarmismo finisce, si può essere comunque ripagati con il sarcasmo di cui all’incipit dell’articolo.

Sabrina Giannini, nell’afflato difensivo del proprio operato, inizia dapprima pestando qualche mina con l’amico personale Marco Pasti, membro anch’egli, come me, del Gruppo SeTA, ovvero quelle Scienze e Tecnologie per l’Agricoltura cui aderiscono decine di docenti, ricercatori e tecnici dal bagaglio professionale di altissimo profilo. A Marco la conduttrice chiede come si comporterebbe se ad ammalarsi di cancro fosse qualche suo parente. Domanda vuota del benché minimo senso, perché parte dal presupposto altrettanto vuoto che sia stato appunto glifosate, in modo certo, a causare quel cancro. Questo oggi. Con lo stesso approccio, infatti, potrebbe essere domani una qualsiasi altra cosa: il 5G, una crema spalmabile, le protezioni anti-UV, i vaccini e perfino quelle chemioterapie che i tumori, appunto, combattono. Non soddisfatta di ciò, Sabrina Giannini chiede a Marco Pasti per chi lavori, cioè l’eterno “Chi ti paga?” usato da chi stia annaspando in un confronto impari. La soglia della comicità si supera però quando la conduttrice dice a Marco Pasti “Certo, se tu fossi un agricoltore… o chi vive in campagna”. Perché Marco Pasti non solo ci vive davvero in campagna, ma ci lavora proprio come agricoltore. Ed ecco perché non hanno chiamato lui a valutare glifosate, domanda che in modo sarcastico Sabrina Giannini gli pone, esortandolo peraltro a una non meglio precisata onestà intellettuale. Ognuno deve fare il proprio mestiere, infatti, e Marco fa splendidamente il suo di produttore di cibo. Magari si potesse dire altrettanto di molti miei colleghi giornalisti ai quali, sì, andrebbero mossi frequenti richiami a una maggiore onestà intellettuale.

Poi arriva anche a me e al contatto che mi ha taggato la nostra buona dose di sfottò, con un commento a noi dedicato: “i signori [omissis] e Donatello Sandroni sanno più dell’Agenzia per la ricerca sul cancro, cioè il meglio dell’epidemiologia mondiale. Complimenti, com’è che nessuno ne è al corrente?“. Ora, la cosa, devo ammettere, più che indispettirmi mi onora. Una giornalista di una rete pubblica, conduttrice di una trasmissione molto seguita, che inconsapevole dell’errore che sta commettendo attacca me: un collega che opera purtroppo per lei come divulgatore scientifico, scrivendo per lo più su testate di stampa specializzata e ferrato, guarda caso, soprattutto su glifosate. Uno che peraltro se lo può permettere di scrivere ciò che scrive, grazie a una laurea in Scienze Agrarie, un dottorato in ecotossicologia (“Chimica, biochimica ed ecologia degli antiparassitari”) e trent’anni di esperienza nello specifico mondo dei prodotti per la difesa delle piante. Che dire quindi? Una tale nomination da parte di Sabrina Giannini è ai miei occhi una medaglia fra le più preziose in una carriera intrapresa quasi involontariamente, più per passione che per necessità. Una carriera, sarà bene ricordarlo, in cui la mia credibilità si è consolidata studiando per la metà del tempo e scrivendo solo nell’altra metà. Cosa purtroppo divenuta ormai bizzarra, studiare prima di scrivere. Tanto bizzarra che a farla pare ormai siano rimasti pochi colleghi giornalisti, essendo spesso interessati i più a sparare “pezzoni choc” che a capirne il senso.

Io invece studio. Tanto. E mattoni pesanti: roba tipo i report periodici di EFSA, l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare, la quale dopo ponderose valutazioni ha stabilito contrariamente a IARC che glifosate non è da considerarsi un potenziale cancerogeno per l’Uomo, a dispetto delle millantate migliaia di pubblicazioni scientifiche che affermerebbero il contrario. Una conclusione positiva sull’erbicida cui sono giunte anche l’Agenzia europea per la chimica (ECHA), l’Istituto federale tedesco per la valutazione dei rischi (BFR), le autorità svizzere (FSVO) e francesi (ANSES), ma anche le statunitensi Environmental Protection agency (EPA) e National Toxicology Program (NTP). A queste si sono aggiunte le Autorità sanitarie canadesi (Health Canada), quelle australiane (APVMA), neozelandesi (Environmental Protection Authority), brasiliane (ANVISA), giapponesi (Food Safety Commission of Japan) e perfino coreane (Rural Development Administration). Non mancano infine all’appello nemmeno le conclusioni contrarie a quelle della IARC prodotte dal lavoro congiunto di scienziati FAO e OMS. Nemmeno per l’Organizzazione mondiale della Sanità in quanto tale, infatti, glifosate sarebbe un “probabile cancerogeno”. Già, l’OMS: quella di cui IARC è solo una costola. (Rif. bibliografici da 1 a 11)

[nda: IARC è IARC. Non è l’OMS, come spesso i giornalisti generalisti hanno erroneamente riportato, talvolta giocando pure sull’equivoco].

Una IARC che spende circa il 90% del suo budget per fare cose meravigliose, come progetti globali, indagini e via discorrendo. Una IARC di cui, a sua volta, è costola nella costola quel gruppo che a Lione produce monografie sulle molecole, tipo appunto glifosate, classificandole in base al concetto di “pericolo potenziale intrinseco” e non di “rischio reale per l’uomo”, come invece fanno tutte le autorità sopra riportate. Non a caso nel gruppo di “probabili cancerogeni” della IARC insieme a glifosate ci sono pure l’acqua calda sopra i 65°C e le bistecche, tanto per dire. Le salsicce e le bevande alcoliche no: quelle sono nel gruppo superiore. Quel gruppo 1 dei “sicuramente cancerogeni” in cui al fianco di benzene, amianto e radiazioni ionizzanti si trovano per esempio le carni lavorate, gli insaccati per dirla semplice, nonché quel bicchier di vino di cui è difficile privarsi durante una buona cena sebbene contenga alcol, un sicuramente cancerogeno anch’esso. Quindi, prendendo ottusamente per oro colato tali classificazioni dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, un tagliere di salumi misti, accompagnato da un paio di bicchieri di rosso, sarebbe da considerare molto più cancerogeno e pericoloso di glifosate, specialmente se accompagnato da un ricco cesto di gnocco fritto. Ognuno tragga quindi le proprie conclusioni circa i pesi e le misure che andrebbero adottati parlando di cancro e malattie altrettanto terribili.

In sostanza, per come è stato concepito e strutturato, il sistema di classificazione per gruppi adottato dalla IARC è del tutto inutile sia per emettere sentenze in tribunale, sia per elaborare una stima dei rischi per l’Uomo. Per realizzare questa vi è infatti bisogno di ben altro che le monografie IARC, le quali a tossicologi, epidemiologi e valutatori dei rischi servono più o meno quanto dei doposci a un subacqueo. Quindi, Giannini, suvvia: va bene che risulta laureata in psicologia e di chimica e tossicologia ha diritto di essere digiuna – e La perdono, perché tutti siamo ignoranti a seconda del tema trattato – ma almeno le basi Le sappia se vuole discutere di temi per i quali, altri sì, sono riconosciuti fra le persone più ferrate e scientificamente preparate, specialmente su glifosate.

