Grano duro, risoluzione Caramiello (M5S): su proroga istituzione Granaio Italia e ripristino CUN

Atto Camera

Risoluzione in commissione 7-00112

presentato da

CARAMIELLO Alessandro

testo di

Lunedì 5 giugno 2023, seduta n. 113

La XIII Commissione,

premesso che:

in Italia è sempre più a rischio la produzione agricola di grano duro, la più estesa per superficie nel Paese. Il prezzo continua, infatti, a sprofondare, con un crollo delle quotazioni, che si aggira sui 380 euro a tonnellata, mentre nello stesso periodo del 2022 era di 550 euro a tonnellata; ciò sta inevitabilmente preoccupando gli operatori del comparto tanto da paventare l’ipotesi di mettere a rischio la prossima stagione di semine;

la Puglia è la prima produttrice italiana di grano duro, con una media che negli ultimi anni si è attestata attorno ai 9,5 milioni di quintali annui, circa il 20 per cento dell’intera produzione nazionale; oggi, sulle piazze di Bari e Foggia le quotazioni del grano duro fino all’origine sono crollate del 25-26 per cento da inizio anno e del 14-15 per cento nell’ultimo mese;

allo stesso tempo aumentano i prezzi dei prodotti trasformati all’interno della filiera e le esportazioni sono cresciute al ritmo del +5 per cento nel 2022, per un valore totale di 3,7 miliardi di euro;

negli ultimi anni si era assistito a un miglioramento del tasso di autoapprovvigionamento per il grano duro, tuttavia, la minore remunerazione della materia prima potrebbe indurre a contrarre le semine e quindi la produzione nazionale con un maggiore ricorso alle importazioni che nel 2022 aveva subìto un vero e proprio crollo con un calo delle importazioni dal Canada di oltre il 40 per cento – l’Italia ha importato più grano duro dall’Ue (essenzialmente da Francia e Grecia) che dal Canada, tradizionalmente primo Paese fornitore;

l’Italia è il primo produttore mondiale di pasta, dal quale dipende ben un quarto della produzione globale, per un valore complessivo che supera addirittura i 20 miliardi di euro;

lo squilibrio, annoso, tra produzione di grano e fabbisogno dell’industria molitoria continua ad aumentare ed è quantomai necessario incidere sul deficit strutturale di grano duro del nostro Paese che, a fronte dei 4 milioni di tonnellate prodotti, necessita di quasi 6 milioni di tonnellate per rispondere al fabbisogno dell’industria molitoria,

impegna il Governo:

a riconsiderare la decisione di proroga dell’istituzione di Granaio Italia e, dunque, del Registro telematico dei cereali definito «Granaio Italia», fine di tutelare i consumatori della filiera del pane e della pasta, nonché al fine di contrastare fenomeni speculativi;

a rafforzare gli strumenti di sostegno alla produzione, tra tutti i contratti di filiera, che abbiano in parte come base di partenza i costi medi di produzione definiti da enti terzi, quali ad esempio Ismea o Università;

a adottare le iniziative di competenza volte a rafforzare la trasparenza dei prezzi, ripristinando la CUN (Commissione Unica Nazionale) sul grano, ma anche studiando nuovi strumenti che certifichino i costi di produzione di grano duro, vigilando contro la speculazione;

a valorizzare maggiormente le produzioni nazionali di pasta ottenuta con 100 per cento di grano duro italiano, intensificando anche il sistema dei controlli sulle produzioni italian sounding;

a promuovere la ricerca e l’innovazione nel settore, anche attraverso un miglioramento dell’approccio agronomico alla coltura, un maggiore ricorso all’agricoltura e all’irrigazione di precisione, ma anche sostenendo una sensibile apertura nei confronti dell’utilizzo delle cosiddette tecniche di evoluzione assistita;

a favorire la diffusione tra le aziende agricole delle più moderne tecniche colturali attraverso i servizi di divulgazione e la formazione continua degli imprenditori del settore;

a promuovere investimenti che possano rafforzare la filiera cerealicola per aumentare le rese e favorire produzioni sempre più sostenibili anche in chiave ambientale;

a rafforzare il concetto di interprofessione nel settore cerealicolo, con una specificità per il grano duro, anche come strumento di modernizzazione del settore.
(7-00112) «Caramiello».




Olivicoltura, risoluzione Caramiello (M5S): su piano di rilancio e attivazione CUN di settore

Atto Camera

Risoluzione in commissione 7-00101

presentato da

CARAMIELLO Alessandro

testo di

Lunedì 15 maggio 2023, seduta n. 102

La XIII Commissione,

premesso che:

nell’ultimo triennio (2020-2022) la produzione media di olio di oliva in Italia è stata inferiore alle 300 mila tonnellate, contro le oltre 500 mila del triennio 2010-2012 e le 700 mila dei primi anni 2000;

le cause di quello che può essere considerato un «inesorabile declino» sono soprattutto strutturali – una sempre più forte frammentazione produttiva del settore che testimonia come su circa 620 mila aziende olivicole presenti sul territorio, il 42 per cento non arriva a 2 ettari di superficie agricola coltivata, e solo il 2,5 per cento supera i 50 ettari;

tuttavia, nel corso degli anni, molte sono state anche le contingenze che si sono abbattute sul comparto, basta pensare al fenomeno della Xylella fastidiosa, che ha contribuito in maniera determinante a ridurre la produzione olivicola, colpendo in maniera particolare la Puglia, ovvero la regione in cui si produce l’8 per cento dell’EVO mondiale; ma anche altre patologie, quali ad esempio la mosca olearia, o i numerosi fenomeni climatici, come le gelate del 2018, emergenze alle quali si è dovuto far fronte perdendo inevitabilmente grandi quantitativi di prodotto, nonostante i diversi sostegni e aiuti da parte di Governi e amministrazioni;

da ultimo, negli ultimi anni, il settore olivicolo è quello che maggiormente è stato colpito dal fenomeno della siccità, a causa dei tempi di raccolta avanzati nel corso dell’anno (tra ottobre e novembre e anche oltre) e dei successivi effetti del ritorno delle piogge autunnali;

l’olio extravergine di oliva è l’unico olio vegetale direttamente commestibile dopo la spremitura (al contrario di altre tipologie di olio per le quali sono necessari ulteriori trattamenti e raffinazioni prima del consumo alimentare), quindi dotato di complessi di gusto ed aroma che ne determinano i crescenti consumi mondiali, e che esso è una «commodity» di alto valore, che con meno del 4 per cento della produzione di oli vegetali movimenta il 20 per cento del mercato;

la realtà attuale mette in evidenza che in tutti i Paesi olivicoli e non olivicoli le piantagioni di olivo sono diventate piantagioni da reddito, e la nuova olivicoltura mondiale praticata in 58 Paesi distribuiti nei cinque continenti, che arriva oggi a 11.512.015 ettari coltivati, è ottenuta con nuove e moderne piantagioni, altamente produttive, competitive, con produzioni di qualità crescente, in grado di competere sui mercati allo stesso livello delle qualità italiane, con la differenza che l’Italia con le sue produzioni decrescenti attualmente non è in grado di imporsi in nessun tipo di mercato;

tra il 2011 e il 2021 infatti le superfici a oliveto sono aumentate del 41,6 per cento in Cile, del 39,5 per cento in Argentina, del 22,6 per cento in Marocco, dell’11,4 per cento in Turchia, del 10,9 per cento in Portogallo, del 5,4 per cento in Spagna (quindi crescono anche in quello che è già abbondantemente il leader produttivo mondiale), persino dello 0,4 per cento in Francia mentre le superfici a oliveto calano del 3,5 per cento in Italia;

negli stessi anni, l’export della Turchia è aumentato del 16,4 per cento, quello del Portogallo del 14,8 per cento, della Tunisia del 9,8 per cento, del Cile del 9,7 per cento, della Francia dell’8,2 per cento. Rispetto a una media del commercio mondiale cresciuto in dieci anni del 6,2 per cento, l’olio made in Italy è aumentato solo del 3 per cento. In queste condizioni tra non molti anni l’Italia resterà un player marginale e verrà superata da nuovi e vecchi protagonisti del settore oleario;

alla luce dei dati e delle percentuali succitate appare evidente che il settore olivicolo italiano necessita di un intervento mirato e strutturale che possa al contempo rafforzare la qualità di un prodotto che comunque continua a rappresentare una eccellenza mondiale e provare ad aumentare la produzione, cambiando il metodo produttivo attuale, oppure promuovendo strategie volte alla ricerca di nuovi terreni da destinare alla coltura olivicola;

il Comparto olivicolo nazionale può contare solamente su circa un milione di aziende, di cui gran parte in zone collinari e deve fare i conti con coltivazioni di proprietà che gestiscono 100 o 250 piante di olivo come patrimonio aziendale, con l’età stessa delle piantagioni che, ad esempio, in alcune zone di Italia supera i 300-500 anni, con l’estrema frammentazione varietale, con un innumerevoli cultivar delle quali non si conoscono né il comportamento agronomico né le caratteristiche dell’olio. Sono queste solo le più evidenti criticità dell’olivicoltura attuale dell’Italia che danno appena un’idea delle difficoltà del comparto, ove il ricambio generazionale ha ormai fatto venir meno i tradizionali agricoltori;

questa situazione comporta anche riflessi pesantemente negativi sulle tecniche di conduzione, approssimative e mirate al massimo risparmio fino a nessun intervento, riportando la coltivazione dell’olivo ad una coltura di sussistenza ed in certi casi senza tener conto della conservazione dell’ambiente;

negli ultimi anni molti sono stati i provvedimenti attuati dai Governi sia finalizzati a contrastare le emergenze del settore, sia al fine di rendere strutturali alcuni strumenti;

sul fronte Xylella si pensi al finanziamento di 300 milioni di euro per il Piano di rigenerazione olivicola della Puglia e alle diverse misure introdotte nel decreto emergenze agricole del 2019: semplificazioni burocratiche, obblighi per le eradicazioni delle piante infette, deroghe mirate per la tutela e la salvaguardia degli ulivi monumentali e sanzioni per chi non rispetta le norme a tutela dell’ambiente, reddito, agricoltura e paesaggio;

più in generale, per il settore olivicolo, nel 2019, anche a fronte delle gelate nel febbraio-marzo 2018, sono stati stanziati 20 milioni di euro per gli olivicoltori come ristoro e 5 milioni di euro per fronteggiare gli interessi sui mutui delle imprese olivicole;

sono state inoltre approvate misure specificamente dedicate ai frantoi e alle cooperative di trasformazione;

molti provvedimenti sono stati attuati durante il periodo pandemico, tra tutti un decreto ad hoc di sostegno per la filiera olivicolo-olearia attraverso una dotazione pari a 30 milioni di euro: 10 per investimenti in nuovi impianti e 20 per l’ammodernamento di impianti esistenti, una sorta di preludio al tanto atteso Piano olivicolo nazionale;

infine, tra gli interventi specifici sul credito, importante è stata l’introduzione nel settore dello strumento del pegno rotativo che permette di incamerare liquidità dagli istituti di credito a fronte del «pegno» su olio IG di qualità da parte delle imprese olearie: semplicemente mettendo a pegno l’olio e contando sulla turnazione dei quantitativi stagione dopo stagione, le imprese del settore possono contare su un finanziamento costante e una iniezione di liquidità determinante;

anche a livello internazionale il ruolo dell’olivicoltura italiana andrebbe potenziato. Il Regolamento (UE) 1308/2013 prevede, infatti, che per ogni Stato sia riconosciuta una sola Organizzazione interprofessionale (OI) rappresentativa di uno specifico settore e, in particolare, è previsto che, per l’olio di oliva, tale organizzazione debba rappresentare, in Italia, almeno il 40 per cento della filiera in tutte le sue componenti;

il riconoscimento di una OI per il settore dell’olio di oliva e delle olive da tavola risulta fondamentale per attuare le misure previste dall’OCM e per indirizzare con scelte strategiche lo sviluppo del settore, tuttavia ad oggi il nostro Paese non ha ancora individuato tale organizzazione interprofessionale,

impegna il Governo:

ad intraprendere le opportune iniziative, possibilmente anche a carattere d’urgenza, affinché si attui un piano per il rilancio, il rafforzamento e lo sviluppo dell’olivicoltura nazionale (piano olivicolo nazionale), valutando, in tale ambito, la possibilità di individuare ed autorizzare una notevole somma di spesa, se del caso da associare all’istituzione di un fondo di rotazione per gli investimenti, il cui importo sia considerevolmente rilevante e tale da coprire un periodo di operatività compreso tra un triennio ed un quinquennio e che consenta, in primis, la riduzione ed il progressivo azzeramento dell’eccessiva frammentazione del modello produttivo, e un vero ammodernamento degli impianti arborei delle aziende agricole olearie, prevedendo forme di fiscalità di vantaggio per coloro che adotteranno iniziative associative su base cooperativistica, consortile e di società di capitali;

a stimolare, all’interno dello stesso piano olivicolo nazionale, il recupero varietale delle coltivazioni nazionali delle olive da mensa, o da tavola, nonché di nuovi possibili impianti arborei, ciò al fine di valorizzare un prodotto la cui potenzialità sul mercato potrebbe essere fondamentale per il futuro;

