ELEZIONI, PER STAMPA ESTERA AVRANNO CONSEGUENZE STORICHE SU UNIONE EUROPEA

A due settimane dal voto del 4 marzo, la stampa estera segue sempre più da vicino la campagna elettorale italiana. Probabilmente perché la percezione diffusa è che “le elezioni italiane avranno conseguenze storiche per l’Unione europea” (Huffington Post Deutschland, 13 febbraio).
L’imprevedibilità della tornata elettorale, tra l’ipotesi di un Parlamento in stallo e gli eventuali accordi post-voto, l’alto tasso di astensionismo e lo spettro, per Bruxelles, di un patto Lega-Cinque Stelle; la marcia antifascista del 10 febbraio a Macerata, l’ascesa dei neofascismi e lo sdoganamento della retorica anti-immigrati; lo scandalo Rimborsopoli che ha investito il partito di Di Maio; il ruolo di Berlusconi e le difficoltà di Renzi: sono questi i temi principali che hanno occupato nei giorni scorsi le pagine dei giornali internazionali.

Un dato comune a molte testate è la fatica di decifrare le evoluzioni del dopo voto alla luce di una legge elettorale le cui “farraginosità e compromessi – scrive il New York Review of Books (14 febbraio) – sarebbero a stento credibili se gli italiani non fossero abituati a questo genere di cose”. A causa della nuova legge, “introdotta in parte per ridurre le chance dei Cinque Stelle di ottenere una maggioranza netta incoraggiando le coalizioni pre-voto” (Reuters, 16 febbraio), tutta la politica italiana si trova in seria difficoltà e l’unico esito certo, secondo la stampa estera, sembra essere l’ingovernabilità. Anche se, in base ai sondaggi, la coalizione di Berlusconi pare essere quella più vicina alla vittoria, si tratta di una lettura “semplicistica”, scrive l’Independent (9 febbraio), perché le sue chance di ottenere una maggioranza netta dipendono “non soltanto dai voti complessivi ma anche dai risultati in decine di collegi uninominali marginali, soprattutto al Sud”. A pesare su questa incertezza sono, in particolare, l’elevata percentuale di indecisi e l’astensionismo, che gli analisti stranieri prevedono molto alto, soprattutto tra i giovani e nel Mezzogiorno.

Tra le testate che considerano probabile una situazione di stallo all’indomani delle elezioni è il Wall Street Journal (16 febbraio), secondo cui sono molte le chance di un ritorno alle urne entro sei mesi.

Di diverso avviso la Reuters, che titola: “L’Italia verso un accordo post-voto. Ma non ditelo agli elettori”. Secondo l’agenzia tutti i leader di partito, nessuno escluso, “metteranno da parte i lunghi coltelli e cominceranno a dialogare”, se non altro perché gli italiani “hanno sempre evitato di tornare alle urne, e perché il presidente Mattarella pare sia contrario a nuove elezioni”. A tal proposito la Reuters riporta le dichiarazioni rilasciate alla testata da Rosario Crocetta, secondo cui “Renzi spera di stringere un accordo con Berlusconi dopo il voto”.