Più che un lavoro, il mio, è infatti una scomoda scelta di vita controcorrente, visto l’andazzo anti scientifico che sta ammorbando diversi settori della vita, agricoltura in primis. Non sarò infatti epidemiologo – ha ragione Giannini – ma per competenze, mestiere e passione studio ciò che gli epidemiologi producono e poi do loro voce. Anche perché a differenza di molti commentatori del web, io sono perfettamente in grado di capirlo ciò che essi producono. Un dettaglio che in un mondo normale sarebbe tutto tranne che trascurabile, ma che nella dimensione presente evapora spesso fra sterili contumelie e commenti cretini del tipo “Se ti piace glifosate allora bevitelo!”. Ovvero uno dei più efficaci spartiacque fra esseri pensanti e minus habentens da tastiera i quali, pur utilizzandoli diffusamente, mai si berrebbero prodotti per la cura della casa o della persona, come saponi, candeggina, sturalavandini e deodoranti per le ascelle. E meno male, perché la maggior parte di questi sono tossicologicamente molto peggio di glifosate.

Comprendo quindi bene che nel mainstream del tutto è tossico, tutto è veleno, le multinazionali ci ammazzano per il profitto, quelli come me o come l’amico Marco Pasti diano soverchio fastidio. Lo so, è dura vedere disturbare il coro del “Moriremo tutti!1!!1!! (ma il biologico ci salverà)” da qualche tizio che spieghi coi numeri che cibo e acque sono sicuri. Uno che spieghi, sempre con dati ufficiali, che la tossicologia non è dalla parte degli allarmisti di professione, ma dalla propria, umile divulgatore tecnico-scientifico di settore. Uno che grazie alle competenze specifiche che si è costruito nel tempo, si diletta a smontare articoli, servizi e pubblicazioni pseudo-scientifiche che vengano rilanciate in tv o sul web, magari con la tipica arroganza di chi nulla capisce delle differenze che intercorrono fra test in vitro, in vivo e studi di coorte. L’importante, ormai, pare sia infatti divenuto condividere compulsivamente link ad articoli di cui forse si è letto solo il titolo: ieri contro gli OGM, oggi contro glifosate, domani contro i neonicotinoidi e dopodomani sui fungicidi usati per produrre il Prosecco. E quindi via, si riparte. Quelle pubblicazioni le si analizza per ciò che c’è e anche per ciò che manca. Poi, e solo poi, si scrive, provocando come massima reazione le accuse di non essere attendibili. Perché? Perché sui giornali dove si pubblicano i propri pezzi ci sono i banner delle multinazionali della chimica agraria. E chi vorrebbero ci fosse su siti che parlano di fitoiatria? Produttori di dadi per il brodo? Del resto, testate che non ricevono contributi pubblici e che non possono contare nemmeno su un canone come quello Rai, in qualche modo gli stipendi li devono pur pagare. E meno male che lo fanno, altrimenti non esisterebbe più alcuna fonte riequilibratrice della disinformazione che sempre più spesso viene diffusa sull’agricoltura dalla stampa generalista. Una stampa generalista che spesso rincorre, lei sì, i propri economici interessi legati allo share e ai propri profumati contratti annuali, salvo spacciarsi per paladina dei cittadini agitando streghe che il più delle volte vengono messe al rogo del tutto ingiustamente.

Purtroppo per siffatti soggetti, però, tali commenti sui banner delle “odiate multinazionali” pare siano il massimo che sanno produrre, perché nulla emerge dalle loro contumelie che si cali nel metodo e nel merito di ciò che è stato scritto, confinandosi autonomamente nell’ormai spassoso “ki ti paga?”.

Trovo quindi surreale essere attaccato da una persona che contesta me, stimato/odiato professionista del settore, facendo sterile sarcasmo sul mio non-essere epidemiologo, salvo scrivere da laureata in psicologia un libro su (cito da recensione su Facebook, debitamente catturata a schermo): “Dall’inganno delle «dosi accettabili» allo scandalo dei fanghi di depurazione, dai pesticidi che fanno strage di api ai semi ibridi che minacciano la biodiversità”.

Quindi pare semmai Lei, cara Giannini, a porsi in contrasto con quanto comunemente accettato dalla tossicologia mondiale, quella che appunto ha fissato quelle “dosi accettabili” da Lei incredibilmente definite ingannevoli. Poi, non contenta, cavalca pure il frusto tormentone dei pesticidi che farebbero strage di api, tema sul quale anche in questo caso mi chiedo che competenze Lei abbia per stabilire cosa ci sia di vero e cosa no, perché perfino alcune associazioni ambientaliste come Sierra Club stanno attenuando i toni sull’argomento. E a tal proposito, Giannini, Le do io qualche notizia che agli occhi di chiunque apparirebbe ghiotta: gli usi di “pesticidi” in Italia si sono ridotti di quasi un terzo negli ultimi trent’anni, migliorando anche in modo fenomenale le classificazioni tossicologiche rispetto al passato grazie a un solerte lavoro sia di ricerca (ah… le odiate multinazionali…), sia di normativa (ah… le odiate Autorità europee…). Grazie infatti al processo continuo di Revisione Europea sette molecole su dieci impiegate fino ai primi Anni 90 oggi non vengono usate più. I soli insetticidi sono dimezzati in tonnellate dal 2000 a oggi, continuando nonostante ciò a essere additati come fonte di molteplici Armageddon sanitari e ambientali. Infine, giusto per dare una corretta dimensione alla fola dell’”abuso di pesticidi”, per dare a Lei il cibo che consuma in un anno, tutti gli agricoltori italiani messi insieme, da Bressanone a Ragusa, impiegano un solo chilo di sostanze attive. Si faccia quindi una manata di conti su quante sostanze adopera Lei all’anno, a vario titolo, per tenere in ordine se stessa e la Sua casa, poi magari ne riparliamo. Io l’ho fatto questo conto e sono rimasto basito.

Visti tutti questi trend al miglioramento nel settore dei prodotti fitosanitari, vi è quindi da chiedersi le reali ragioni per cui trasmissioni come la Sua insistano nel presentare tali prodotti come fosse un’emergenza dirompente, quando invece non lo sono affatto, venendo comunque presentati come pericoli incombenti oggi in chiave acque, domani sulla salute, dopodomani sulle api. Api che continuano peraltro ad avere tutti i loro problemi nonostante il bando dei neonicotinoidi. Quindi prima o poi qualche domanda ce la si dovrà porre. E qualche responsabilità andrà finalmente rinfacciata pure a chi abbia contribuito con le proprie comunicazioni fuorvianti ad allontanare l’attenzione dalle vere cause del problema.