a sostenere ed incentivare l’aggregazione e l’organizzazione economica della filiera olivicola;

ad avviare un percorso volto a innovare il concetto di qualità del prodotto italiano, di concerto tra il Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, il Ministero dell’università e della ricerca e il CREA che, senza contrapporsi ai concetti di tipicità DOP e IGP e di produzione biologica, risponda a una reale esigenza, ampiamente condivisa, di meglio definire, in termini di qualità chimica, sensoriale e nutraceutica, l’olio extra vergine di oliva made in Italy, anche attraverso l’istituzione di un Sistema di qualità nazionale dell’olio extravergine di oliva di alta qualità (SQN-OAQ);

ad avviare percorsi scolastici e campagne formative ed informative, incisive e capillari, strutturali e non occasionali, tutti volti a diffondere, di concerto tra il Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, il Ministero dell’università e della ricerca e il Ministero della salute, il concetto di qualità del prodotto italiano olio extra vergine di oliva (e anche delle olive da mensa), e più in generale della cultura enogastronomica mediterranea, che risponda a una reale domanda, ampiamente evidenziata, di far conoscere la qualità dell’olio di oliva made in Italy, anche attraverso le organizzazioni di categoria;

ad attivare iniziative dirette alla valorizzazione dell’olio extravergine di oliva, con particolare riguardo ad azioni divulgative volte a favorire la conoscenza delle proprietà nutrizionali e salutistiche degli oli extravergini di qualità, e al contempo contrastare i fenomeni di contraffazione quali l’Italian sounding, anche inasprendo il sistema sanzionatorio;

a proseguire i lavori per l’attivazione di una CUN, la Commissione Unica Nazionale dell’olio di oliva, uno strumento fondamentale al fine di individuare un’unica sede italiana dove rilevare la quotazione del prezzo degli oli in maniera trasparente;

a definire urgentemente la Organizzazione interprofessionale del settore olio italiana al fine di avere una voce univoca ai tavoli europei del settore, evitare l’enorme disgregazione che caratterizza la filiera dell’olio italiana e valorizzare nel mondo questa eccellenza del nostro made in Italy.
(7-00101) «Caramiello, Sergio Costa, Morfino, Fede, Pavanelli».




Corpo forestale, risoluzione Mura (FDI): su armonizzazione economica e previdenziale corpi regionali con forze armate e di polizia

Atto Camera

Risoluzione in commissione 7-00094

presentato da

MURA Francesco

testo di

Mercoledì 26 aprile 2023, seduta n. 92

Le Commissioni I e XI,

premesso che:

al personale dei corpi forestali delle regioni a statuto speciale, della Sardegna, della Sicilia, del Friuli-Venezia Giulia e della Valle D’Aosta e delle province autonome di Trento e Bolzano, sono affidati importanti compiti di prevenzione e di repressione dei reati e di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, in concorso con la polizia di Stato, l’Arma dei carabinieri, il corpo della Guardia di finanza e il corpo della polizia penitenziaria. In sostanza, nei rispettivi ambiti territoriali i corpi forestali esercitano le medesime funzioni che, nel resto del territorio nazionale, erano in passato svolte dal disciolto corpo forestale dello Stato (assorbito nell’Arma dei carabinieri per effetto del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177): protezione civile, pubblica sicurezza, polizia giudiziaria, polizia ambientale e forestale;

la legge 7 agosto 2015, n. 124, all’articolo 8, comma 7, nel disporre l’assorbimento anzidetto e la relativa attribuzione di funzioni, ha stabilito che «Nei territori delle Regioni a Statuto speciale e delle Province Autonome di Trento e di Bolzano restano ferme tutte le attribuzioni spettanti ai rispettivi corpi forestali regionali e provinciali, anche con riferimento alle funzioni di Pubblica Sicurezza e di Polizia Giudiziaria (…)», ferme restando le garanzie di coordinamento in sede nazionale delle funzioni di polizia e di tutela dell’ambiente, del territorio e del mare, nonché la sicurezza e i controlli nel settore agroalimentare;

in vari settori dell’ordinamento giuridico italiano sono presenti disposizioni che riconoscono la specificità del personale dei comparti sicurezza e difesa e vigili del fuoco e soccorso pubblico, in quanto assoggettati a un complesso di limitazioni e obblighi del tutto peculiari, nonché ad attività significativamente usuranti, che presuppone il costante possesso di particolari idoneità psicofisiche e il mantenimento di standard di efficienza operativa periodicamente verificati con controlli medici, test attitudinali e attività addestrative mirate. Allo stesso modo, il personale dei corpi forestali è assoggettato alle medesime limitazioni. Tuttavia, nel corso degli anni lo stesso non ha potuto beneficiare del riconoscimento di analoghe condizioni di specificità, talché la normativa di settore è rimasta sprovvista di disposizioni atte a riconoscerne il ruolo, le qualifiche e le funzioni svolte;

la legge 4 novembre 2010, n. 183, all’articolo 19, riconosce, anche ai fini della tutela economica, pensionistica e previdenziale, «la specificità del ruolo delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco, nonché dello stato giuridico del personale ad essi appartenente, in dipendenza della peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previsti da leggi e regolamenti, per le funzioni di tutela delle istituzioni democratiche e di difesa dell’ordine e della sicurezza interna ed esterna, nonché per i peculiari requisiti di efficienza operativa richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti», senza però comprendere il personale dei corpi forestali. Analogamente, le disposizioni che disciplinano le forze di polizia e le qualifiche di ufficiale e agente di polizia giudiziaria non riconoscono una piena competenza ai corpi forestali, allo stato concepiti esclusivamente come corpi tecnici con funzioni di polizia;

gli organici dei corpi forestali sono costituiti da personale in grado di assicurare la piena efficienza di rendimento in ragione delle specificità delle funzioni esercitate e dei particolari requisiti di efficienza psicofisica all’uopo richiesti;

alla luce di quanto esposto e con il fine di dare soluzione alla palese disparità di trattamento ad oggi persistente a danno degli appartenenti ai corpi forestali regionali,

impegnano il Governo

ad attivare ogni opportuna iniziativa che consenta di uniformare e armonizzare la disciplina economica, pensionistica e previdenziale prevista per le forze armate, forze di polizia e corpo nazionale dei vigili del fuoco a favore delle donne e degli uomini in servizio presso i corpi forestali regionali.
(7-00094) «Mura, Rizzetto, Lampis, Deidda, Messina, Polo, Loperfido, Longi, Mattia, Milani».




Ambiente, risoluzione Terzi Di Sant’Agata (FDI Senato): su imballaggi e rifiuti di imballaggi

Atto Senato

Ordine del Giorno 8-00014

presentato da

GIULIOMARIA TERZI DI SANT’AGATA
testo presentato
Martedì 18 aprile 2023
modificato
mercoledì 19 aprile 2023, seduta n. 044