L’“imprevedibilità” e i timori di instabilità che serpeggiano nel resto d’Europa hanno spinto diversi giornali a dedicare ampie analisi alla situazione italiana. Talvolta consegnando un quadro poco lusinghiero del presente e del prossimo futuro.
Tra questi sicuramente il già citato New York Review of Books, che in un articolo dal titolo eloquente (“Chiunque vinca non governerà”) vede in un “sistema politico disfunzionale e bloccato” la radice di tanti problemi dell’Italia. La tendenza tutta italiana “ad avviare un processo di cambiamento per poi tirarsi indietro” sarebbe testimoniata dall’aver sabotato il tentativo di Renzi di realizzare “la più radicale riforma costituzionale dal dopoguerra”. Per questo dopo le dimissioni del “dinamico e determinato” ex premier, il “paese è stato nuovamente consegnato a una figura grigia e accomodante come Paolo Gentiloni”. Ciò che più sconcerta è “l’assoluta mancanza, in questa campagna elettorale, di visione e di dinamismo”. Ma il New York Review of Books, come diverse altre testate, punta il dito anche contro l’Unione europea, che non “ha fatto granché per aiutare l’Italia a gestire il flusso di migranti provenienti dalla Libia”. L’Ue sembra confermare la percezione degli italiani, secondo cui “è vano per il loro paese provare a essere protagonista in un mondo globalizzato”. In questa situazione Berlusconi, “paradossalmente, visti i suoi risultati da premier e la sua ineleggibilità, si ricicla come una figura affidabile”. Ancor più sorprendente, per il New York Review of Books, è che Jean-Claude Juncker abbia accettato di discutere con lui “dei mali dell’Italia e delle relazioni con l’Europa”. Forse, dopo la Brexit, agli altri paesi europei “sta bene un’Italia che si barcamena senza agitare troppo le acque”.

BERLUSCONILa stessa “sorpresa” la esprime Politico in un profilo (13 febbraio) di Berlusconi: “I partner europei e gli osservatori internazionali sembrano aver sviluppato una nuova simpatia per l’ex premier”, perché (soprattutto per gli investitori, che detengono il 40% del debito italiano) “lui è l’unico candidato a incarnare le calme, dolci acque dello status quo”.
Anche la Süddeutsche Zeitung (15 febbraio) ipotizza che, con un elettorato insoddisfatto dalla “terza via intrapresa dai socialdemocratici italiani”, Berlusconi possa realizzare “il suo vecchio sogno di una grande coalizione di tutte le forze moderate europeiste, di destra e di sinistra”. Del resto le “larghe intese” (in italiano nel testo) piacciono a Bruxelles, a Berlino e ai mercati finanziari. “Altamente tossica”, secondo il quotidiano tedesco, sarebbe invece una alleanza tra Lega e Cinque Stelle, che avrebbe i numeri per ottenere la maggioranza assoluta. “Per fortuna – prevede la testata – è molto improbabile”.
La rilevanza storica di queste elezioni è messa in luce anche da Le Monde, secondo il quale il 4 marzo “sarà un giorno fatidico per l’Europa” (14 febbraio). Come scrive l’editorialista Sylvie Kauffmann – la quale, per inciso, vede in Emma Bonino l’incarnazione dei più alti ideali europei di libertà, democrazia e giustizia –, nessun paese Ue sembra oggi immune “dall’implosione dei sistemi politici tradizionali”: le votazioni italiane sono solo le ultime in ordine di tempo “al botteghino dei film dell’orrore proiettati finora, dopo la Brexit e le elezioni in Francia, in Austria, in Germania e in Catalogna”. Lo scenario italiano è simile agli altri: “sfiducia dell’elettorato verso istituzioni e partiti tradizionali; crisi migratoria; ascesa dell’estrema destra e dei Cinque Stelle; rifiuto di quell’Europa di cui pure l’Italia è stata uno dei più strenui sostenitori”.