Pur comprendendo bene le scelte editoriali della Sua trasmissione e di quelle similari, cara Giannini, non posso quindi tacere in caso venga creata inquietudine tramite delle non-notizie come quelle dei residui, legali e sicuri, di glifosate nella pasta. Il tutto, a danno proprio del cittadino comune, per lo più incapace di discernere il falso dal vero e le infinite sfumature intermedie. Io, per scrivere il mio di libro, “Orco Glifosato”, mi sono preso due anni di tempo. Oltre alla monografia IARC – e agli studi su cui si basa – mi sono studiato più di mille e 500 pagine di report, ricerche, dossier, nonché le posizioni ufficiali di tutte le Autorità sopra riportate (bugia: quella giapponese che ho trovato era scritta in ideogrammi e mi sono arreso, limitandomi all’abstract in inglese). Mi sono pure confrontato con qualche tossicologo di fama internazionale che opera da anni anche in seno all’OMS, soprattutto in tema “pesticidi”. Infine, mi sono dilettato ad approfondire le maleolenti ombre che gravano su quella monografia 112, visti gli strani insabbiamenti operati ai danni di studi favorevoli a glifosate, come pure le modifiche peggiorative dell’ultimo secondo apportate ai testi della monografia stessa. Modifiche rimaste inspiegate nonostante le richieste ufficiali di chiarimento, a dimostrazione che l’indipendenza è nulla senza la doverosa trasparenza. Per non parlare delle ingerenze nel gruppo di lavoro IARC di un consulente dello studio legale che per primo preparò la causa contro Monsanto. Consulente che, inspiegabilmente, riuscì a diventare Presidente proprio del gruppo di lavoro che doveva valutare glifosate. E questo per Lei sarebbe “il meglio dell’epidemiologia mondiale”? La invito seriamente a rivedere le Sue posizioni in tal senso, perché quella monografia è ormai acclarato essere un documento indegno di una struttura legata all’OMS. Un documento che andrebbe ritirato e rifatto da capo, magari senza intromissioni indebite da qualsivoglia parte.

Gli unici a trarre vantaggio da quella monografia sono stati infatti gli studi legali che hanno intrapreso contro Monsanto una serie infinita di “predatory litigation”, odiosa e spregiudicata involuzione delle ben più nobili class action dei primordi. Studi legali che in America possono diffondere sui media inserzioni pubblicitarie alla caccia di malati di tumore, promettendo indennizzi da favola se si uniscono all’azione legale. Poi vincono, incredibilmente. Vincono grazie proprio a quella monografia 112 e agli analfabeti funzionali che tali sentenze credono siano la prova che glifosate provochi il cancro, dimostrando in un colpo solo di capir nulla sia di glifosate, sia di processi americani, con tutti i danni che ne conseguono, economici e sociali.

Quando e se vorrà, Giannini, glieLe potrò quindi raccontare io amichevolmente tutte le summenzionate “zone d’ombra” in cui ha operato quel gruppetto di Lione, il quale di imbarazzi con la propria deprecabile monografia ne ha causati tanti, sia nella IARC, sia nell’OMS. Sa, credo ancora che un/a giornalista serio/a debba cercare la notizia dove c’è, anziché costruirla dove non c’è. Ma io, come detto, sono un giornalista specializzato, tecnico, scientifico. Uno che parte dai dati e che ai dati sempre è chiamato a tornare. Non vengo infatti misurato né pagato in base ai click o allo share che produco, bensì in base ai contenuti di ciò che pubblico. Contenuti ovviamente sempre verificabili ed eventualmente smentibili se per caso si rivelassero erronei. E io non ho mai dovuto correggere un mio articolo né tanto meno spubblicarlo, nonostante i continui assalti portati sia agli articoli, sia alla mia persona.

Un divario operativo e metodologico che ritengo purtroppo incolmabile fra quelli come me e quelli che operano secondo le (il)logiche del contatto col grande pubblico. E forse è proprio per questo che le cose vanno sempre peggio su molteplici fronti.

Quindi, cara Giannini, continui pure a produrre le Sue puntate sui millemila veleni che dall’agricoltura giungerebbero nei piatti degli italiani. Io la saluto cordialmente con il seguente grafico: è la raffigurazione dei morti globali per carestia, media per decennio, su centomila abitanti. Guardi gli Anni 60, quelli in cui entrambi siamo nati. Fatto? Ecco, oggi le morti per carestie sono calate del 99% rispetto a quando noi due emettevamo i primi vagiti.

Un dato di cui possono andare orgogliosi proprio quelli come me, come Marco Pasti, come i colleghi di SeTA e come tutti coloro che sanno bene a cosa vada attribuito un tale miracolo agroalimentare. I giornalisti come Lei, Giannini, pare siano invece troppo occupati ad attaccare noi e il nostro lavoro per rendersi conto che se siete nati e siete vissuti nell’agio dei tre pasti al giorno è soprattutto per merito di quelli come me, come noi, i quali un grave errore l’hanno sì commesso: dare da mangiare a tutti, seguendo affannosamente la crescente domanda di cibo, senza imporre mai la preghierina prima dei pasti. Al Signore? No, io sono pure ateo. A giganti come Norman Borlaug, Nazareno Strampelli, Fritz Haber e Carl Bosch e a tutto l’esercito di scienziati, tecnici e agricoltori che quel cibo hanno reso possibile e che oggi producono e consegnano a dispetto degli insulti e delle demonizzazioni che ricevono. Cioè quelli che invece di essere ringraziati per quello che fanno vengono dipinti da trasmissioni come la Sua quasi fossero somministratori a tradimento di veleni. Un’ingiustizia di una gravità immensa che merita documentate contro argomentazioni. Contro argomentazioni che ovviamente non troveranno mai spazio in prime-time. Si dice così no? Sa, Giannini, oltre a non essere un epidemiologo in senso stretto capisco poco anche di terminologia televisiva…

Riferimenti bibliografici

1) Efsa:

http://www.Efsa.europa.eu/sites/default/files/scientific_output/files/main_documents/4302.pdf

2) Efsa:

http://www.Efsa.europa.eu/sites/default/files/corporate_publications/files/Efsaexplainsglyphosate151112en_1.pdf

3) Jose V. Tarazona et Al. (2017): “Glyphosate toxicity and carcinogenicity: a review of the scientific basis of the European Union assessment and its differences with IARC”. Arch Toxicol. 2017; 91(8): 2723–2743. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5515989/

4) Bfr: http://www.bfr.bund.de/cm/349/does–glyphosate–cause–cancer.pdf

5) EPA: https://www.federalregister.gov/documents/2013/05/01/2013–10316/glyphosate–pesticide–tolerances e EPA’s Office of Pesticide Programs September 12, 2016 “Glyphosate Issue Paper: Evaluation of Carcinogenic Potential”

6) Oms e Fao: http://www.who.int/foodsafety/jmprsummary2016.pdf?ua=1

7) Echa: https://echa.europa.eu/–/glyphosate–not–classified–as–a–carcinogen–by–echa.

8) Posizione Autorità australiane: Australian Pesticides and Veterinary Medicines Authority: “Regulatory position: consideration of the evidence for a formal reconsideration of glyphosate”. Settembre 2016

9) Posizione Autorità neozelandesi: Review of the Evidence Relating to Glyphosate and Carcinogenicity. Environmental Protection Authority, agosto 2016

10) Posizione delle Autorità canadesi (Pest Management Regulatory Agency): Re-evaluation Decision RVD2017-01, Glyphosate. 28 April 2017

11) Posizione Ufficio federale dell’Agricoltura elvetico rispetto a glifosate: report del 4 ottobre 2017

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GLIFOSATE, LETTERA APERTA DEL MONDO SCIENTIFICO A GIORNALISTA DI INDOVINA CHI VIENE A CENA: STUDIATE PRIMA DI FARE ALLARMISMO. E, COME TV PUBBLICA, SENTITE TUTTE LE VOCI

AGRICOLAE riceve e pubblica una lettera aperta da parte del gruppo Seta a firma di Donatello Sandroni, giornalista specializzato con laurea in scienze agrarie e dottorato in ecotossicologia, a Sabrina Giannini, giornalista di indovina chi viene a cena, in merito alla puntata andata in onda sul Glifosate e alla polemica che ne è scaturita sui social. In particolare a quanto dichiarato dalla giornalista agli agricoltori che quotidianamente lavorano la terra.