La Commissione,
esaminata la proposta di regolamento COM(2022) 677, che aggiorna il quadro normativo dell’UE in materia di imballaggi e rifiuti di imballaggio, al fine di sostenere gli investimenti, ridurre i rifiuti e promuovere il riciclaggio di alta qualità;
premesso che:
– la proposta è ritenuta necessaria nel contesto attuale in cui la fabbricazione degli imballaggi, necessaria per proteggere e trasportare le merci, rappresenta un’attività economica di grande rilevanza nell’UE, che tuttavia è ostacolata da una frammentazione degli approcci normativi nazionali che differiscono da uno Stato membro all’altro, per esempio in materia di etichettatura, di riciclo e di responsabilità del produttore;
– la produzione di imballaggi è fonte di preoccupazione ambientale, in quanto rappresenta uno dei principali settori di utilizzo di materiali vergini (plastica e carta) e rappresenta il 36 per cento dei rifiuti solidi urbani, e l’aumento dell’uso degli imballaggi, insieme ai bassi tassi di riutilizzo e riciclaggio, ostacolano lo sviluppo di un’economia circolare a basse emissioni di carbonio e il raggiungimento degli importanti impegni assunti con il nuovo Piano d’azione per l’economia circolare e degli obiettivi del Green Deal europeo;
valutata la relazione del Governo, trasmessa il 3 aprile 2023 ai sensi dell’articolo 6 della legge n. 234 del 2012;
tenuto conto delle audizioni svolte l’11 e il 18 aprile 2023, nonché di tutte le memorie ricevute;
ritiene di adottare un parere motivato ai sensi del Protocollo n. 2 allegato ai Trattati europei, poiché la proposta non rispetta i principi di sussidiarietà e di proporzionalità, secondo le seguenti considerazioni.
a) La scelta di un regolamento, in sostituzione della direttiva, non appare necessaria per il raggiungimento dell’obiettivo di armonizzazione delle normative nazionali in materia di imballaggi, ai fini di sostenibilità ambientale e di miglioramento del funzionamento del mercato europeo degli stessi. La direttiva consente infatti agli Stati membri di definire a livello nazionale le misure più appropriate per il raggiungimento degli obiettivi e dei target definiti dalle norme europee, tenendo conto delle peculiarità nazionali e consentendo agli Stati più avanzati di perseguire una politica più ambiziosa per quanto riguarda la gestione di imballaggi e rifiuti di imballaggio, mantenendo i sistemi esistenti che già hanno dimostrato la loro efficacia, anche a fronte degli ingenti investimenti pubblici e privati.
In questo senso, la scelta di adottare un regolamento rappresenta un radicale cambio di direzione rispetto alla direttiva 94/62/CE che consentiva agli Stati membri di compiere scelte politiche, come per esempio quella dell’Italia di sviluppare maggiormente il riciclaggio rispetto al riutilizzo, per il miglior raggiungimento degli obiettivi di una crescita economica ambientalmente sostenibile.
L’Italia è infatti da anni fortemente impegnata nel settore dell’economia circolare e ha un modello di gestione dei rifiuti di imballaggio che rappresenta un’eccellenza a livello europeo, con un tasso di riciclo di oltre il 70 per cento e il conseguente raggiungimento degli obiettivi europei con 9 anni di anticipo. Lo stesso PNRR prevede investimenti per 2,1 miliardi di euro per migliorare ulteriormente la capacità di gestione del sistema di raccolta e riciclo, per ammodernare gli impianti esistenti e svilupparne di nuovi, nonché per colmare il divario esistente tra Nord e Sud Italia.
Si ritiene quindi necessario svolgere un’azione efficace in sede europea, finalizzata a una modifica della proposta di regolamento, che la ponga in linea con le vigenti direttive in materia di rifiuti e di rifiuti di imballaggi. In questo senso, è necessario anzitutto che le opportune modifiche alla direttiva 94/62/CE, volte a rafforzare le capacità di raggiungimento degli obiettivi economici e ambientali relativi agli imballaggi, siano previste mantenendo lo strumento della direttiva e quindi salvaguardando le valide impostazioni che ciascuno Stato membro ha sviluppato in termini industriali e infrastrutturali a fini di sostenibilità ambientale, eventualmente imponendo soluzioni di complementarietà rispetto alle esistenti capacità di riciclaggio, recupero e smaltimento dei rifiuti di imballaggi.
b) Si ritiene in ogni caso necessario, alla luce degli obiettivi prioritari e delle numerose disposizioni di natura strettamente ambientale contenuti nella proposta di regolamento, l’introduzione di una seconda base giuridica, accanto a quella sul mercato interno, relativa alla politica ambientale dell’UE. La base giuridica ‘ambiente’ consentirebbe agli Stati membri che lo volessero di applicare requisiti più ambiziosi e di beneficiare di una maggiore flessibilità nella definizione delle misure di attuazione delle norme europee.
c) Si ritiene eccessivo il ricorso agli atti delegati, nella misura in cui non sembra limitato ai soli elementi non essenziali della proposta legislativa, come previsto dall’articolo 290 del TFUE, e nella misura in cui introduce ampi margini di indeterminatezza. La delegazione, che esula dalla procedura legislativa e dal controllo dei Parlamenti nazionali, andrebbe infatti utilizzata – ai sensi del citato articolo 290 del TFUE – solo per stabilire elementi non legislativi e non essenziali dell’atto legislativo, e in casi limitati e residuali, ovvero nel solo caso in cui non sia possibile stabilire con norma legislativa la disciplina in questione. Inoltre, le numerose deleghe previste sono prive di chiari criteri direttivi volti a delimitarne gli obiettivi, il contenuto, la portata e i tempi di esercizio, determinando un forte grado di incertezza normativa, che non consente alle imprese di poter pianificare e investire per tempo nella conferente attività industriale e commerciale.
d) Si ritiene che la proposta sia carente nella sua valutazione d’impatto, sia sul piano dell’impatto ambientale sia su quello dell’impatto socio-economico. La valutazione d’impatto svolta dalla Commissione europea appare infatti non sufficientemente basata su dati scientifici e non in grado di dimostrare che l’armonizzazione prospettata nella proposta possa garantire la just transition verso modelli più sostenibili di produzione e gestione degli imballaggi e rifiuti di imballaggio. Tale carenza appare anche con riferimento ai dati e alle proiezioni riferite all’Italia, che da anni è fortemente impegnata nell’economia circolare, con un modello di gestione dei rifiuti di imballaggio di eccellenza a livello europeo, e un tasso di riciclo di oltre il 70 per cento, grazie alle quasi 800 mila aziende impegnate nel settore degli imballaggi, con oltre 6,3 milioni di dipendenti e un fatturato di circa 2 mila miliardi di euro, su cui le nuove disposizioni previste dalla proposta di regolamento rischiano di produrre un impatto fortemente negativo in termini economici e occupazionali, che sembra essere largamente sottostimato nella valutazione di impatto della Commissione europea.
e) Anche la gradualità prevista dalla proposta non sembra essere sufficiente a garantire il rispetto del principio di proporzionalità, tenuto conto dei termini molto stringenti e vincolanti imposti per l’entrata in vigore della nuova disciplina e del livello di ambizione degli obiettivi fissati dalla proposta di regolamento, sia in termini economici sia in termini ambientali.
f) La proposta appare eccessivamente sbilanciata – in chiara violazione del principio di proporzionalità – in favore delle soluzioni di riutilizzo, a discapito delle attività di riciclo, senza fornire un’adeguata evidenza scientifica a sostegno del riutilizzo rispetto al riciclo. Il riutilizzo infatti non garantisce sempre il risultato migliore, sul piano della tutela dell’ambiente, della salute e dell’igiene, dovendosi effettuare, caso per caso, valutazioni di fattibilità e sostenibilità economica, lungo l’intero ciclo di vita del prodotto. Il riutilizzo implica spesso procedure inquinanti connesse con la necessaria sanificazione e sterilizzazione dell’imballaggio e rischia anche ricadute a danno della salute pubblica, soprattutto nel settore dell’alimentazione e in quello farmaceutico, in violazione del principio di neutralità tecnologica.
Con riguardo alla sproporzione in favore del riutilizzo, sono in particolare da valutare in senso fortemente critico:
1) l’obbligo di istituire sistemi di deposito cauzionale (DRS – deposit return system) per alcune tipologie di rifiuto di imballaggi (bottiglie per bevande in PET con capacità fino a tre litri e lattine in alluminio per bevande con capacità fino a tre litri) nonché l’impegno ad adoperarsi per la costituzione di analoghi sistemi di deposito cauzionale per il riutilizzo di imballaggi. La soglia del 90 per cento di raccolta differenziata, stabilita all’articolo 44, per poter derogare all’obbligo di istituire un sistema di deposito cauzionale, appare eccessivamente elevata. L’obbligo di riutilizzo, mediante il sistema di deposito cauzionale DRS, andrebbe reso flessibile e comunque complementare rispetto alle modalità di riciclo già validamente funzionanti negli Stati membri;
2) la previsione di elevati obiettivi di riutilizzo, in particolare quelli di cui all’articolo 26, senza concedere alternative per gli Stati membri che – come l’Italia – hanno elevati tassi di riciclo, metterebbe fuori mercato imballaggi sicuri e riciclabili ed escluderebbe soluzioni, materiali e tecnologie sulle quali si è già investito molto, con costi economici insostenibili per il rifacimento di intere filiere di gestione dei rifiuti e l’adeguamento delle linee di produzione. Gli obblighi di riutilizzo andrebbero quindi resi flessibili e comunque complementari rispetto alle modalità di riciclo già validamente funzionanti negli Stati membri;
3) la previsione di restrizioni di mercato per determinati formati di imballaggio monouso, che impatterebbe molto pesantemente su alcune filiere come l’agroalimentare nelle quali, in alcuni casi, gli imballaggi monouso sono fondamentali per la protezione e conservazione degli alimenti, per l’informazione al consumatore, per la tracciabilità e l’igiene dei prodotti, permettendone anche la commercializzazione e l’export. Inoltre, il previsto divieto degli imballaggi anche nei casi come quelli per i prodotti ortofrutticoli inferiori a 1,5 kg, già altamente riciclabili, con elevato contenuto di materiale riciclato e con capacità di conservazione del prodotto, comporterebbe un’emissione di CO2 superiore, dovuta allo spreco del contenuto, rispetto al non utilizzo dell’imballaggio;
4) le restrizioni imposte all’utilizzo di imballaggi in plastica biodegradabile e compostabile in alternativa ad alcuni imballaggi monouso in plastica tradizionale. Al riguardo sarebbe anche opportuno salvaguardare le misure più appropriate per i celiaci, in quanto per essi è sconsigliato usare materiali e oggetti a contatto con alimenti (MOCA) che hanno origine da farina di frumento, crusca, orzo e derivati. Inoltre, appare opportuno prevedere misure adeguate per evitare il rischio di contaminazione anche per intolleranti e allergici.
g) Sarebbe opportuno sostituire alcuni obblighi con forme di incentivazione, per alleggerire il pesante onere di adeguamento che incombe sui settori produttivi e quindi sui consumatori.
h) Inoltre, sarebbe importante introdurre una clausola di esclusione, per consentire agli Stati membri di rispettare gli eventuali divieti o obblighi imposti a livello nazionale, per esempio in materia sanitaria.
i) Si potrebbe inoltre valutare l’opportunità di prevedere incentivi al riciclo chimico, soprattutto quello della termolisi sopra i 1.000 gradi che, in base a talune valutazioni, sarebbe a zero emissioni di carbonio, con produzione di syngas e di idrogeno a costi competitivi.
l) L’obbligo di compostabilità dell’etichettatura dei prodotti ortofrutticoli appare una misura sproporzionata, comportando pesanti oneri di adeguamento a fronte di scarsi vantaggi ambientali.
m) Perplessità desta, inoltre, l’introduzione della riciclabilità degli imballaggi primari, a contatto con i farmaci, prevista dall’articolo 6, paragrafo 10, a partire dal 2035, trattandosi di materiali con standard qualitativi scientificamente definiti e la cui composizione non sempre è compatibile con i rigidi obiettivi di riciclaggio, essendo elevato il rischio di contaminazione, in particolare nel caso di sostanze altamente potenti o mutagene come gli agenti citotossici. Il confezionamento primario dei medicinali dovrebbe quindi essere pienamente esentato dai requisiti di riciclabilità.
n) Si ritiene inoltre opportuno prevedere che gli oneri sull’industria, connessi con le norme sulla responsabilità estesa del produttore, siano accompagnati da forme di promozione e incentivazione ai consumatori volte a evitare la dispersione dei rifiuti di imballaggio nell’ambiente.
La presente risoluzione è da intendersi anche quale atto di indirizzo al Governo ai sensi dell’articolo 7 della legge n. 234 del 2012.
(8-00014)
TERZI DI SANT’AGATA




Cinghiali, risoluzione in Commissione di Bruzzone (Lega): su eradicazione peste suina africana

Atto Camera

Risoluzione in commissione 7-00084

presentato da

BRUZZONE Francesco

testo di

Martedì 11 aprile 2023, seduta n. 84

La XIII Commissione,

premesso che:

la peste suina africana (Psa) è una malattia virale, non trasmissibile agli esseri umani, ma che può causare ingenti danni al tessuto economico, poiché altamente contagiosa e letale anche per i maiali d’allevamento;

a distanza di più di un anno dal primo caso – dal 7 gennaio 2022, è stata accertata la presenza della Psa nelle popolazioni di cinghiali nei territori delle regioni Piemonte e Liguria –, se pure efficacemente gestita a livello nazionale e regionale, anche con il contributo delle aziende e delle associazioni coinvolte, il contenimento della diffusione della peste suina non sta funzionando come dovrebbe;

alla data del 28 marzo 2023 i casi di positività riscontrati dal 27 dicembre 2021 nella «zona di restrizione II» sono in totale 516, dei quali 332 in Piemonte e 184 in Liguria, con un incremento rispetto di +8 casi rispetto alla rilevazione del 26 marzo 2023;

ad oggi di fatto il depopolamento del cinghiale, strumento molto efficace per eradicare la Psa, non è stato concretamente ancora attivato e il numero di animali è cresciuto esponenzialmente aumentando i rischi per la pubblica incolumità in ambito urbano e i danni ai fondi agricoli;

il commissario straordinario per la peste suina africana coordina i servizi veterinari delle Asl competenti per territorio, le strutture sanitarie pubbliche, le strutture amministrative e tecniche regionali nonché gli enti territorialmente competenti e verifica la regolarità dell’abbattimento e distruzione degli animali infetti e dello smaltimento delle carcasse di suini nonché le procedure di disinfezione svolte sotto il controllo della Asl competente;

Ispra fornisce supporto al commissario straordinario, in particolare valutando i piani regionali di intervento urgente previsti dal quadro normativo specifico su tale materia;

Ispra, durante l’audizione svolta in Commissione agricoltura della Camera dei deputati il 25 gennaio 2023, ha riferito che «si registra un costante aumento delle problematiche legate alla presenza del cinghiale in Italia, sia per gli impatti causati all’agricoltura, sia per l’aumento degli incidenti stradali, e – non ultimo – per le problematiche legate alla sempre più diffusa presenza del cinghiale nelle aree urbanizzate»;

durante la medesima audizione Ispra rileva che «Per fronteggiare questa situazione di generalizzato e costante aumento delle presenze del cinghiale e di persistenza degli impatti sul territorio italiano, è necessario adottare una strategia di intervento nazionale disegnata sulla base di una valutazione critica dei risultati gestionali sinora conseguiti, anche prevedendo il ricorso agli strumenti più efficaci per ridurre le presenze e coadiuvare il contenimento dei danni e la riduzione del rischio di diffusione di malattie, con particolare attenzione al comparto suinicolo e alle indicazioni sanitarie conseguenti all’introduzione in Italia della Peste Suina Africana.»; inoltre, prosegue Ispra «Per contenere le popolazioni di cinghiale è essenziale non solo aumentare significativamente i prelievi, ma contestualmente seguire una più corretta programmazione dei piani di abbattimento», infine «le raccomandazioni tecniche» – espresse da Ispra durante l’audizione – «sono coerenti con la strategia di gestione della Peste Suina Africana adottata dalle autorità sanitarie competenti e con la relativa normativa vigente per la gestione, il controllo e l’eradicazione di questa gravissima malattia dal nostro territorio. Una loro futura implementazione dovrà necessariamente essere declinata tenendo conto anche della situazione epidemiologica, che recentemente ha fatto rilevare una recrudescenza della malattia nelle aree piemontesi e liguri, alla quale ha fatto seguito l’ordinanza del 27 dicembre 2022 con la quale il Commissario straordinario alla Peste Suina Africana ha prorogato di ulteriori tre mesi alcune delle misure restrittive già vigenti.»;

gli operatori faunistici autorizzati sono soggetti deputati al controllo della fauna selvatica e vengono selezionati attraverso specifici corsi di preparazione alla gestione faunistica e già in possesso della licenza di caccia e che hanno superato un apposito corso di preparazione specifiche (normativa in materia di caccia e controllo della fauna);

se il virus della Psa si dovesse diffondere anche oltre i confini originariamente individuati, potrebbero essere coinvolte aree geografiche storicamente vocate alla suinicoltura, nelle quali peraltro si concentrano oltre i due terzi dei suini allevati in Italia;

anche se i contagi sono concentrati in diverse aree del Piemonte e della Liguria, e parte del Lazio, è necessario che la Psa non raggiunga le zone a più alta intensità di capi suini allevati e di stabilimenti produttivi di carni e salumi, aree in cui i danni derivanti da una diffusione della malattia sarebbero inimmaginabili;

gli effetti scaturiti dalla diffusione della malattia, hanno già avuto un impatto enorme su tutta la filiera suinicola;

la produzione di carne suina in Italia è una delle principali attività dell’agricoltura italiana con circa 10 milioni di suini allevati ogni anno ed è concentrata in alcune regioni del paese; il settore suinicolo in Italia vanta un fatturato di circa 3 miliardi di euro per la fase agricola e di circa 8 miliardi di euro per quella industriale, incidendo per il 5,8 per cento sul totale agricolo e agroindustriale nazionale e impiega circa 40.000 persone;

in particolare, i prodotti a base di carne Dop e Igp hanno un valore alla produzione pari a 1,93 miliardi di euro e un valore al consumo pari a 4,98 miliardi di euro; l’export vale 601 milioni di euro;

nonostante non vi sia alcun rischio per la salute pubblica, la presenza dell’infezione nei suini, selvatici o domestici, oltre a causare gravi ripercussioni in termini di salute e benessere degli animali, determina l’applicazione di misure previste dai regolamenti UE con forti limitazioni alla commercializzazione di suini e loro prodotti e conseguenze economiche gravissime;

il Ministero della salute ha adottato il piano nazionale di sorveglianza della Psa, approvato e cofinanziato dalla Commissione europea per il 2023, con l’obiettivo di proteggere il patrimonio suinicolo nazionale dal virus Psa;

il suddetto Piano prevede tra le principali misure:

nelle «zone indenni»: la sorveglianza passiva nel settore domestico e nel selvatico; la verifica del livello di applicazione delle misure di biosicurezza in allevamento; l’attività di formazione ed informazione di allevatori, cacciatori, e di tutti i soggetti in qualche modo coinvolti al fine di aumentare la consapevolezza e la conoscenza della malattia;