Oltre alle congetture sul futuro dopo il voto, secondo cui le due ipotesi Gentiloni bis o larghe intese sembrano quelle più gradite a Bruxelles e Berlino, la stampa estera continua a mettere in evidenza la tracimazione della retorica xenofoba e anti-immigrati nel dibattito politico ufficiale, partendo questa volta dalla cronaca delle proteste di Macerata del 10 febbraio e delle dichiarazioni di Giorgia Meloni sugli sconti agli arabi voluti dal Museo egizio di Torino. “Il populismo xenofobo raggiunge anche i musei italiani”, titola senza mezzi termini El País, tra gli altri. Due giorni prima il maggiore quotidiano spagnolo scriveva: “Matteo Salvini ci è riuscito”. Nonostante il calo degli sbarchi, e grazie alla sparatoria di Macerata, il leader della Lega “è riuscito a scatenare una campagna xenofoba pienamente calcolata dal centrodestra”. Non risparmia critiche la testata spagnola nemmeno all’iniziale timidezza di Renzi nelle dichiarazioni pubbliche sull’accaduto, dovuta al fatto che “è accerchiato dall’ondata populista”. Né, rileva El País, nessun partito ha mostrato interesse verso gli stranieri feriti. In realtà, come fa notare sia Roberto Saviano, in un duro commento sul Guardian (“Il fascismo è tornato. E sta paralizzando l’Italia”), sia la rivista della sinistra radicale americana Jacobin, ad andare a trovare le vittime di Traini in ospedale sono stati alcuni esponenti del “piccolo partito di sinistra Potere al popolo”.
Quanto alla marcia di Macerata, la Reuters rileva che, quale “indizio del sentimento anti-immigrazione che va diffondendosi in Italia, nessun leader dei grossi partiti ha partecipato”.
Nel clima di tensione che continua a respirarsi nel paese, non sono poche le testate che pongono l’accento sul ritorno di tendenze neofasciste in Italia.
Peraltro, oltre al già citato Guardian, il Christian Science Monitor (9 febbraio) scrive che “negli ultimi anni in Italia sono cresciuti il razzismo e l’antisemitismo” e che “i reati motivati dall’odio razziale o religioso sono più che decuplicati, dai 71 del 2012 agli 803 del 2016, stando ai dati delle forze dell’ordine”. Secondo la testata statunitense, “ in tema di immigrazione l’Italia è il paese meno informato al mondo, e la popolazione è convinta che il numero di immigrati presenti nel paese sia tre volte superiore rispetto al dato reale”. Paradossale sembra a tanta parte della stampa estera questa percezione, anche alla luce del fatto che “stando a Frontex, la rotta del Mediterraneo ha visto un calo degli arrivi pari a un terzo” (Al Jazeera tra gli altri).
La crescita di formazioni come Casa Pound e Forza Nuova va di pari passo con la campagna elettorale di Fratelli d’Italia e della sua leader Giorgia Meloni, cui la scorsa settimana hanno dedicato attenzione, tra gli altri, sia il Financial Times sia il Guardian. Il Ft titola: “La Meloni riporta l’estrema destra alle sue origini degli anni Trenta”, rispetto alla svolta impressa da Gianfranco Fini. La novità di oggi, scrive il quotidiano londinese, “è la diffusa disaffezione verso i partiti e le istituzioni tradizionali, che in passato hanno funzionato da argine contro gli estremismi”. Non troppo diverso nei toni il titolo del Guardian: “Giorgia Meloni, l’estrema destra dal volto amico”. Per quanto “il suo linguaggio non sia così esplicito come quello di Salvini”, entrambi condividono la stessa posizione sugli stranieri; ma la leader di Fratelli d’Italia sta allargando la base del suo partito, anche perché “riesce ad attrarre consenso al Centro e al Sud, dove Salvini fa fatica a imporsi”. Per questo il giornale britannico considera l’ipotesi di un premierato Meloni, per quanto remota, “non così assurda come si potrebbe pensare”, in un contesto imprevedibile come questo. Anche Bloomberg mette in evidenza la buona performance di Giorgia Meloni, grazie soprattutto all’uso sapiente di Facebook e del ruolo di mediatrice tra i due leader maschi (Salvini e Berlusconi).

DI MAIO M5S

Quanto al Movimento Cinque Stelle, tutti riconoscono che, pur essendo il primo partito in Italia, l’attuale sistema elettorale lo penalizza