Lettera aperta a Sabrina Giannini, conduttrice su Rai 3 del programma “Indovina chi viene a Cena”.

Di Donatello Sandroni

Talvolta il sarcasmo sui social può rivelarsi gratuito e imprudente al contempo, specialmente nell’era in cui gli screenshot permettano di salvare traccia delle discussioni stesse.

Gratuito, si diceva, per la fatuità delle argomentazioni su cui poggia. Imprudente, perché sarebbe meglio verificare sempre con chi si abbia a che fare, prima di assumere atteggiamenti supponenti quando non addirittura sbruffoni. Una regola aurea che vale doppio quando ci si avventuri su terreni circa i quali non si possieda per lo meno una sufficiente infarinatura. Regola che non sembra particolarmente radicata in Sabrina Giannini, conduttrice di “Indovina chi viene a cena”, programma di Rai3 che spesso rilancia messaggi inquietanti sui prodotti per la difesa delle colture, i famigerati “pesticidi”.

Il 14 ottobre 2019, l’ennesimo capitolo. “Il Santo Gran”: questo il titolo della puntata incentrata sullo stagionato tema della pasta al glifosate, sbocciato nei primi mesi del 2017 con le ormai note analisi di diverse marche di pasta. Analisi commissionate da Granosalus, neonata associazione di Saverio De Bonis, oggi Senatore ex Cinque Stelle. Ex, in quanto espulso dal partito per alcune omissioni sul proprio passato giudiziario.

Nonostante l’effimero tema della “pasta al glifosate” stia quindi per accendere la terza candelina, pare rimanga un evergreen buono per qualsiasi stagione. E a nulla vale che siano già stati forniti approfondimenti più che sufficienti per bollare l’intera querelle come la classica montagna che partorisce il topolino.

A carico dei consumatori non vi è infatti alcun rischio sanitario derivante dai residui nei cibi, posizione ribadita dalle Autorità europee appositamente preposte, ma giornali e programmi televisivi vanno comunque riempiti e pare non vi sia nulla di più intrigante di un erbicida che finisce nel cibo italiano per antonomasia: la pasta. Se poi la multinazionale è americana, bingo. Poco importa che quei residui siano perfettamente nei limiti legali, come pure siano da centinaia a migliaia di volte inferiori alla soglia di sicurezza sanitaria per l’Uomo. Senza contare poi che durante la cottura l’idrofilia di glifosate e la sua “fragilità” strutturale fanno sì che di quel residuo trovato nella pasta cruda, una volta cotta e scolata, ne resti solo una frazione, essendone finita buona parte nell’acqua di cottura e tramite questa nel lavandino. Quindi l’affare glifosate nella pasta è sostanzialmente il Nulla. Una non-notizia sia dal punto di vista scientifico, sia da quello normativo. Ma sul Nulla a volte si possono costruire intere puntate e catturare in tal modo l’attenzione del pubblico.

In fondo, per evitare tali servizi basterebbe guardare qualcos’altro e il problema non si porrebbe neanche. Cosa che personalmente faccio da anni, salvo andarmi a rivedere le puntate su web quando mi vengano segnalate da miei contatti professionali, scandalizzati per quanto è stato confezionato e servito via etere. Da quando però i social ne hanno integrato la diffusione, anche Facebook può diventare una rete in cui, volenti o nolenti, si finisce “taggati” da chi sia curioso di sapere tu, esperto in materia, cosa ne pensi di quella data puntata. E anche se non si affonda più di tanto il dito nella piaga, ricordando solo che tu mai verrai intervistato, altrimenti il giochino dell’allarmismo finisce, si può essere comunque ripagati con il sarcasmo di cui all’incipit dell’articolo.

Sabrina Giannini, nell’afflato difensivo del proprio operato, inizia dapprima pestando qualche mina con l’amico personale Marco Pasti, membro anch’egli, come me, del Gruppo SeTA, ovvero quelle Scienze e Tecnologie per l’Agricoltura cui aderiscono decine di docenti, ricercatori e tecnici dal bagaglio professionale di altissimo profilo. A Marco la conduttrice chiede come si comporterebbe se ad ammalarsi di cancro fosse qualche suo parente. Domanda vuota del benché minimo senso, perché parte dal presupposto altrettanto vuoto che sia stato appunto glifosate, in modo certo, a causare quel cancro. Questo oggi. Con lo stesso approccio, infatti, potrebbe essere domani una qualsiasi altra cosa: il 5G, una crema spalmabile, le protezioni anti-UV, i vaccini e perfino quelle chemioterapie che i tumori, appunto, combattono. Non soddisfatta di ciò, Sabrina Giannini chiede a Marco Pasti per chi lavori, cioè l’eterno “Chi ti paga?” usato da chi stia annaspando in un confronto impari. La soglia della comicità si supera però quando la conduttrice dice a Marco Pasti “Certo, se tu fossi un agricoltore… o chi vive in campagna”. Perché Marco Pasti non solo ci vive davvero in campagna, ma ci lavora proprio come agricoltore. Ed ecco perché non hanno chiamato lui a valutare glifosate, domanda che in modo sarcastico Sabrina Giannini gli pone, esortandolo peraltro a una non meglio precisata onestà intellettuale. Ognuno deve fare il proprio mestiere, infatti, e Marco fa splendidamente il suo di produttore di cibo. Magari si potesse dire altrettanto di molti miei colleghi giornalisti ai quali, sì, andrebbero mossi frequenti richiami a una maggiore onestà intellettuale.

Poi arriva anche a me e al contatto che mi ha taggato la nostra buona dose di sfottò, con un commento a noi dedicato: “i signori [omissis] e Donatello Sandroni sanno più dell’Agenzia per la ricerca sul cancro, cioè il meglio dell’epidemiologia mondiale. Complimenti, com’è che nessuno ne è al corrente?“. Ora, la cosa, devo ammettere, più che indispettirmi mi onora. Una giornalista di una rete pubblica, conduttrice di una trasmissione molto seguita, che inconsapevole dell’errore che sta commettendo attacca me: un collega che opera purtroppo per lei come divulgatore scientifico, scrivendo per lo più su testate di stampa specializzata e ferrato, guarda caso, soprattutto su glifosate. Uno che peraltro se lo può permettere di scrivere ciò che scrive, grazie a una laurea in Scienze Agrarie, un dottorato in ecotossicologia (“Chimica, biochimica ed ecologia degli antiparassitari”) e trent’anni di esperienza nello specifico mondo dei prodotti per la difesa delle piante. Che dire quindi? Una tale nomination da parte di Sabrina Giannini è ai miei occhi una medaglia fra le più preziose in una carriera intrapresa quasi involontariamente, più per passione che per necessità. Una carriera, sarà bene ricordarlo, in cui la mia credibilità si è consolidata studiando per la metà del tempo e scrivendo solo nell’altra metà. Cosa purtroppo divenuta ormai bizzarra, studiare prima di scrivere. Tanto bizzarra che a farla pare ormai siano rimasti pochi colleghi giornalisti, essendo spesso interessati i più a sparare “pezzoni choc” che a capirne il senso.