e nelle «zone non indenni»: la ricerca attiva delle carcasse di cinghiale nelle zone di restrizione I e II; la sorveglianza passiva sui cinghiali rinvenuti morti o moribondi, sia catturati che abbattuti; la sorveglianza attiva mediante attività venatoria e di controllo, regolamentata e nel rispetto delle misure di biosicurezza riviste; l’installazione e/o il rafforzamento, nelle zone di restrizione II, di barriere fisiche tra la zona infetta e l’esterno; l’eventuale costruzione di una seconda barriera per la creazione di una zona cuscinetto al fine di limitare gli spostamenti delle popolazioni di cinghiali infette e la conseguente diffusione dell’infezione, così come previsto dalla strategia di eradicazione definita dalla Commissione europea e dettagliata dalla delegazione di esperti a seguito della missione in Italia del febbraio 2022;

attualmente risulta che gli esemplari abbattuti nella zona di restrizione II, anche se risultati negativi alle successive analisi, vengano comunque portati agli inceneritori, proibendo in questo modo l’autoconsumo, come avviene per la zona di restrizione I, considerato che non esiste alcuna delimitazione fisica tra i due ambienti;

tra l’altro, l’articolo 49 del regolamento di esecuzione (UE) 2021/605 prevede che l’unica precauzione che deve essere osservata è che i cinghiali prelevati non possono essere trasportati o commercializzati al di fuori delle zone I e II, ma non vieta la caccia e l’autoconsumo delle carni dei capi abbattuti, dopo ovviamente il risultato negativo delle analisi;

bisogna sottolineare che i cacciatori non hanno alcun interesse e motivo etico ad effettuare gli abbattimenti dei cinghiali se questi dovranno essere inceneriti anche se negativi alla Psa, portando, quindi, ad un rallentamento del loro contenimento; la diffusione della peste suina africana e il grande rischio di espansione della stessa sono infatti legati prevalentemente al proliferare dei cinghiali, riconosciuti come principali vettori della malattia;

auspicare che la malattia faccia il suo corso e che i cinghiali si persuadano che devono morire, è imprudente e rischioso perché questa inattività dei cacciatori surrettiziamente imposta potrebbe generare sempre più danni e maggiori problemi di incolumità pubblica, oltretutto rendendo endemica la malattia sul territorio con tutte le conseguenze, come un aumento e allargamento della diffusione della Psa, e le responsabilità che ne conseguiranno;

è necessario intervenire con operazioni di depopolamento del cinghiale da parte di un elevato numero di operatori di biosicurezza anche con l’uso di ausiliari per abbattimenti;

è indispensabile portare avanti e intensificare, gli interventi fino ad oggi intrapresi per il contenimento della diffusione e il contrasto della Psa, ai fini di una sua completa eradicazione, che si auspica possa avvenire in tempi brevissimi;

è necessario adottare immediatamente le misure atte alla eradicazione della peste suina africana previste dalla strategia di eradicazione della Commissione europea, per evitare la diffusione della malattia e le conseguenze dannose che potrebbe comportare,

impegna il Governo:

a) ad adoperarsi affinché l’attività del Governo e del Commissario straordinario alla Peste suina africana siano improntate all’eradicazione della malattia sul territorio nazionale e che i focolai di peste suina africana rimangano isolati e non si estendano alle zone attualmente indenni, al fine di tutelare e proteggere maggiormente le zone a più alta intensità di capi suini allevati e di stabilimenti produttivi di carni e salumi;

b) ad intraprendere tutte le iniziative necessarie all’eradicazione della malattia, valutando anche l’adozione delle nuove misure di sorveglianza attiva, comprese quelle che saranno stabilite dal nuovo piano nazionale straordinario per la gestione e il contenimento della fauna selvatica, al fine di evitare gravi ripercussioni economiche e sociali che ne deriverebbero dalla diffusione del virus;

c) a potenziare la ricerca attiva delle carcasse di cinghiale nelle zone di restrizione I e II;

d) a mettere in atto ulteriori e più efficaci azioni di depopolamento nelle aree di restrizione I e II;

e) a prevedere, per effettuare il prelievo del cinghiale, l’aumento numerico dei soggetti i quali possano essere autorizzati anche con l’utilizzo dei mezzi ausiliari, quali ad esempio i cani, al fine del contenimento della diffusione e il contrasto della Psa nonché della proliferazione della popolazione di cinghiali;

f) ad adottare le iniziative di competenza volte a prevedere un potenziamento dei servizi veterinari delle Asl competenti per territorio e delle strutture sanitarie pubbliche delle regioni interessate, a cui andrebbero affidati la rimozione, trasporto, analisi, incenerimento o interramento dei capi abbattuti risultati positivi ai test per la Psa;

g) ad avviare una concreta filiera delle carni di cinghiale risultate negative ai test Psa;

h) ad adottare le iniziative di competenza volte a stanziare i necessari finanziamenti al commissario straordinario per la peste suina africana ed alle regioni interessate per poter attuare i piani di eradicazione.
(7-00084) «Bruzzone, Molinari, Carloni, Davide Bergamini, Pierro».




Siccità, risoluzione in Commissione di Almici (FDI): per proclamazione stato emergenza

Atto Camera

Risoluzione in commissione 7-00086

presentato da

ALMICI Cristina

testo di

Martedì 11 aprile 2023, seduta n. 84

Le Commissioni VIII e XIII,

premesso che:

se il 2022 è stato segnato da siccità e da eventi climatici eccezionali, che in passato capitavano nell’arco di un decennio, il 2023 ha presentato con largo anticipo un quadro molto preoccupante, come documentato dalle fotografie della secca dei fiumi e dei laghi in Italia scattate da un satellite dell’Agenzia spaziale europea;

laghi e fiumi risultano in forte sofferenza, quasi in secca come la scorsa estate, mentre in montagna è scarsa la neve accumulata: è quanto registrato in Italia, a metà febbraio, complice l’aumento delle temperature superiori ai valori di riferimento, le esigue precipitazioni e una crisi climatica senza precedenti;

a segnalare gli allarmanti trend idrici in un periodo tradizionalmente piovoso e oggi addirittura afoso è l’osservatorio dell’Associazione nazionale delle bonifiche irrigazioni e miglioramenti fondiari (Anbi) sulle risorse idriche, che sottolinea innanzitutto come in tutta l’Emilia-Romagna tornino a calare vistosamente le portate dei fiumi, con il Po tornato su valori minimi, attorno al 30 per cento della media, e il Secchia che è sceso ai limiti del minimo storico (2,8 metri cubi al secondo), minimo sotto il quale è già sceso l’Enza;

confrontando i dati 2021-2022 dei grandi bacini naturali del Nord, oggi tutti sotto media, si può notare come, ad eccezione del lago di Como, le differenze siano notevoli: 12 mesi fa, Garda ed Iseo erano quasi al colmo di piena come il Maggiore, a cui oggi manca invece un buon 50 per cento del volume d’acqua presente l’anno scorso e che, permanendo le attuali condizioni, segnerà prossimamente nuovi record di altezza idrometrica minima. In Valle d’Aosta le temperature della terza settimana di maggio, che sfiorano i 30 gradi, favoriscono lo scioglimento della neve, che sta rimpinguando i corsi d’acqua della regione. In Piemonte calano i livelli dei principali fiumi; in Lombardia, dove la neve che va sciogliendosi è circa il 62 per cento in meno di quella normalmente presente nel periodo, le portate del fiume Adda sono inferiori di oltre 200 milioni di metri cubi al secondo, rispetto allo stesso periodo del particolarmente siccitoso 2017. Il Veneto resta una delle regioni maggiormente in difficoltà idrica, con tutte le conseguenze che già ora si stanno manifestando per l’agricoltura e l’ambiente (gran parte delle risorgive sono ai minimi o perfino asciutte);

scendono a livelli da piena estate anche le portate dei fiumi toscani e anche i corsi d’acqua marchigiani mostrano primi segnali di difficoltà. Nel Lazio, esigue, se confrontate con gli anni precedenti, sono le portate del fiume Tevere e non migliora la situazione del lago di Bracciano. In Campania i livelli idrometrici dei corsi d’acqua sono in discesa: il rischio di siccità resta presente soprattutto nelle aree settentrionali della regione. Un leggero incremento nei volumi invasati si registra per le dighe della Basilicata, mentre quelle pugliesi calano di quasi 3 milioni di metri cubi in una settimana, segnando un leggero deficit sullo scorso anno. In Sicilia, infine, rimane positiva la condizione complessiva degli invasi, nonostante le precipitazioni si manifestino da mesi in maniera disomogenea, lasciando all’asciutto una buona porzione di territorio;

il bilancio complessivo è di una nuova ondata di siccità, o forse sarebbe meglio parlare di un’emergenza siccità mai finita, con corsi d’acqua che hanno raggiunto uno stato di severità idrica «media» in tre delle sette autorità di distretto secondo gli ultimi bollettini emanati dalle stesse in questi ultimi mesi: il distretto idrografico del Fiume Po, quello dell’Appennino settentrionale e quello dell’Appennino centrale;

secondo Terna, la crisi idrica ha ridotto la produzione di energia idroelettrica del 37,7 per cento nel 2022, e a dicembre è stato registrato -18,6 per cento rispetto allo stesso mese dell’anno precedente; preoccupante anche la carenza di neve, con il 53 per cento in meno sull’arco alpino, e in particolare il bacino del Po, con un deficit del 61 per cento (Fonte: CIMA Research Foundation);

tale emergenza ha scatenato una tempesta perfetta anche sull’agricoltura italiana, come denunciato dalla Coldiretti, che ha stimato in circa 6 miliardi di euro i danni da siccità, arrivando a bruciare così il 10 per cento del valore della produzione agricola nazionale. Previsioni simili arrivano anche dalla Cia-Agricoltori italiani: partendo da un valore aggiunto per il settore intorno ai 34 miliardi annui, c’è effettivamente il rischio che se ne vada in fumo il 10 per cento del Pil del comparto. Più cauta Confagricoltura, che ad oggi stima i danni da siccità in 2 miliardi e le perdite per il valore aggiunto agricolo attorno al 6 per cento, anche se la percentuale è destinata senz’altro a salire per colpa degli aumenti dei costi di produzione;

preoccupante è l’allarme in agricoltura lanciato da Coldiretti: «Il Po è praticamente irriconoscibile con una grande distesa di sabbia che occupa la gran parte del letto del fiume, fondamentale per l’ecosistema della pianura padana, dove per la mancanza di acqua è minacciato oltre il 30 per cento della produzione agricola nazionale e la metà dell’allevamento che danno origine alla food valley italiana conosciuta in tutto il mondo»;

le difficoltà, ovviamente, si estendono a buona parte della Penisola, dove con il picco delle temperature manca l’acqua necessaria ad irrigare le coltivazioni che si trovano in una situazione di stress idrico che mette a rischio le produzioni;

l’assenza di precipitazioni colpisce i raccolti nazionali in una situazione in cui l’Italia è dipendente dall’estero in molte materie prime e produce appena il 36 per cento del grano tenero che serve per pane, biscotti, dolci, il 53 per cento del mais per l’alimentazione delle stalle, il 56 per cento del grano duro per la pasta e il 73 per cento dell’orzo;

per il raccolto del grano la Coldiretti stima un calo del 30 per cento per quello duro usato per la pasta e del 20 per cento per quello tenero, utilizzato per il pane, ma in alcune regioni si arriva addirittura a punte del 40 per cento di perdita delle rese;

le stime per il mais sono ancora peggiori, il raccolto sarà dimezzato perché la siccità ha colpito più duro soprattutto in Lombardia, Piemonte, Veneto e Emilia Romagna, che rappresentano quasi il 90 per cento dell’intera produzione nazionale. Il crollo del raccolto impatta pesantemente sulle stalle, anche a causa della contemporanea diminuzione della produzione di foraggi, anch’essa dimezzata dalle alte temperature;

anche nelle risaie è allarme rosso, con perdite stimate in oltre il 30 per cento del raccolto. Dei 217 mila ettari coltivati a riso in Italia, ricorda la Coldiretti, il 90 per cento è concentrato fra la Lombardia e il Piemonte, due delle regioni dove l’emergenza siccità è più grave. Il riso, ad esempio, nel 2022 ha perso 23.000 ettari soltanto nella Lomellina, 3.000 nel Novarese; i risicoltori, anche a causa dell’aumento dei costi dei fertilizzanti, dei principi attivi e per l’essiccazione, hanno abbandonato 9.000 ettari di riso, passando a coltivazioni come soia, girasole, mais: una scelta dettata proprio dai cambiamenti climatici;

quanto all’olio, la campagna 2022 era già risultata compromessa nei mesi scorsi, quando il caldo anomalo aveva ridotto significativamente la trasformazione dei fiori in frutti e la situazione è particolarmente grave in Puglia, dove, nonostante i danni da Xylella, si coltiva ancora un terzo delle olive italiane, con una produzione stimata in calo del 40 per cento;