Non poteva passare inosservata, sulla stampa estera, la Rimborsopoli che ha coinvolto il Movimento Cinque Stelle. Molte testate, tuttavia, sembrano dare rilievo soprattutto a due elementi: al fatto che, nonostante lo scandalo, il partito di Di Maio rimanga stabile al primo posto e al fatto che Renzi e Berlusconi “ne abbiano subito approfittato” (Telegraph e altri, 13 febbraio). Secondo diversi analisti l’unica vera insidia da cui devono guardarsi i pentastellati è l’astensionismo, che potrebbe penalizzarli molto. A proposito di Rimborsopoli, Le Monde (15 febbraio) scrive: “In sé, l’affare non ha nulla di così riprovevole. A livello legale, niente obbliga i deputati e i senatori del movimento a privarsi di una parte dello stipendio. Ciò detto, questi comportamenti intaccano quell’eccezionalità che il partito ha sempre rivendicato per sé, e potrebbero essere nocivi presso un elettorato molto affezionato all’idea di ridurre i ‘costi della politica’”.
Il Financial Times dedica poi un articolo alla proposta dell’economista dei Cinque Stelle Lorenzo Fioramonti (seguito con un certo interesse dalla testata inglese) di ristrutturare il debito italiano, e di altri paesi, “coinvolgendo la Banca centrale europea, la quale dovrebbe acquistare titoli dello Stato e poi, di fatto, cancellare il debito”. È probabile, tuttavia, “che questo genere di proposte infastidisca la Germania, i cui politici hanno spesso inveito contro l’ipotesi di salvataggio degli Stati spendaccioni dell’Europa meridionale”. Stando a Bloomberg, invece, dopo l’ascesa del suo partito grazie al consenso conquistato nel Meridione, Di Maio deve ora allargare la sua portata e convincere “il ricco Nord industriale e gli investitori stranieri che non butterà alle ortiche l’economia”. Il punto è che, in questo, il leader pentastellato non sembra essere appoggiato troppo dal resto del partito, secondo Bloomerg.

mACRON

L’ultimo incontro a Parigi, il 26 gennaio, tra Emmanuel Macron e il presidente argentino Mauricio Macri non ha avuto l’esito sperato

Quanto a Matteo Renzi e al centrosinistra, le valutazioni sono quelle di sempre, confermate da sondaggi che non registrano nessuna variazione di rilievo; così come non muta lo stupore della stampa estera per l’affanno in cui si ritrova il Pd nonostante le riforme, la ripresa economica e la gestione, giudicata positiva, dei flussi migratori. Per questo la Süddeutsche Zeitung (15 febbraio) scrive: “Sembrerà paradossale, ma i socialdemocratici rischiano di andare incontro a una sconfitta schiacciante, forse di proporzioni storiche”. Una sconfitta su cui peserà certamente anche la perdita “dell’ala sinistra”, ma che è da addebitarsi in ultima analisi alla stessa sindrome che ha colpito la sinistra in Germania e in Francia: “Per molti elettori la terza via appare una cattiva strada, perché troppo vicina al liberismo, alle grandi aziende e alle banche. Troppo realismo”.
“Renzi lotta per evitare una seconda debacle”, titola invece il Financial Times (16 febbraio). Come riporta il quotidiano, “Renzi e i suoi alleati sono convinti che non tutto sia perduto”: grazie a un’elevata percentuale di indecisi, “costoro ripongono le loro speranze in uno spostamento dell’ultimo minuto verso il Pd degli elettori moderati e del ceto medio, che sceglierebbero la stabilità e la competenza rispetto alle incertezze del centrodestra e dei Cinque Stelle”. Tuttavia, secondo il Ft, “Renzi potrebbe essere ormai troppo compromesso per una rimonta significativa”. Il meglio in cui possa sperare, si legge, è un altro leader – forse Gentiloni o Minniti – che guidi un’alleanza con Berlusconi dopo un voto non decisivo. In ogni caso “a Roma circolano diverse ipotesi sul destino di Renzi in caso di sconfitta”. Una di queste, riportata dal Financial Times, è che “formi un nuovo partito allineato a Macron”. A darlo quasi per certo è il Daily Express (13 febbraio), secondo cui, stando a fonti ben informate, “Renzi potrebbe sfilarsi da un’eventuale coalizione e optare per una partnership centrista con En Marche di Macron e i Ciudadanos spagnoli in vista delle elezioni per il Parlamento europeo del 2019”.