Io invece studio. Tanto. E mattoni pesanti: roba tipo i report periodici di EFSA, l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare, la quale dopo ponderose valutazioni ha stabilito contrariamente a IARC che glifosate non è da considerarsi un potenziale cancerogeno per l’Uomo, a dispetto delle millantate migliaia di pubblicazioni scientifiche che affermerebbero il contrario. Una conclusione positiva sull’erbicida cui sono giunte anche l’Agenzia europea per la chimica (ECHA), l’Istituto federale tedesco per la valutazione dei rischi (BFR), le autorità svizzere (FSVO) e francesi (ANSES), ma anche le statunitensi Environmental Protection agency (EPA) e National Toxicology Program (NTP). A queste si sono aggiunte le Autorità sanitarie canadesi (Health Canada), quelle australiane (APVMA), neozelandesi (Environmental Protection Authority), brasiliane (ANVISA), giapponesi (Food Safety Commission of Japan) e perfino coreane (Rural Development Administration). Non mancano infine all’appello nemmeno le conclusioni contrarie a quelle della IARC prodotte dal lavoro congiunto di scienziati FAO e OMS. Nemmeno per l’Organizzazione mondiale della Sanità in quanto tale, infatti, glifosate sarebbe un “probabile cancerogeno”. Già, l’OMS: quella di cui IARC è solo una costola. (Rif. bibliografici da 1 a 11)

[nda: IARC è IARC. Non è l’OMS, come spesso i giornalisti generalisti hanno erroneamente riportato, talvolta giocando pure sull’equivoco].

Una IARC che spende circa il 90% del suo budget per fare cose meravigliose, come progetti globali, indagini e via discorrendo. Una IARC di cui, a sua volta, è costola nella costola quel gruppo che a Lione produce monografie sulle molecole, tipo appunto glifosate, classificandole in base al concetto di “pericolo potenziale intrinseco” e non di “rischio reale per l’uomo”, come invece fanno tutte le autorità sopra riportate. Non a caso nel gruppo di “probabili cancerogeni” della IARC insieme a glifosate ci sono pure l’acqua calda sopra i 65°C e le bistecche, tanto per dire. Le salsicce e le bevande alcoliche no: quelle sono nel gruppo superiore. Quel gruppo 1 dei “sicuramente cancerogeni” in cui al fianco di benzene, amianto e radiazioni ionizzanti si trovano per esempio le carni lavorate, gli insaccati per dirla semplice, nonché quel bicchier di vino di cui è difficile privarsi durante una buona cena sebbene contenga alcol, un sicuramente cancerogeno anch’esso. Quindi, prendendo ottusamente per oro colato tali classificazioni dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, un tagliere di salumi misti, accompagnato da un paio di bicchieri di rosso, sarebbe da considerare molto più cancerogeno e pericoloso di glifosate, specialmente se accompagnato da un ricco cesto di gnocco fritto. Ognuno tragga quindi le proprie conclusioni circa i pesi e le misure che andrebbero adottati parlando di cancro e malattie altrettanto terribili.

In sostanza, per come è stato concepito e strutturato, il sistema di classificazione per gruppi adottato dalla IARC è del tutto inutile sia per emettere sentenze in tribunale, sia per elaborare una stima dei rischi per l’Uomo. Per realizzare questa vi è infatti bisogno di ben altro che le monografie IARC, le quali a tossicologi, epidemiologi e valutatori dei rischi servono più o meno quanto dei doposci a un subacqueo. Quindi, Giannini, suvvia: va bene che risulta laureata in psicologia e di chimica e tossicologia ha diritto di essere digiuna – e La perdono, perché tutti siamo ignoranti a seconda del tema trattato – ma almeno le basi Le sappia se vuole discutere di temi per i quali, altri sì, sono riconosciuti fra le persone più ferrate e scientificamente preparate, specialmente su glifosate.

Più che un lavoro, il mio, è infatti una scomoda scelta di vita controcorrente, visto l’andazzo anti scientifico che sta ammorbando diversi settori della vita, agricoltura in primis. Non sarò infatti epidemiologo – ha ragione Giannini – ma per competenze, mestiere e passione studio ciò che gli epidemiologi producono e poi do loro voce. Anche perché a differenza di molti commentatori del web, io sono perfettamente in grado di capirlo ciò che essi producono. Un dettaglio che in un mondo normale sarebbe tutto tranne che trascurabile, ma che nella dimensione presente evapora spesso fra sterili contumelie e commenti cretini del tipo “Se ti piace glifosate allora bevitelo!”. Ovvero uno dei più efficaci spartiacque fra esseri pensanti e minus habentens da tastiera i quali, pur utilizzandoli diffusamente, mai si berrebbero prodotti per la cura della casa o della persona, come saponi, candeggina, sturalavandini e deodoranti per le ascelle. E meno male, perché la maggior parte di questi sono tossicologicamente molto peggio di glifosate.

Comprendo quindi bene che nel mainstream del tutto è tossico, tutto è veleno, le multinazionali ci ammazzano per il profitto, quelli come me o come l’amico Marco Pasti diano soverchio fastidio. Lo so, è dura vedere disturbare il coro del “Moriremo tutti!1!!1!! (ma il biologico ci salverà)” da qualche tizio che spieghi coi numeri che cibo e acque sono sicuri. Uno che spieghi, sempre con dati ufficiali, che la tossicologia non è dalla parte degli allarmisti di professione, ma dalla propria, umile divulgatore tecnico-scientifico di settore. Uno che grazie alle competenze specifiche che si è costruito nel tempo, si diletta a smontare articoli, servizi e pubblicazioni pseudo-scientifiche che vengano rilanciate in tv o sul web, magari con la tipica arroganza di chi nulla capisce delle differenze che intercorrono fra test in vitro, in vivo e studi di coorte. L’importante, ormai, pare sia infatti divenuto condividere compulsivamente link ad articoli di cui forse si è letto solo il titolo: ieri contro gli OGM, oggi contro glifosate, domani contro i neonicotinoidi e dopodomani sui fungicidi usati per produrre il Prosecco. E quindi via, si riparte. Quelle pubblicazioni le si analizza per ciò che c’è e anche per ciò che manca. Poi, e solo poi, si scrive, provocando come massima reazione le accuse di non essere attendibili. Perché? Perché sui giornali dove si pubblicano i propri pezzi ci sono i banner delle multinazionali della chimica agraria. E chi vorrebbero ci fosse su siti che parlano di fitoiatria? Produttori di dadi per il brodo? Del resto, testate che non ricevono contributi pubblici e che non possono contare nemmeno su un canone come quello Rai, in qualche modo gli stipendi li devono pur pagare. E meno male che lo fanno, altrimenti non esisterebbe più alcuna fonte riequilibratrice della disinformazione che sempre più spesso viene diffusa sull’agricoltura dalla stampa generalista. Una stampa generalista che spesso rincorre, lei sì, i propri economici interessi legati allo share e ai propri profumati contratti annuali, salvo spacciarsi per paladina dei cittadini agitando streghe che il più delle volte vengono messe al rogo del tutto ingiustamente.

Purtroppo per siffatti soggetti, però, tali commenti sui banner delle “odiate multinazionali” pare siano il massimo che sanno produrre, perché nulla emerge dalle loro contumelie che si cali nel metodo e nel merito di ciò che è stato scritto, confinandosi autonomamente nell’ormai spassoso “ki ti paga?”.

Trovo quindi surreale essere attaccato da una persona che contesta me, stimato/odiato professionista del settore, facendo sterile sarcasmo sul mio non-essere epidemiologo, salvo scrivere da laureata in psicologia un libro su (cito da recensione su Facebook, debitamente catturata a schermo): “Dall’inganno delle «dosi accettabili» allo scandalo dei fanghi di depurazione, dai pesticidi che fanno strage di api ai semi ibridi che minacciano la biodiversità”.