la siccità condiziona anche le vigne: senza pioggia gli acini di uva faticano a ingrossarsi, quando addirittura non si asciugano, ed è a rischio anche la sopravvivenza dei nuovi impianti, specie nelle aree dove non c’è possibilità di irrigare;

nei campi la frutta e la verdura stanno letteralmente bruciando, con danni che in alcune zone arrivano a provocare la perdita del 70 per cento del raccolto: peperoni, meloni, angurie, albicocche e melanzane soprattutto. Per evitare le scottature da caldo, si cerca di anticipare il raccolto quando possibile o si provvede al diradamento dei frutti sugli alberi, eliminando quelli non in grado di sopravvivere; per il pomodoro da sugo, ad esempio, la raccolta è cominciata con una settimana di anticipo, ma nonostante questo si stima un calo del raccolto dell’11 per cento;

il caldo condiziona anche gli animali nelle fattorie, dove per via delle alte temperature le mucche stanno producendo fino al 20 per cento di latte in meno. Ogni singolo animale è arrivato a bere fino a 140 litri di acqua al giorno, contro i 70 dei periodi meno caldi. La mancanza di acqua per garantire il ricambio idrico e l’aumento della salinità lungo la costa stanno invece soffocando le vongole e le cozze del delta del Po, con la perdita del 20 per cento degli allevamenti, sempre secondo le stime di Coldiretti Impresa-pesca;

condivisibili sono le preoccupazioni di Confagricoltura, che ha avanzato la necessità di una strategia idrica nazionale, dal rinnovamento delle infrastrutture, all’innovazione, strettamente connessa alla produttività, dall’adozione di un nuovo piano sugli invasi, al ripensamento dell’intera rete per evitare le attuali perdite d’acqua;

se è vero che da quando le imprese hanno investito in irrigazione di precisione, in sistemi di riutilizzo delle acque reflue e di raccolta massiva, si è assistito ad un grande risparmio valutabile nel 30/35 per cento di consumi in meno (si calcola che su alcune colture, con l’irrigazione mirata, si risparmino circa 630 metri cubi/anno di acqua), è altrettanto vero che il problema risiederebbe in un sistema di distribuzione vecchio e fallace, considerato che in Italia si perde, lungo la rete idrica, mediamente il 42 per cento dell’acqua quando in Germania, ad esempio, tale percentuale sfiora l’8 per cento;

non è più pensabile rincorrere le emergenze, ma è necessario promuovere una politica di prevenzione, attraverso la definizione di una strategia idrica nazionale che abbia un approccio circolare con interventi di breve, medio e lungo periodo. In particolare, sono necessarie misure che favoriscano l’adattamento ai cambiamenti climatici e la riduzione di prelievi e di sprechi d’acqua. La domanda di questa preziosa risorsa è alta perché riguarda diversi usi, da quello agricolo, a quello civile e industriale, pertanto non adottare misure ragionate significa rischiare nel medio periodo a non riuscire a soddisfare come sistema Paese il fabbisogno idrico nazionale;

la transizione ecologica deve passare anche per il comparto idrico, oggi in forte sofferenza a causa soprattutto della crisi climatica. Una siccità prolungata comporta danni diretti derivanti dalla perdita di disponibilità di acqua per usi civili, agricoli e industriali ma anche perdita di biodiversità, minori rese delle colture agrarie e degli allevamenti zootecnici, e perdita di equilibrio degli ecosistemi naturali. Da non sottovalutare, inoltre, il contributo che la neve apporta all’approvvigionamento idrico. La scarsa copertura nevosa unita alla fusione anticipata delle nevi condizioneranno pesantemente le capacità dei bacini idrografici nel prossimi mesi primaverili e estivi;

come ricordato da Legambiente, l’Italia – con oltre 33 miliardi di metri cubi di acqua prelevata per tutti gli usi ogni anno – è nel complesso un Paese a stress idrico medio-alto secondo l’OMS, poiché utilizza il 30-35 per cento delle sue risorse idriche rinnovabili, con un incremento del 6 per cento ogni dieci anni. Una tendenza che, unita a urbanizzazione, inquinamento ed effetti dei cambiamenti climatici, come le sempre più frequenti e persistenti siccità, mette a dura prova l’approvvigionamento idrico della Penisola;

secondo i dati diffusi dallo Giec (Gruppo intergovernativo degli esperti sul cambiamento climatico), all’aumento di un grado della temperatura terrestre corrisponde una riduzione del 20 per cento della disponibilità delle risorse idriche;

per risparmiare l’acqua, aumentare la capacità di irrigazione e incrementare la disponibilità di cibo per le famiglie, la Coldiretti, insieme all’Anbi (l’Associazione nazionale dei consorzi di bonifica) ha elaborato un progetto immediatamente cantierabile per la realizzazione di una rete di piccoli invasi con basso impatto paesaggistico e diffusi sul territorio, privilegiando il completamento e il recupero di strutture già presente. L’idea è di realizzare laghetti, senza uso di cemento e in equilibrio con i territori, per conservare l’acqua e distribuirla quando serve ai cittadini, all’industria e all’agricoltura, con una ricaduta importante sull’ambiente e sull’occupazione;

occorre pensare e realizzare una rete di micro/medi impianti di raccolta delle acque piovane e fluviali, utilizzando senza sprechi e in modo attento e mirato i fondi del Pnrr destinati anche all’ammodernamento delle reti e delle captazioni dell’acqua. Occorre altresì ragionare sul riutilizzo delle acque depurate, che possono trovare nuovo impiego, anche in agricoltura, e al fine di non disperderle in mare, dove cagionerebbero danni certi giacché, trattandosi di acque dolci, la loro immissione nei bacini salati provoca alterazione dell’eco-sistemica;

non meno importante è un’opera di sensibilizzazione della cittadinanza sul tema del contrasto allo spreco della risorsa idrica, posto che siamo i più alti consumatori pro capite di acqua in Europa con oltre 220 litri al giorno per abitante, con consumi medi familiari nell’ordine dei 150 metri cubi/anno; altro tema particolarmente sentito in tutti i principali settori produttivi che contribuiscono alla tenuta e alla crescita del Paese, a partire ovviamente dall’agricoltura, è quello dell’accesso al credito, posto che la disponibilità di risorse e di prodotti finanziari rappresenta indubbiamente una delle condizioni indispensabili per la crescita di una qualsiasi impresa o attività produttiva;

anche e soprattutto per tali ragioni, è fondamentale intervenire sugli accordi di Basilea, valutando la possibilità di un ripensamento che tenga conto delle particolarità dell’agricoltura: pensiamo, ad esempio, a degli interventi sulle procedure di istruttoria e a delle deroghe apposite per il merito creditizio delle imprese agricole, la cui attività come noto è legata in maniera indissolubile ai cicli della natura e, in quanto tale, non ha le stesse tempistiche degli altri comparti produttivi;

in ogni caso, è necessario continuare a lavorare sul rapporto tra gli istituti di credito e le imprese agricole, rafforzandolo e facilitandolo, tenendo anche conto del fatto che un altro grande problema è quello legato all’inasprimento dei tassi d’interesse per i prestiti bancari, in atto ormai da diversi mesi. Questione di fondamentale rilevanza in un’ottica di rilancio dell’economia, per la quale lo stesso Pnrr come noto, oltre a prevedere risorse a fondo perduto, contempla prestiti ad interessi agevolati,

impegnano il Governo:

a valutare l’opportunità di proclamare lo stato d’emergenza di rilievo nazionale per siccità, con la nomina di un commissario straordinario che adotti tempestivamente i necessari interventi;

ad assumere ogni opportuna iniziativa, anche di carattere normativo, volta ad adottare un piano nazionale per combattere l’emergenza idrica, fondato su alcuni principali pilastri:

a) garantire la manutenzione costante della rete distributiva e degli invasi;

b) prevedere il coinvolgimento dei bacini idroelettrici per sostenere le forniture di acqua ad uso potabile e agricolo nelle fasi più acute della siccità;

c) favorire la ricarica controllata della falda, in modo che le sempre minori e più concentrate precipitazioni permangano più a lungo sul territorio invece di scorrere a valle fino al mare;

d) prevedere l’obbligo di recupero delle acque piovane con l’installazione di sistemi di risparmio idrico e il recupero della permeabilità e attraverso misure di de-sealing in ambiente urbano; in agricoltura prevedendo laghetti e piccoli bacini;

e) prevedere interventi strutturali per rendere efficiente il funzionamento del ciclo idrico integrato e permettere le riduzioni delle perdite di rete e completare gli interventi sulla depurazione;

f) implementare il riuso delle acque reflue depurate in agricoltura attraverso le modifiche normative necessarie;

g) riconvertire il comparto agricolo verso colture meno idroesigenti e metodi irrigui più efficienti;

h) utilizzare i criteri minimi ambientali nel campo dell’edilizia per ridurre gli sprechi;

i) favorire il riutilizzo dell’acqua nei cicli industriali anche per ridurre gli scarichi inquinanti;

l) introdurre misure di incentivazione e defiscalizzazione in ambito idrico, come avviene per gli interventi di efficientamento energetico, per tutti gli usi e per tutti i settori coinvolti;

m) incentivare i comuni a dotarsi di strumenti di misura remoti smart meter e a promuovere progetti di intelligenza artificiale e data science per recuperare significative percentuali di risorse idriche perse;

n) definire una gestione delle crisi basata sui bisogni concreti dei distretti idrografici minacciati dalla scarsità delle risorse idriche e dalla siccità, sulla partecipazione pubblica e sui sistemi di allerta rapida che operano a livello nazionale, regionale e locale;

o) promuovere cooperazioni interregionali per la gestione integrata dei corsi d’acqua, in particolare in ambito agricolo;

a valutare l’opportunità di adottare iniziative di carattere economico a sostegno dei comparti produttivi maggiormente colpiti dall’emergenza idrica, con particolare riguardo a:

a) misure di aiuto, prevenzione e compensazione a sostegno del settore agricolo, valutando l’opportunità di un miglior indirizzamento di quelle del Pnrr;

b) l’estensione del credito di imposta per l’acquisto di gasolio agricolo, necessario ad arginare il caro-carburante;

c) la sterilizzazione strutturale del sistema delle accise sui carburanti e la definitiva eliminazione degli oneri di sistema;

sul piano ambientale, promuovere una politica volta a:

a) evitare la creazione di barriere al corso naturale dei fiumi nel tentativo di ridurre le inondazioni e condurre valutazioni più ampie dell’impatto in caso di sbarramento dei corsi naturali sul flusso d’acqua;

b) favorire un maggior utilizzo del rimboschimento per limitare e mitigare il deflusso estremo delle acque di superficie e sotterranee e per contrastare il degrado e l’erosione del suolo;

c) procedere a una nuova valutazione delle quantità di acqua sotterranea in Italia e delle norme che ne disciplinano l’uso, nel principale intento di garantire un uso razionale delle risorse d’acqua sotterranee in base alle esigenze dei singoli territori;

ad assumere iniziative di competenza presso le competenti sedi europee per l’estensione, anche per il 2023, delle deroghe accordate nel 2022 sull’uso non produttivo dei terreni e sulla rotazione annuale obbligatoria dei seminativi;

a istituire un tavolo di confronto permanente sul credito in agricoltura, vero e proprio motore della crescita e dell’innovazione, intorno al quale riunire le istituzioni, le organizzazioni di settore e l’Abi;

a promuovere campagne nazionali di informazione e sensibilizzazione su un uso ragionato dell’acqua.
(7-00086) «Almici, Benvenuti Gostoli, Cerreto, Caretta, Ciaburro, La Porta, La Salandra, Malaguti, Marchetto Aliprandi».