Quindi pare semmai Lei, cara Giannini, a porsi in contrasto con quanto comunemente accettato dalla tossicologia mondiale, quella che appunto ha fissato quelle “dosi accettabili” da Lei incredibilmente definite ingannevoli. Poi, non contenta, cavalca pure il frusto tormentone dei pesticidi che farebbero strage di api, tema sul quale anche in questo caso mi chiedo che competenze Lei abbia per stabilire cosa ci sia di vero e cosa no, perché perfino alcune associazioni ambientaliste come Sierra Club stanno attenuando i toni sull’argomento. E a tal proposito, Giannini, Le do io qualche notizia che agli occhi di chiunque apparirebbe ghiotta: gli usi di “pesticidi” in Italia si sono ridotti di quasi un terzo negli ultimi trent’anni, migliorando anche in modo fenomenale le classificazioni tossicologiche rispetto al passato grazie a un solerte lavoro sia di ricerca (ah… le odiate multinazionali…), sia di normativa (ah… le odiate Autorità europee…). Grazie infatti al processo continuo di Revisione Europea sette molecole su dieci impiegate fino ai primi Anni 90 oggi non vengono usate più. I soli insetticidi sono dimezzati in tonnellate dal 2000 a oggi, continuando nonostante ciò a essere additati come fonte di molteplici Armageddon sanitari e ambientali. Infine, giusto per dare una corretta dimensione alla fola dell’”abuso di pesticidi”, per dare a Lei il cibo che consuma in un anno, tutti gli agricoltori italiani messi insieme, da Bressanone a Ragusa, impiegano un solo chilo di sostanze attive. Si faccia quindi una manata di conti su quante sostanze adopera Lei all’anno, a vario titolo, per tenere in ordine se stessa e la Sua casa, poi magari ne riparliamo. Io l’ho fatto questo conto e sono rimasto basito.

Visti tutti questi trend al miglioramento nel settore dei prodotti fitosanitari, vi è quindi da chiedersi le reali ragioni per cui trasmissioni come la Sua insistano nel presentare tali prodotti come fosse un’emergenza dirompente, quando invece non lo sono affatto, venendo comunque presentati come pericoli incombenti oggi in chiave acque, domani sulla salute, dopodomani sulle api. Api che continuano peraltro ad avere tutti i loro problemi nonostante il bando dei neonicotinoidi. Quindi prima o poi qualche domanda ce la si dovrà porre. E qualche responsabilità andrà finalmente rinfacciata pure a chi abbia contribuito con le proprie comunicazioni fuorvianti ad allontanare l’attenzione dalle vere cause del problema.

Pur comprendendo bene le scelte editoriali della Sua trasmissione e di quelle similari, cara Giannini, non posso quindi tacere in caso venga creata inquietudine tramite delle non-notizie come quelle dei residui, legali e sicuri, di glifosate nella pasta. Il tutto, a danno proprio del cittadino comune, per lo più incapace di discernere il falso dal vero e le infinite sfumature intermedie. Io, per scrivere il mio di libro, “Orco Glifosato”, mi sono preso due anni di tempo. Oltre alla monografia IARC – e agli studi su cui si basa – mi sono studiato più di mille e 500 pagine di report, ricerche, dossier, nonché le posizioni ufficiali di tutte le Autorità sopra riportate (bugia: quella giapponese che ho trovato era scritta in ideogrammi e mi sono arreso, limitandomi all’abstract in inglese). Mi sono pure confrontato con qualche tossicologo di fama internazionale che opera da anni anche in seno all’OMS, soprattutto in tema “pesticidi”. Infine, mi sono dilettato ad approfondire le maleolenti ombre che gravano su quella monografia 112, visti gli strani insabbiamenti operati ai danni di studi favorevoli a glifosate, come pure le modifiche peggiorative dell’ultimo secondo apportate ai testi della monografia stessa. Modifiche rimaste inspiegate nonostante le richieste ufficiali di chiarimento, a dimostrazione che l’indipendenza è nulla senza la doverosa trasparenza. Per non parlare delle ingerenze nel gruppo di lavoro IARC di un consulente dello studio legale che per primo preparò la causa contro Monsanto. Consulente che, inspiegabilmente, riuscì a diventare Presidente proprio del gruppo di lavoro che doveva valutare glifosate. E questo per Lei sarebbe “il meglio dell’epidemiologia mondiale”? La invito seriamente a rivedere le Sue posizioni in tal senso, perché quella monografia è ormai acclarato essere un documento indegno di una struttura legata all’OMS. Un documento che andrebbe ritirato e rifatto da capo, magari senza intromissioni indebite da qualsivoglia parte.

Gli unici a trarre vantaggio da quella monografia sono stati infatti gli studi legali che hanno intrapreso contro Monsanto una serie infinita di “predatory litigation”, odiosa e spregiudicata involuzione delle ben più nobili class action dei primordi. Studi legali che in America possono diffondere sui media inserzioni pubblicitarie alla caccia di malati di tumore, promettendo indennizzi da favola se si uniscono all’azione legale. Poi vincono, incredibilmente. Vincono grazie proprio a quella monografia 112 e agli analfabeti funzionali che tali sentenze credono siano la prova che glifosate provochi il cancro, dimostrando in un colpo solo di capir nulla sia di glifosate, sia di processi americani, con tutti i danni che ne conseguono, economici e sociali.

Quando e se vorrà, Giannini, glieLe potrò quindi raccontare io amichevolmente tutte le summenzionate “zone d’ombra” in cui ha operato quel gruppetto di Lione, il quale di imbarazzi con la propria deprecabile monografia ne ha causati tanti, sia nella IARC, sia nell’OMS. Sa, credo ancora che un/a giornalista serio/a debba cercare la notizia dove c’è, anziché costruirla dove non c’è. Ma io, come detto, sono un giornalista specializzato, tecnico, scientifico. Uno che parte dai dati e che ai dati sempre è chiamato a tornare. Non vengo infatti misurato né pagato in base ai click o allo share che produco, bensì in base ai contenuti di ciò che pubblico. Contenuti ovviamente sempre verificabili ed eventualmente smentibili se per caso si rivelassero erronei. E io non ho mai dovuto correggere un mio articolo né tanto meno spubblicarlo, nonostante i continui assalti portati sia agli articoli, sia alla mia persona.

Un divario operativo e metodologico che ritengo purtroppo incolmabile fra quelli come me e quelli che operano secondo le (il)logiche del contatto col grande pubblico. E forse è proprio per questo che le cose vanno sempre peggio su molteplici fronti.

Quindi, cara Giannini, continui pure a produrre le Sue puntate sui millemila veleni che dall’agricoltura giungerebbero nei piatti degli italiani. Io la saluto cordialmente con il seguente grafico: è la raffigurazione dei morti globali per carestia, media per decennio, su centomila abitanti. Guardi gli Anni 60, quelli in cui entrambi siamo nati. Fatto? Ecco, oggi le morti per carestie sono calate del 99% rispetto a quando noi due emettevamo i primi vagiti.

Un dato di cui possono andare orgogliosi proprio quelli come me, come Marco Pasti, come i colleghi di SeTA e come tutti coloro che sanno bene a cosa vada attribuito un tale miracolo agroalimentare. I giornalisti come Lei, Giannini, pare siano invece troppo occupati ad attaccare noi e il nostro lavoro per rendersi conto che se siete nati e siete vissuti nell’agio dei tre pasti al giorno è soprattutto per merito di quelli come me, come noi, i quali un grave errore l’hanno sì commesso: dare da mangiare a tutti, seguendo affannosamente la crescente domanda di cibo, senza imporre mai la preghierina prima dei pasti. Al Signore? No, io sono pure ateo. A giganti come Norman Borlaug, Nazareno Strampelli, Fritz Haber e Carl Bosch e a tutto l’esercito di scienziati, tecnici e agricoltori che quel cibo hanno reso possibile e che oggi producono e consegnano a dispetto degli insulti e delle demonizzazioni che ricevono. Cioè quelli che invece di essere ringraziati per quello che fanno vengono dipinti da trasmissioni come la Sua quasi fossero somministratori a tradimento di veleni. Un’ingiustizia di una gravità immensa che merita documentate contro argomentazioni. Contro argomentazioni che ovviamente non troveranno mai spazio in prime-time. Si dice così no? Sa, Giannini, oltre a non essere un epidemiologo in senso stretto capisco poco anche di terminologia televisiva…

Riferimenti bibliografici

1) Efsa:

http://www.Efsa.europa.eu/sites/default/files/scientific_output/files/main_documents/4302.pdf

2) Efsa:

http://www.Efsa.europa.eu/sites/default/files/corporate_publications/files/Efsaexplainsglyphosate151112en_1.pdf

3) Jose V. Tarazona et Al. (2017): “Glyphosate toxicity and carcinogenicity: a review of the scientific basis of the European Union assessment and its differences with IARC”. Arch Toxicol. 2017; 91(8): 2723–2743. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5515989/

4) Bfr: http://www.bfr.bund.de/cm/349/does–glyphosate–cause–cancer.pdf

5) EPA: https://www.federalregister.gov/documents/2013/05/01/2013–10316/glyphosate–pesticide–tolerances e EPA’s Office of Pesticide Programs September 12, 2016 “Glyphosate Issue Paper: Evaluation of Carcinogenic Potential”

6) Oms e Fao: http://www.who.int/foodsafety/jmprsummary2016.pdf?ua=1

7) Echa: https://echa.europa.eu/–/glyphosate–not–classified–as–a–carcinogen–by–echa.

8) Posizione Autorità australiane: Australian Pesticides and Veterinary Medicines Authority: “Regulatory position: consideration of the evidence for a formal reconsideration of glyphosate”. Settembre 2016

9) Posizione Autorità neozelandesi: Review of the Evidence Relating to Glyphosate and Carcinogenicity. Environmental Protection Authority, agosto 2016

10) Posizione delle Autorità canadesi (Pest Management Regulatory Agency): Re-evaluation Decision RVD2017-01, Glyphosate. 28 April 2017

11) Posizione Ufficio federale dell’Agricoltura elvetico rispetto a glifosate: report del 4 ottobre 2017

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REPORT, L’ABBATE, MIPAAF: TRACCIABILITA LATTE SI RISOLVERA CON DECRETI ATTUATIVI DEL DL EMERGENZE AGRICOLTURA

“Con il decreto attuativo previsto dal Dl Emergenze Agricole tutto il latte sarà tracciato.

Ci battiamo da sempre, infatti, per introdurre norme che garantiscano trasparenza nei passaggi di filiera e tracciabilità dei prodotti, non solo per la qualità e la sicurezza alimentare ma anche per contrastare ogni forma di concorrenza sleale e di contraffazione. Ebbene il provvedimento va proprio in questa direzione, attraverso il monitoraggio della produzione di latte vaccino, ovino e caprino nonché dell’acquisto di prodotti lattiero caseari semilavorati importati dall’estero”.

Così, in una nota inviata alla redazione di AGRICOLAE, il sottosegretario Mipaaf Giuseppe L’Abbate in merito all’anticipazione di AGRICOLAE della puntata di domani di REPORT sulla tracciabilità dei prodotti e sulle quote latte. “Si introduce infatti l’obbligo per le aziende che producono prodotti lattiero caseari contenenti tutte le tipologie di latte di registrare mensilmente nella banca dati SIAN (Sistema Informativo Agricolo Nazionale) i quantitativi di ciascun prodotto fabbricato, di ciascun prodotto ceduto e le relative giacenze di magazzino. Chi non rispetterà questi obblighi sarà soggetto a sanzione”, prosegue.

“Con tale sistema finalmente i produttori potranno pianificare la propria offerta, scongiurando così storture nella dinamica di determinazione del prezzo e speculazioni che penalizzano chi produce il latte riducendo il prezzo in maniera da non remunerare neanche i costi di produzione. Con l’entrata in vigore del decreto attuativo pertanto il problema tracciabilità sarà risolto. Siamo, inoltre, certi che l’iter di approvazione sarà abbastanza spedito poi anche in conferenza Stato-Regioni poiché è facile immaginare che nessuno sia contrario a garantire la massima trasparenza alla filiera e ai consumatori”, conclude.




REPORT PUBBLICA LISTA SEGRETA MINISTERO SALUTE SU AZIENDE CHE USANO LATTE STRANIERO. LA STESSA PER CUI AGCM BOCCIO’ RICHIESTA COLDIRETTI. E SU QUOTE LATTE COME LA MAGISTRATURA INCHIODA LA POLITICA MA LA MUSICA NON CAMBIA

Coldiretti chiede al ministero della Salute i nomi delle aziende che importano latte dall’estero. Il Garante ‘boccia’ la richiesta e replica che questa non è possibile perché “strutture territoriali di Coldiretti sono titolari di partecipazioni in importanti imprese nazionali attivi produttivamente sia in Italia che all’estero” e perché “negli organi direttivi della Coldiretti siedono persone che hanno interessi diretti in imprese del settore lattiero caseario”. Era giugno. E ora a pubblicare la lista – che le imprese mandano alle ASL e le ASL mandano al ministero della Salute, è Report.

“Chi e perché ha messo un segreto sulle aziende italiane produttrici di formaggio che utilizzano latte straniero? Report entra in possesso in esclusiva della lista secretata per anni dal ministero della Salute. Dalle mozzarelle, alle dop, ai formaggi “similari”: vecchie e nuove incognite affliggono allevatori e produttori. L’etichetta indica sempre l’origine del latte, ma quanti formaggi proposti sul mercato come italiani, sono realmente prodotti con materia prima del nostro paese?”.

E’ quanto affronta Report nella puntata in onda lunedì 25 novembre dalle ore 22 in poi.

Poi il punto sulle quote latte. Report spiega come “dopo oltre trent’anni la magistratura inchioda la politica alle proprie responsabilità sulle quote latte. Ma la musica, in uno dei settori chiave dell’economia del nostro paese, non è cambiata.

Era stato scritto:

AGCM ‘BOCCIA’ LA COLDIRETTI: “NON PUBBLICA I BILANCI E I SUOI DIRIGENTI HANNO INTERESSI DIRETTI IN IMPRESE PRIVATE”. IL DOCUMENTO

IL MINISTERO DELLA SALUTE SCRIVE AL GARANTE: NON E’ SOLO UN SINDACATO AGRICOLO MA ANCHE AZIONISTA DI NUMEROSE AZIENDE PRIVATE E COOPERATIVE. QUINDI AGISCE DA CONCORRENTE

L’Antitrust ‘boccia’ la Coldiretti. E dice: “dato che l‘organizzazione non fornisce i propri bilanci contabili non è possibile avere un quadro informativo sulle sue partecipazioni societarie”. Poi affonda: “strutture territoriali di Coldiretti sono titolari di partecipazioni in importanti imprese nazionali attivi produttivamente sia in Italia che all’estero“. E infine: “negli organi direttivi della Coldiretti siedono persone che hanno interessi diretti in imprese del settore lattiero caseario”.