Risoluzione, Nevi FI Camera, su piano nazionale olivicolo

Atto Camera

Risoluzione in commissione 7-00069

presentato da

NEVI Raffaele

testo di

Mercoledì 15 marzo 2023, seduta n. 69

La XIII Commissione,

premesso che:

la produzione italiana di olio d’oliva segue una tendenza flessiva nell’ultimo decennio e ancor di più nell’ultimo quinquennio. Secondo quanto emerso dalle indagini condotte dalle principali associazioni, il tessuto olivicolo italiano non è più competitivo: la produzione italiana di olio di oliva è passata da 674 mila tonnellate nella campagna 1991-92 a 315 mila nella campagna 2021-22, mentre nel 2022 la Spagna ha prodotto 1 milione di tonnellate;

anche i Paesi del Sud del Mediterraneo sono stati capaci di aumentare la loro produttività e sono diventati più aggressivi e competitivi sui mercati globali. Nel contesto internazionale l’Italia è scesa dal podio dei primi tre Paesi produttori e la bilancia commerciale degli scambi con l’estero è in negativo, non essendo in grado la produzione nazionale di coprire i consumi interni, stimati in poco meno di 500 mila tonnellate;

il calo produttivo è aggravato da eventi climatici estremi che hanno compromesso, nelle zone più vocate, quantità e qualità. Il fenomeno della desertificazione e la conseguente siccità rappresentano una drammatica piaga per la resa dell’olio in Italia, la campagna appena conclusasi è stata il trenta per cento meno produttiva di quella del 2021, meno di 250 mila tonnellate, a causa della siccità che ha colpito l’Italia nell’estate del 2022;

la Xylella ha infettato la parte meridionale della regione Puglia – che è la prima regione per produzione di olio – ma le cause per cui la Xylella ha attecchito non sono da ricondurre solo alla patogenicità del batterio, ma anche al drammatico e annoso fenomeno dell’abbandono dei terreni agricoli e alla conseguente incuria, che potrebbero dall’altro lato offrire un’opportunità per nuovi e moderni impianti;

oltre il 60 per cento del patrimonio olivicolo conta su alberi poco produttivi, con oltre 50 anni di età, mentre gli olivi con meno di 11 anni coprono solo il tre per cento dell’intera superficie olivicola, con evidenti negative conseguenze sulla produzione nazionale;

l’olivicoltura italiana sconta un costo di produzione molto alto e ciò costituisce uno dei principali problemi della performance competitiva nazionale. Il costo di produzione italiano è difatti il più alto fra i principali Paesi produttori europei ed è superiore a quello spagnolo del 43 per cento;

la manodopera è la voce che maggiormente incide sul bilancio delle aziende olivicole e nel campione in esame rappresenta in media il 67 per cento dei costi variabili e copre il 46 per cento dei ricavi di vendita, tra l’altro sempre più difficile da reperire e quasi mai qualificata; secondo un rapporto ISMEA, meno del 5 per cento delle aziende olivicole specializzate è gestito da coltivatori di età inferiore ai 40 anni;

gli stessi costi energetici per la raccolta, trasformazione e imbottigliamento dell’olio erano già molto alti nel 2020 ed avevano un forte impatto sulla produzione (dati Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali 2020), ma dal 2022 sono diventanti insostenibili e rendono difficili tutte le fasi della produzione;

i mercati internazionali, tuttavia, mantengono alta la domanda di olio prodotto in Italia benché ci sia una produzione che stenta a rispondere alla domanda. Dai dati dell’ultimo censimento in agricoltura risulta che il settore olivicolo conta in Italia oltre 640 mila aziende, con un patrimonio di 160 milioni di piante, esteso su un milione di ettari e dispone del maggior numero di olii extravergine a denominazione protetta in Europa (42 DOP e 6 IGP) con un patrimonio di 533 varietà di olive;

la Spagna ha un programma di forte competizione verso la produzione italiana, gestito centralmente da un’interprofessione che raccoglie, attraverso un’imposta di 6 euro per tonnellata, circa 8-10 milioni di euro all’anno dagli operatori (produttori spagnoli, industrie spagnole e italiane) e che investe, per promuovere l’immagine dell’olio prodotto e imbottigliato in Spagna;

l’imposta di 6 euro alla tonnellata praticato dall’interprofessione spagnola su tutti gli oli di oliva prodotti e scambiati in Spagna, viene pagato in parte anche dalle imprese italiane; infatti, considerato che sono 380 mila le tonnellate di olio di oliva che l’Italia importa ogni anno, si può affermare che l’Italia contribuisce a finanziare la promozione del prodotto spagnolo con oltre 2 milioni di euro, da oltre 15 anni;

la minaccia che proviene dagli operatori dei paesi tradizionalmente fornitori dell’industria nazionale (Spagna in primis, ma anche Tunisia, Portogallo, Turchia, Grecia ecc.) si manifesta in tre direzioni: arrivano sui mercati principali con un prodotto confezionato a prezzi molto competitivi, condizionano qualità e prezzi di approvvigionamento degli oli sfusi della nostra industria, propongono sempre più prodotti di qualità sui mercati di nicchia;

le campagne di promozione spagnole stanno mettendo in serie difficoltà la capacità competitiva dell’industria nazionale; la perdita di quote di mercato nei paesi a economia avanzata dove l’Italia leader e la limitata presenza nei mercati asiatici emergenti, sono sintomi inconfutabili di un declino già in atto;

lo storico presidio tecnologico e commerciale dell’industria delle macchine e impianti di trasformazione delle olive nel Nord Africa è in forte crisi, per la concorrenza di prezzo e di servizi delle industrie turche, spagnole e cinesi, che negli ultimi anni stanno sostituendo le tecnologie italiane nei frantoi tunisini e del Maghreb in generale,

impegna il Governo:

a predisporre un piano strategico nazionale olivicolo che indichi il modello di olivicoltura e di filiera olivicolo-olearia da sviluppare nei prossimi 15 anni, con precisi obiettivi e indicatori economici da raggiungere, sul mercato interno e internazionale;

a creare piani di sostegno regionali volti ad aumentare la produzione di olio italiano, coerenti con il piano strategico nazionale olivicolo, orientati a massimizzare le potenzialità locali nell’ottica di aumentare sensibilmente la produzione, migliorare l’efficienza economica, la sostenibilità e la qualità del prodotto;

a prevedere piani per contrastare il fenomeno della desertificazione nel Sud Italia e creare piani di intervento specifici nel settore olivicolo;

ad adottare iniziative, di concerto tra i Ministeri dell’agricoltura della sovranità alimentare e delle foreste e delle imprese e del made in Italy, per superare i limiti della frammentazione nel sistema della produzione nazionale e del gap di efficienza e innovazione che ci sta rendendo sempre meno competitivi rispetto ai concorrenti del Mediterraneo;

a rendere immediatamente efficaci le proposte che arriveranno dalla Cabina di regia per l’internazionalizzazione al fine di dare nuovo slancio alla presenza sui mercati internazionali, come già avviato dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale con il Ministero delle imprese e del made in Italy;

a rafforzare la cooperazione commerciale e tecnologica nei Paesi del Maghreb (Tunisia, Marocco, Algeria, Giordania) attraverso misure di sostegno a beneficio della industria italiana che produce e vende impianti oleari, nonché politiche che incentivino e rendano conveniente l’acquisto delle tecnologie olearie made in Italy da parte dei frantoi e delle industrie di detti Paesi;

a dare nuovo impulso politico alla partecipazione italiana al Consiglio oleico internazionale, l’agenzia delle Nazioni Unite per l’olio, creando le condizioni diplomatiche per un Consiglio più vicino alle necessità del tessuto agro-industriale nazionale;

a tutelare in sede europea la dieta tradizionale e mediterranea rispetto alle iniziative della Commissione europea che danneggiano la cultura italiana, come il sistema Nutri-score e il Piano europeo contro il cancro;

a favorire un tavolo di confronto con la distribuzione moderna, per valorizzare e posizionare correttamente tutte le categorie commerciali degli olii da olive, creando spazi e opportunità anche per la categoria degli oli vergini, oggi scomparsa dagli scaffali;

a differenziare gli oli extra vergine italiani di qualità, attraverso la messa a punto di un «sistema di qualità nazionale» (SQN) che in quanto «riconosciuto» potrebbe godere dei contributi UE per essere promosso e che, pur utilizzabile da altri paesi UE, ci consentirebbe di lanciare sul mercato un nuovo concept di extra vergine, con requisiti qualitativi molto più restrittivi della legge, certificato, distribuito, conservato e proposto nella ristorazione secondo regole nuove, destinate a rilanciare nel mondo il primato italiano della creatività e dell’innovazione sull’olio di oliva di qualità;

a promuovere un tavolo di confronto in primis tra le organizzazioni sindacali e datoriali agricole, di concerto con le AOP e OP, i Consorzi di tutela, le associazioni dei confezionatori e quelle dei frantoiani, alle industrie delle tecnologie olearie, per dare vita ad un’organizzazione interprofessionale olivicola nazionale largamente rappresentativa e nelle condizioni di utilizzare l’istituto UE dell’estensione delle norme erga omnes, per controbilanciare la politica espansiva spagnola e rafforzare e consolidare la supremazia italiana nei mercati internazionali.
(7-00069) «Nevi, Gatta, Arruzzolo».




Vino, Carloni: Ok unanime a risoluzione. Prossima settimana a Berlino per fare sistema con paesi coinvolti

È stata approvata oggi in maniera unitaria la risoluzione a contrasto dell’etichettatura irlandese che mira ad equiparare i danni alla salute da tabacco a quelli derivanti dal consumo di alcolici, tra cui vino e birra.

“La risoluzione è stata firmata e votata da tutta la Commissione Agricoltura ed è un segnale molto forte di rafforzamento dell’azione di governo, che deve perseguire ogni strada per tutelare il Made in Italy, in questo caso il vino che è uno dei nostri prodotti di eccellenza”dichiara ad AGRICOLAE il presidente della Comagri Camera Mirco Carloni.

“Oltre ai tavoli politici e alla Corte di giustizia europea bisogna intervenire con la Wto (Organizzazione Mondiale del Commercio), perché si colpisce l’interesse nazionale. La prossima settimana sarò a Berlino e spero di incontrare il mio omologo tedesco per cercare solidarietà su questa vicenda, così come è necessario che il sistema parlamentare che segue l’agricoltura in quei paesi coinvolti, cioè produttori di vino, si mobiliti contro questa decisione che è un atto ostile da parte della Commissione Ue” conclude.

Vino, Caretta-Cerreto (FdI): ok risoluzione a tutela vino e birra. Informazione sia corretta

Agricoltura, Marchetto (FdI): Dalla Commissione segnale importante di sinergia e coesione in difesa di vino e birra

Vino: Lega, in prima linea contro etichettatura imposta da Ue a vino e birra

Vino, Lollobrigida: Gioco di squadra con Francia, Spagna, Portogallo e Grecia. Etichetta racconti anche aspetti positivi

 




Mercoledì in vigore il Dpcm, ecco le risoluzioni di Maggioranza e Minoranza. Due modi di affrontare emergenza

Si aspetta che entri in vigore mercoledì il Dpcm che prevede il coprifuoco alle 21:00, la Dad e l’autonomia per le regioni che superano l’indice Rt di 2 di poter decidere eventuali restrizioni future.

Con il premier Giuseppe Conte in Parlamento la maggioranza e l’opposizione dicono la loro.

Qui di seguito AGRICOLAE pubblica in PDF e a seguire in forma testuale le due risoluzioni.

DPCM RISOLUZIONE MAGGIORANZA

DPCM RISOLUZIONE MINORANZA

La maggioranza scrive:

i recenti dati relativi al numero dei contagi da Covid-19 e al valore dell’indice di trasmissibilità RT, evidenziano un progressivo peggioramento dell’epidemia di Sars-CoV-2 nel nostro

Paese;

già la scorsa settimana, sulla base dei 4 scenari descritti nel documento ‘Prevenzione e risposta a COVID-19’ redatto dall’Istituto superiore di Sanità, l’Italia si collocava nello scenario 3, con una situazione caratterizzata da “trasmissibilità sostenuta e diffusa” del virus con “rischi di tenuta del sistema sanitario nel medio periodo” e valori di Rt regionali prevalentemente e significativamente compresi tra 1,25 e 1,5;

dunque, l’analisi dell’andamento della curva epidemica indica come l’Italia sia ormai molto vicina allo scenario 4, l’ultimo ed il più grave previsto. In questo scenario “i valori di Rt regionali sono prevalentemente e significativamente maggiori di 1,5” ed uno scenario di questo tipo “potrebbe portare rapidamente a una numerosità di casi elevata e chiari segnali di sovraccarico dei servizi assistenziali, senza la possibilità di tracciare l’origine dei nuovi casi”; inoltre il citato documento rileva che “appare piuttosto improbabile riuscire a proteggere le categorie più fragili in presenza di un’epidemia caratterizzata da questi valori di trasmissibilità”;

durante una recente audizione in Commissione Igiene e Sanità del Senato, il Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità ha spiegato che per contenere la diffusione del virus occorre evitare che la soglia dell’indice Rt finisca fuori controllo rendendo impossibile il tracciamento, pertanto appare indispensabile, oltre che continuare a tracciare i positivi, anche «individuare gli asintomatici» perché «individuare le persone portatrici del virus è la prima frontiera per fermare l’infezione»;

tale quadro epidemiologico sta determinando una pressione particolarmente severa sul servizio sanitario nazionale; negli ultimi giorni si è infatti osservato un incremento significativo del numero di persone ricoverate e, conseguentemente, sono aumentati i tassi di occupazione delle degenze in area medica e in terapia intensiva;

nel tentativo di contenere questa forte ondata di contagio da covid-19, alcuni Paesi in Europa stanno attuando un lockdown di carattere nazionale o regionale, mentre l’Oms segnala un allarmante aumento del 40% delle vittime di Covid -19 rispetto alla settimana precedente;

appare indispensabile riuscire ad arginare la curva epidemiologica al fine di gestire la pandemia in modo da tutelare la salute e permettere al nostro sistema sanitario di offrire una risposta efficiente, nonché garantire cure e ricoveri adeguati a tutti i cittadini:

considerato, altresì, che:

sotto il profilo economico-finanziario, pur in ripresa, l’attività economica nel nostro Paese rimane nettamente al di sotto dei livelli del 2019; pertanto il quadro di finanza pubblica a legislazione vigente per gli anni 2020-2023, delineato dalla NADEF 2020 stima una flessione del PIL nel 2020 del 9,0% rispetto all’8,0% del DEF, mentre nel 2021 è prevista una crescita del PIL del 5,1%, nel 2022 del 3,0% e nel 2023 dell’1,8%;