E’ quanto si legge nel bollettino dell’Autorità per la concorrenza del 24 giugno che alleghiamo in formato PDF qui di seguito e a pié di pagina: BOLLETTINO AGCM 25-19. Tutto è nato da una richiesta della stessa Coldiretti che è tornata indietro come un boomerang diventando un vero e proprio autogol per l’organizzazione guidata da Prandini e Gesmundo.

Nel 2017 infatti l’organizzazione che aveva già dato vita alla ‘febbre gialla’, manifesto con il quale voleva diventare l’unica organizzazione agricola nazionale, aveva chiesto al ministero della Salute – tra l’aprile e l’ottobre 2017, tramite un’istanza di accesso civico ai sensi dell’art. 5 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 – la comunicazione dei dati sul latte e sui prodotti lattiero caseari per sapere le entrate, le uscite e i depositi delle aziende italiane del settore.

Al ‘niet’ del ministero allora guidato da Beatrice Lorenzin segue l’istanza da parte della Coldiretti al Tar prima (che rigetta con sentenza 2994 del 16 marzo 2018) e ricorso al Consiglio di Stato poi.

Quest’ultimo stabilisce, con sentenza n. 1546 del 6 marzo 2019, “l’obbligo dell’Amministrazione intimata di dare corso, senza alcun indugio, alla seconda domanda di accesso civico dell’Associazione appellante, previa attivazione e conclusione, nei termini di legge, della procedura di confronto con i potenziali controinteressati, i quali, in relazione alla specificità del caso, potranno essere interpellati preliminarmente in via generale secondo modalità telematiche”. ‘L’Amministrazione potrà, se del caso, – si legge ancora nel bollettino Agcm – tenere conto (mediante il parziale oscuramento dei dati) solo di eventuali specifiche ragioni di riservatezza dei controinteressati’ (para. 21)”.

Ed ecco l’autogol: al fine di dare seguito alla pronuncia citata, in parallelo allo svolgimento della procedura di confronto con i soggetti controinteressati, il Ministero ha chiesto all’Autorità “se la diffusione dei dati richiesti dalla Coldiretti possa compromettere la concorrenza sul mercato oltreché la credibilità e la produttività delle aziende, tenuto conto che tali dati hanno un ruolo fondamentale nella strategia aziendale e che la loro diffusione ad aziende concorrenti potrebbe essere gravemente lesiva degli interessi economici e commerciali, considerato pure che la Coldiretti non è solo un sindacato agricolo, rappresentante di coltivatori diretti, imprese e società agricole, cooperative di trasformazione e consorzi di imprese, ma è anche azionista, con propri rappresentanti nei consigli di amministrazione, di numerose aziende di trasformazione private e cooperative ed agisce quindi anche da concorrente delle aziende delle quali chiede dati e informazioni riservate e che, pertanto, esiste il concreto rischio che le informazioni diffuse [dal Ministero] vengano utilizzate in modo strumentale, distorto o parziale da parte di uno o più concorrenti”.

L’Autorità, nella sua adunanza del 5 giugno 2019, rende il seguente parere:

“Con riferimento alla possibilità di effetti anticoncorrenziali derivanti dalla comunicazione dei Dati a Coldiretti, occorre considerare, in primo luogo, come quelle richieste siano informazioni commerciali sensibili, non aggregate e pertanto tali da consentire a chi ne entri in possesso di veder ridotte in maniera significativa le naturali incertezze inerenti il confronto competitivo tra imprese; ciò in quanto il loro contenuto attiene, tra l’altro, a fonti di approvvigionamento e relative dipendenze operative, attività produttive e loro programmazione, con la possibilità di desumerne anche le stesse capacità installate di un determinato operatore. Tenuto conto delle caratteristiche del settore economico di riferimento e della predetta natura dei Dati, in linea con una consolidata giurisprudenza di riferimento (cfr., ex multis, Corte di Giustizia UE, C-8/08, sent. 4 giugno 2009, T-Mobile Netherlands), appare dunque certa una rilevanza degli stessi in una prospettiva antitrust nel caso in cui questi fossero scambiati tra operatori concorrenti. In ragione della natura e conseguente rilevanza concorrenziale dei Dati, va in secondo luogo considerato se un pregiudizio per la concorrenza possa discendere dalla loro disponibilità da parte di Coldiretti, in ragione delle caratteristiche soggettive e operative di tale organizzazione.

A tale proposito, l’Autorità rileva in via preliminare come, a causa dell’indisponibilità di bilanci contabili pubblici relativi a Coldiretti (intesa quale sistema di cui fanno parte sia la confederazione nazionale che le varie diramazioni locali), non sia possibile avere un quadro informativo sulle sue partecipazioni societarie, e più in generale le sue attività economiche rilevanti.

Nondimeno, risulta da fonti aperte come quantomeno strutture territoriali di Coldiretti – in specie, una federazione provinciale – siano attualmente titolari di partecipazioni in importanti imprese nazionali operanti nel settore lattiero-caseario, e ciò per di più in partnership con primari operatori del medesimo settore che sono attivi produttivamente sia in Italia che all’estero.

Risulta altresì che negli organi direttivi e rappresentativi di Coldiretti, sia a livello di confederazione nazionale che di singole federazioni locali, siedano persone fisiche detentrici di interessi diretti in imprese del settore lattiero-caseario.

Infine, è notorio come alla Coldiretti siano associate un numero elevato di imprese attive nel settore lattiero-caseario, rispetto alle quali l’organizzazione, oltre a svolgere attività di rappresentanza e difesa degli interessi comuni, fornisce servizi di varia natura, comprese consulenze aziendali, per i quali la disponibilità dei Dati potrebbe costituire sia una primaria risorsa operativa che un elemento di differenziazione rispetto ai servizi eventualmente resi da imprese concorrenti. In assenza di specifiche, rigorose, predeterminate e trasparenti misure volte a circoscrivere e tracciare l’impiego da parte di Coldiretti dei Dati al fine di garantire che questi non siano impiegati da essa in quanto impresa ovvero interlocutrice e/o facilitatrice di contatti tra imprese terze (siano o meno queste sue associate), non si può pertanto escludere che dalla trasmissione a tale organizzazione dei Dati possano derivare pregiudizi alle corrette dinamiche di mercato. A fronte degli elementi qui sopra rilevati, con riferimento alla richiesta di parere formulata dal Ministero, l’Autorità sottolinea che il Consiglio di Stato, nella citata sentenza n. 1546/2019, ha chiaramente richiamato l’obbligo per l’Amministrazione di avviare, al ricevimento della domanda,il procedimento in contraddittorio con gli eventuali controinteressati al fine di tutelare i loro diritti. Qualora, nel contesto di tale procedura d’interpello, i controinteressati sollevassero la potenziale rilevanza sotto il profilo concorrenziale, nei termini sopra indicati, della comunicazione dei Dati a Coldiretti, siffatta obiezione dovrebbe essere tenuta in considerazione quale specifica ragione di riservatezza, al fine di evitare ogni pregiudizio alle condizioni concorrenziali del settore di riferimento.

Qui di seguito AGRICOLAE pubblica il bollettino AGCM

BOLLETTINO AGCM 25-19