salvare vite umane e, al contempo, non penalizzare l’economica significa bilanciare beni ugualmente fondamentali e, pertanto, finora il Governo ha deciso misure più soft rispetto a un lockdown totale. Da ultimo, il D.P.C.M. 24 ottobre 2020 ha, evidentemente, colpito più duramente talune fasce di popolazione e categorie professionali (per fare solo alcuni esempi, si pensi ai ristoratori, proprietari e gestori di palestre e piscine, ma anche lavoratori e maestranze del mondo dello sport, della cultura e dello spettacolo);

alla luce di ciò rimane pertanto fondamentale che eventuali misure restrittive si accompagnino ad un ulteriore e più certo – nelle cifre, nei modi e nei tempi – ristoro per gli operatori economici che verranno direttamente e indirettamente penalizzati;

in tale ale prospettiva, il Governo ha dunque adottato con urgenza una strategia articolata su diversi piani, ricomprendendo cospicui interventi di politica economica a sostegno dell’occupazione, dei redditi e della liquidità di famiglie e imprese. Nel complesso, tali interventi ammontano a 100 miliardi in termini di impatto sull’indebitamento netto della Pubblica Amministrazione nel 2020 (oltre il 6% del Pil), a cui va aggiunto l’ammontare delle garanzie pubbliche sulla liquidità;

per fronteggiare l’impatto economico-sociale della pandemia Covid19, l’Ue ha predisposto meccanismi per garantire una risposta coordinata e sostenere gli Stati membri nella lotta alla pandemia. In particolare, è stato raggiunto l’accordo dal Consiglio europeo sul Quadro finanziario pluriennale 2021-2027 e sull’associato programma Next Generation EU (NGEU) – che prevede una dotazione di bilancio di 1074,3 miliardi di euro per il periodo 2021-27;

il 29 ottobre u.s., avendo valutato la situazione epidemiologica quale situazione senza precedenti che suscita gravissime preoccupazioni, il Consiglio europeo ha dichiarato fondamentale attuare il pacchetto per la ripresa economica senza ulteriori ritardi;

udite le comunicazione del Presidente del Consiglio dei ministri sull’evoluzione della situazione sanitaria ed economica derivante dall’emergenza epidemiologica da COVID-19 le approva ed impegna il Governo:

1) ad adottare misure nazionali che consentano di mitigare il più possibile la curva di crescita del contagio, anche al fine di alleviare il carico, già molto pesante, sul sistema sanitario nazionale;

2) a intervenire in costante confronto con le Regioni misure restrittive crescenti, adeguate all’evoluzione della pandemia, che siano ispirate ai principi di massima precauzione, di proporzionalità e di adeguatezza, sulla base di parametri oggettivi che consentano di non sottovalutare la severità e l’imprevedibilità della pandemia stessa, che continua a crescere con preoccupante rapidità;

3) a potenziare le misure che consentano di analizzare i dati sui flussi di ingresso e uscita nei reparti del servizio sanitario, nonché la relativa capienza, anche differenziata su base territoriale, e tracciare tempestivamente, in modo completo ed efficace, le catene di trasmissione, al fine di realizzare un adeguato apparato di prevenzione del contagio e di rafforzamento ed efficientamento del servizio sanitario su tutto il territorio nazionale;

4) a potenziare gli strumenti atti a consentire la diagnosi ed il trattamento precoce della patologia, anche prevedendo uno specifico piano di interventi che conduca a migliorare in maniera significativa, su tutto il territorio nazionale, la capacità delle strutture sanitarie di rispondere in modo adeguato all’emergenza, assicurando in tal modo la necessaria assistenza sanitaria;

5) a verificare, avvalendosi del Comitato tecnico-scientifico, in considerazione dei dati epidemiologici che evidenziano una significativa crescita dei contagi dell’infezione da Covid-19 sull’intero territorio nazionale, la necessità di individuare ulteriori misure di prevenzione per il contrasto alla diffusione del virus, in linea con gli indirizzi che il Parlamento riterrà di formulare;

6) a valutare l’opportunità di adottare misure ulteriori, anche di carattere automatico, differenziandole sulla base della gravità territoriale della diffusione del virus, anche a livello provinciale e/o comunale, in relazione alla sostenibilità del relativo servizio sanitario e prevedendo altresì il contestuale ristoro economico per i soggetti che verranno direttamente e indirettamente penalizzati;

7) a garantire,nelle aree territoriali in cui la soglia dell’indice Rt non risulti fuori controllo, la didattica in presenza, con particolare riferimento ai nidi, alle scuole per l’infanzia, alla scuola primaria e secondaria di primo grado, assicurando di conseguenza nel contempo screening periodici, tamponi veloci a personale scolastico, ata e ad alunni;

8) a predisporre misure volta a garantire la salute del personale e degli ospiti delle RSA e delle comunità residenziali e semiresidenziali predisponendo misure preventive come screening periodici;

9) a valutare l’opportunità di un nuovo ricorso all’indebitamento – ai sensi dell’art. 81 Cost. – anche al fine di garantire e potenziare il sostegno al reddito ed ai lavoratori (precari, autonomi, partite Iva e PMI) dei settori produttivi dalla pandemia e ad integrare progressivamente tali misure con politiche volte alla creazione di un ambiente idoneo all’esercizio dell’attività di impresa e capace di generare un sensibile incremento occupazionale;

10) a garantire il rafforzamento della Strategia europea per i vaccini, che permetta sviluppo, produzione e distribuzione di vaccini sicuri ed efficaci con un accesso equo, tempestivo e rigoroso per i cittadini europei, nonché a favorire ogni politica coordinata che fornisca una risposta europea comune alla pandemia, con informazioni obiettive sulla diffusione del virus e sugli sforzi efficaci per contenerlo;

11) ad assumere ogni decisione sul ricorso alla linea di credito sanitaria del MES solo a seguito di un preventivo ed apposito dibattito parlamentare e previa presentazione da parte del Governo di un’analisi dei fabbisogni e di un piano dettagliato dell’utilizzo degli eventuali finanziamenti.

La minoranza scrive:

a partire dal 31 gennaio 2020, con la dichiarazione dello stato di emergenza, il Governo ha troncato ogni confronto con le forze di opposizione, cestinando sistematicamente le proposte che queste ultime hanno avanzato sotto forma di emendamenti, ordini del giorno e risoluzioni;

le misure di contenimento della pandemia da COVID-19, anche quelle più drastiche, che hanno inciso sulle libertà fondamentali degli italiani, sono state prese in maniera completamente autocratica, attraverso lo strumento del d.P.C.m., in pacchetti chiusi e immodificabili, annunciati alla stampa e solo dopo, tempo permettendo, alle camere parlamentari che, in questo modo, sono state totalmente private della possibilità di intervento;

i risultati di questa gestione accentrata e, sotto più profili, inadeguata, della situazione epidemiologica sono, purtroppo, sotto gli occhi di tutti;

il Governo ha fatto sinora fallire ogni possibilità di un collaborativo confronto con le opposizioni: al fallimento della Cabina di regia ipotizzata al tempo del decreto Cura Italia ha fatto seguito il mancato coinvolgimento delle opposizioni annunciato a gran voce nel corso degli Stati generali dell’economia dello scorso mese di giugno;

ora il Governo propone l’istituzione di una Commissione, presieduta da un Ministro e composta da parlamentari in modo paritetico, e, quindi, tale da non rispecchiare la reale rappresentatività delle singole forze politiche, del quale non si capisce né il ruolo né il potere decisionale e che appare assai discutibile anche sotto il profilo della costituzionalità;

si è già dato conto dei ritardi accumulati nel corso della prima ondata della pandemia, con il Governo che aveva in mano gli scenari sull’evoluzione della situazione epidemiologica e, ciononostante, ha passato l’intero mese di gennaio 2020 a convincere l’opinione pubblica che andava tutto bene, che non c’era nulla di cui preoccuparsi, per poi ritrovarsi del tutto impreparato il mese successivo, ad emergenza conclamata, senza mascherine, senza DPI e senza respiratori per le terapie intensive (l’abc delle dotazioni richieste in questi casi);

sempre con riferimento alla prima ondata dell’epidemia, si è denunciato più volte il carattere raffazzonato dei d.P.C.m. e delle misure di contenimento ivi contenute, spesso confuse, contraddittorie tra loro e difficilmente decifrabili, financo per le amministrazioni chiamate ad attuarle, come dimostra l’abuso di circolari e Faq a parziale integrazione o rettifica delle misure stesse;

durante la tregua estiva, quando il virus ha allentato la presa e vi erano tempi, modi e risorse per intervenire compiutamente, il Governo ha pensato bene di utilizzare il tempo a disposizione per smantellare i decreti sicurezza, agevolando gli arrivi irregolari nel nostro Paese che, in questo modo, sono aumentati fino a triplicare (27 mila arrivi in totale nel 2020 e, tra questi, l’attentatore di Nizza, sbarcato a Lampedusa il 20 settembre scorso);

sul fronte della sanità, dei trasporti, della scuola e di tutti gli altri settori in cui occorreva intervenire tempestivamente, invece, il Governo non ha fatto altro che accumulare ritardi su ritardi;

in tema di sanità, si registrano gravi ritardi da parte del Ministero competente e del Commissario straordinario, in primis, nell’attuazione dei piani presentati dalle regioni per il rafforzamento delle terapie intensive, ai sensi del di quanto previsto dall’articolo 2 decreto-legge rilancio;

i piani sono stati presentati dalle regioni nel rispetto delle scadenze prefissate, ma il bando per la loro attuazione è stato pubblicato dal Commissario straordinario solamente a inizio ottobre, con un ritardo, inaccettabile, di diversi mesi, che adesso renderà estremamente difficoltosa la realizzazione delle opere programmate, poiché potrebbe comportare la chiusura dei reparti oppure lo spostamento dei pazienti proprio nel momento in cui gli ospedali si trovano sotto pressione;

sempre in tema di sanità, si sono registrate gravi lacune sul fronte del potenziamento dell’assistenza territoriale, dell’intensificazione delle cure e dei tamponi a domicilio, nonché del reclutamento dei medici, degli infermieri e degli operatori sociosanitari, in particolare presso le residenze sanitarie assistenziali e le strutture analoghe;

ancora, è stato fatto poco, o nulla, sul fronte della tutela dei pazienti non COVID-19, (pazienti cronici, pazienti oncologici, solo per citarne alcuni) il cui diritto alla continuità assistenziale è stato duramente compromesso poiché molta, se non tutta, l’offerta specialistica ambulatoriale e di reparto è stata assorbita, non certo per sua colpa, dalle situazioni di urgenza;

stesso discorso vale, purtroppo, per i lavoratori fragili, per i soggetti immunodepressi, per le persone con disabilità fisica, sensoriale, relazionale e intellettiva, così come per i loro familiari e caregiver, i quali tra una proroga dello stato di emergenza e l’altra sono stati dimenticati dal Governo, con tutele solo parziali, deficitarie e puntualmente tardive;

sul fronte della scuola, in disparte i banchi a rotelle, sui quali non è neppure il caso di indugiare, nessun investimento è stato fatto a sostegno dell’edilizia, del recupero di nuovi spazi e dell’approvvigionamento dei presidi medici presso le strutture scolastiche;

altrettanto gravi sono le mancanze registrate nel settore dei trasporti pubblici, con il Governo che ha dirottato le risorse verso il bonus monopattini, in luogo che aiutare gli enti locali nel potenziamento delle corse di autobus e metro;

il Governo responsabile dei ritardi e degli errori di programmazione sopra menzionati, adesso, proclama una nuova stagione di chiusure e invoca, in maniera sempre più ricorrente, la prospettiva di un secondo lockdown nazionale che avrebbe conseguenze gravissime per la nostra economia;

peraltro, nel disporre le misure di contenimento, che via via si fanno sempre più restrittive, il Governo non pare francamente ispirato da un criterio logico e, men che meno, tecnico scientifico di fondo;

l’ultimo d.P.C.m., quello del 24 ottobre u.s., adottato come molti altri senza alcuna preventiva illustrazione alle Camere, ne costituisce la migliore riprova: interi settori sono stati distrutti (ristorazione, cinema, teatri, sport, palestre e piscine, solo per citarne alcuni) mentre non è stato diffuso neppure un dato sui contagi che effettivamente si sarebbero verificati all’interno delle predette realtà;

le attività che avevano investito tempo, sacrifici e risorse nell’adeguamento dei propri locali ai protocolli di sicurezza sono state chiuse dall’oggi al domani, quasi in maniera punitiva, e ciò senza che vi fosse la benché minima evidenza in ordine agli effetti che queste chiusure avrebbero potuto avere sulla curva dei contagi;

la mancanza di visione nell’operato dell’esecutivo trova conferma anche nella tempistica con la quale si arriva al nuovo d.P.C.m. che forma oggetto delle odierne comunicazioni alle Camere;

il Governo, infatti, ha deciso di mandare in soffitta il vecchio d.P.C.m. prima ancora che sia possibile osservarne e valutarne i risultati, ad appena sette giorni dalla sua adozione, il che conferma come le misure in esso contenute fossero del tutto arbitrarie, prive di fondamento scientifico e totalmente inadeguate a sortire gli effetti sperati a lungo termine;

le restrizioni imposte, la totale assenza di programmazione e la scure di un nuovo lockdown hanno ovviamente generato ansia e insicurezza presso la popolazione che ha manifestato il proprio malcontento nelle piazze di tutta Italia;

il Parlamento è la sede istituzionale deputata al confronto tra le forze politiche e il Governo ed è in questa sede che si intende porre alcuni punti centrali per la corretta gestione dell’emergenza,

impegna il Governo

1) a modificare radicalmente la strategia utilizzata ai fini del contenimento della diffusione del virus, inaugurando una pianificazione di interventi di medio e lungo termine che possano instaurare una gestione della situazione epidemiologica trasparente e consapevole, evitando nuove chiusure arbitrarie e improvvise come quelle dettate dagli ultimi d.P.C.m.;

2) a scongiurare la prospettiva di un secondo lockdown nazionale, provvedendo a tal fine:

a) a recuperare i ritardi accumulati sul fronte del rafforzamento del servizio sanitario nazionale, attuando con massima celerità i piani predisposti dalle regioni per il potenziamento delle terapie intensive e, in generale, per il riordino della rete ospedaliera;

b) a potenziare l’assistenza sanitaria territoriale e domiciliare, stanziando ulteriori risorse affinché nelle regioni, compatibilmente con il quadro clinico del paziente, possano essere garantiti i tamponi, gli esami e le terapie, direttamente a domicilio del paziente;

c) a porre rimedio alle problematiche di carattere amministrativo che stanno ostacolando la disponibilità dei trattamenti che sono stati sperimentati con successo nel corso della prima ondata dell’epidemia, agevolando la diffusione della terapia a base di plasma iperimmune e promuovendo, presso l’AIFA, un riesame della decisione presa con riguardo al principio attivo idrossiclorochina, alla luce delle più recenti evidenze scientifiche;

d) ad ampliare ulteriormente le procedure per il reclutamento, in deroga alla normativa vigente e ai vincoli di spesa, di medici, infermieri e altri professionisti sanitari e operatori sociosanitari, al fine di dare supporto alle strutture ospedaliere e alle residenze sanitarie assistenziali ove si registrano situazioni di carenza;

e) ad implementare un database pubblicamente accessibile con tutti i dati necessari per affrontare efficacemente l’epidemia;

f) a garantire la reperibilità e l’esecuzione dei tamponi antigenici rapidi presso le farmacie private convenzionate presenti capillarmente su tutto il territorio nazionale, anche da parte dei farmacisti stessi, definendo a tal fine un apposito protocollo di concerto con le parti coinvolte;

g) ad adottare iniziative per il potenziamento del trasporto pubblico locale, volte a garantire un adeguato distanziamento su tutti i mezzi pubblici, anche attraverso la stipula di convenzioni con gli operatori privati, al fine di garantirne l’operatività in condizioni di sicurezza per i relativi utenti e operatori;

3) a prevedere ulteriori e più efficaci misure di risarcimento per le attività costrette alla chiusura e al fermo lavorativo, garantendo l’addebito diretto della misura di ristoro sui conti correnti di tutti i lavoratori, anche autonomi, danneggiati da nuove limitazioni, e assicurando un rimborso del 75% del fatturato mensile dichiarato nel 2019 per le imprese con meno di 50 dipendenti;

4) ad accelerare l’erogazione degli ammortizzatori Covid, prevedendo interventi di snellimento delle procedure relative alla richiesta ed alla concessione della casa integrazione guadagni;

5) a consentire la riapertura delle attività produttive in base a protocolli di sicurezza e non in base a codici ATECO, consentendo l’esercizio di tutte le attività commerciali, inclusi ristoranti, bar, piscine, palestre e altri, che possano garantire l’applicazione dei protocolli di sicurezza;

6) a modificare il decreto legge 137/2000, cosiddetto “Decreto Ristori”, prevedendo che il diritto al ristoro, a valere sui fondi stanziati, valga anche per le attività colpite da provvedimenti ulteriormente restrittivi adottati dalle Regioni rispetto a quelli adottati in forza dei Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri;

7) in tema di sostegni al mondo imprenditoriale, a passare dalla logica dei bonus e dei ristori una tantum al principio dell’intervento dello Stato a copertura dei “costi fissi” che gravano su imprese e lavoratori autonomi che, a causa delle disposizioni dello Stato stesso, hanno subito una drastica riduzione delle entrate, quali, ad esempio: canoni di locazione, mutui/leasing in essere, utenze, imposte e tasse (in primo luogo quelle attinenti a servizi non fruiti quali tasse sui rifiuti, sull’occupazione del suolo pubblico e simili), premi assicurativi, versamenti contributivi quando indipendenti dal fatturato come nelle Gestioni speciali degli artigiani e dei commercianti;

8) a disporre la sospensione del decreto dignità e la reintroduzione dei voucher per tutti i settori, compresi i voucher familiari, al fine di dare alle imprese la possibilità di sostituire la forza lavorio assente perché contagiata dal virus o in quarantena e proseguire la propria operatività;

9) in tema di locazioni, a modificare la normativa vigente prevedendo, per i proprietari-locatori di immobili, il pagamento delle relative imposte esclusivamente sui canoni effettivamente percepiti;

10) a dichiarare lo stato di crisi per il settore del turismo, fortemente colpito dall’emergenza in corso;

11) a prorogare, per le imprese e i lavoratori autonomi che hanno registrato un significativo calo del fatturato nel semestre marzo-agosto 2020 rispetto al medesimo semestre 2019, il termine di versamento delle imposte sui redditi al 30 giugno 2021 prevedendo l’unificazione degli anni fiscali 2019/2020, ovvero consentendo la compensazione degli utili e delle perdite dei due esercizi;

12) a tenere in debita considerazione, in sede di adozione delle future misure di contenimento, le esigenze dei pazienti non COVID-19 (e, tra questi, dei pazienti cronici e dei pazienti oncologici), assicurando nei loro riguardi la continuità assistenziale e la tutela del diritto alla salute, anche attraverso l’attivazione dei servizi di telemedicina;

13) a garantire una tutela effettiva, da qui fino al termine dell’emergenza, ai lavoratori fragili, alle persone con disabilità (sia essa fisica, sensoriale, relazionale o intellettiva), nonché ai rispettivi familiari e caregiver, assicurando loro un adeguato sostegno economico e assistenziale, anche a livello domiciliare, affinché la progressione della pandemia e l’applicazione delle misure di contenimento non determinino ulteriori regressioni, discriminazioni o isolamenti;

14) a prevedere interventi mirati e appropriati alle diverse fragilità, al fine di non isolare ulteriormente bambini, ragazzi e persone con disabilità – in particolare intellettive – potenziando in modo adeguato l’assistenza socio-sanitaria domiciliare, nell’ottica di prevenire e assistere in sicurezza, consentendo anche a chi svolge attività domiciliare di usufruire di test rapidi a tutela sia propria che dell’utenza;

15) a potenziare l’assistenza domiciliare ed i servizi soprattutto in favore degli anziani, categoria maggiormente vulnerabile, al fine di consentire loro, su base volontaria, di limitare le occasioni che li espongono maggiormente a rischio di contagio;

15) a garantire la tempestiva pubblicità dei verbali del Comitato tecnico scientifico, assicurando un dialogo costante dello stesso anche con i rappresentanti del mondo produttivo e lavorativo;

16) per quanto riguarda la sicurezza delle scuole, ad applicare termoscanner all’ingresso delle strutture scolastiche o delle classi per monitorare la temperatura di alunni e personale, e ad allestire tensostrutture da dedicare alle scuole per aumentare gli spazi disponibili; a prevedere interventi straordinari di edilizia scolastica per adeguare gli ambienti di apprendimento alle disposizioni di sicurezza;

17) a garantire pari opportunità per l’accesso alla didattica a distanza, attraverso l’adozione di ogni iniziativa volta ad assicurare reti accessibili e funzionali, nonché mettendo a disposizione degli studenti, in comodato d’uso, anche attraverso gli stessi istituti scolastici, dispositivi digitali individuali, per la fruizione delle piattaforme, nonché per la necessaria connettività di rete;

18) a garantire che lo stanziamento già previsto di 85 milioni per l’acquisto di dispositivi per la didattica digitale integrata da concedere in comodato d’uso agli studenti meno abbienti sia destinato anche alle scuole paritarie, ora escluse, senza che ci sia bisogno di un apposito emendamento al Decreto definitivo, affinché venga garantita una parità di trattamento per tutti gli studenti.

19) ad effettuare test obbligatori per chi arriva dall’estero con momentanea sospensione degli accordi di Schengen;

20) ad attivare specifiche ed immediate misure per il controllo delle frontiere marittime e terrestre e delle acque territoriali nazionali -, anche attraverso il divieto di ingresso, transito e sosta di ONG straniere e non- , al fine di impedire l’ingresso illegale in territorio italiano di cittadini provenienti da paesi terzi, ad implementare e migliorare gli accordi bilaterali con i paesi di origine e transito dei flussi migratori irregolari e il numero delle riammissioni da essi previsti, infine, per motivi di carattere sanitario e di sicurezza, ad aumentare il numero e la capacità dei centri di permanenza per il rimpatrio e assicurare in ogni caso il trattenimento degli immigrati irregolari qualora non possa essere disposto il loro tempestivo ed effettivo allontanamento dal nostro Paese;

21) a potenziare, rafforzare, implementare gli organici delle Forze di Polizia nazionale, locali e militari e in generale del comparto sicurezza, ordine pubblico del Paese garantendo loro tutte le tutele funzionali, normative e sociali per adempiere al meglio il ruolo di protezione e difesa del Paese anche per le straordinarie esigenze legate all’emergenza sanitaria.




DEF, ECCO LA RISOLUZIONE SENATO E SU COSA IMPEGNA IL GOVERNO. IL TESTO INTEGRALE IN PDF

AGRICOLAE pubblica in PDF la risoluzione all’esame del Senato dove è in corso la discussione del Def.

Tre gli ‘impegni’ ascritti al governo, figurano il potenziamento degli investimenti, attrazione del capitale umano altamente specializzato, misure riduzione del cuneo fiscale; azioni di contrasto al calo demografico; introduzione della ‘quota 100’; avvio del reddito di cittadinanza; riduzione delle spese militari; l’istituzione di una cabina di regia presso il Mef per una riduzione della spesa pubblica; azzeramento del fondo per l’editoria; proseguimento del percorso del referendum di Lombardia e Veneto; riordino della disciplina in materia di disabilità; riassetto della struttura organizzativa dell’Avvocatura dello Stato; disegno di legge per la riforma di alcuni istituti disciplinati dal codice civile. Poi ancora disposizioni per la riqualificazione economica e ambientale delle aree limitrofe a Taranto; implementazione della Banca per gli Investimenti; e maggiori certezze per i risparmiatori.

Di seguito il PDF:

Risoluzione n. 5




AGRICOLTURA: FASIOLO (PD), DA COMMISSIONE OK A RISOLUZIONE SU RILANCIO DEL SETTORE ATTRAVERSO ISTRUZIONE DEI GIOVANI

FASIOLO, STUDIO, ISTRUZIONE, SENATO, AGRICOLTURA, GIOVANI

“Oggi in commissione Agricoltura e Istruzione del Senato è stata votata una risoluzione sull’affare assegnato per il rilancio del settore agricolo in relazione all’istruzione dei giovani e alla formazione tecnica degli operatori. Grazie a una serie di audizioni di esperti è emerso che l’offerta formativa degli istituti tecnici o professionali agrari e alberghieri richiede una formazione tecnico-professionale specifica e innovazione permanente. Le nuove esigenze del mondo agrario e vitivinicolo gravitano attorno al ricambio generazionale attraverso percorsi di avvicinamento dei giovani all’attività lavorativa in agricoltura, favorendo anche l’impiego di soggetti con disabilità nelle aziende agricole, integrando conseguentemente la formazione di tutti gli operatori coinvolti, nel contesto dell’agricoltura sociale”. Lo afferma la senatrice del Pd Laura Fasiolo, relatrice insieme con il senatore Conte dell’affare assegnato approvato oggi.

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“Alla luce di tutto questo – prosegue – abbiamo impegnato il Governo ad intraprendere azioni legate all’innovazione didattica e ad autonome capacità di accesso, da parte degli istituti tecnici e professionali, a fonti di finanziamento quali risorse specifiche e dedicate dei PSR, a supportare gli Istituti scolastici nella partecipazione alle azioni del PNSD ( Piano Nazionale Scuola Digitale) e del PON, a promuovere un piano nazionale di potenziamento degli istituti agrari, a partire da quelli con annessa azienda, in grado di formare operatori e tecnici altamente specializzati che possano inserirsi immediatamente nel mondo del lavoro. Infine, tra le altre cose – conclude Fasiolo – abbiamo impegnato il Governo ad inserire nelle linee guida dell’alternanza scuola-lavoro apposite misure di facilitazione per gli alunni diversamente abili”