Nel 2023, la Turchia è diventata il secondo esportatore mondiale di grano duro, recuperando ben quattordici posizioni, rispetto al 2013, nel ranking mondiale degli esportatori e passando da Paese importatore netto di questo cerale, a Paese leader su scala globale.
La competizione agguerrita che ha esercitato quest’anno con volumi un tempo impensabili per questo Paese, da sempre importatore netto, ha portato il Canada (colosso produttore di grano duro) a slittare, a fine campagna, dal primo al quarto posto degli esportatori globali. A febbraio il ranking mondiale era completamente ribaltato: Russia, al primo posto, seguita da Turchia, Kazakhstan e, poi, Canada.
Le conseguenze di questo nuovo scenario competitivo sono che, innanzitutto, Ottawa sta aumentando gli areali destinati alla semina di grano per compensare le perdite di resa. Si assiste, inoltre, ad una pericolosa corsa al ribasso dei prezzi che i player nordamericani stanno contrastando puntando sulle aggregazioni produttive e su grani di qualità, come il Khorasan venduto a marchio Kamut.
La multinazionale nordamericana ha già annunciato di volere espandere le superfici di produzione anche fino al raddoppio degli attuali 28mila ettari.
La variabile ‘Turchia’ – Per consolidare questo nuovo primato di mercato, Ankara sta aumentando pesantemente gli stock anche acquistando grano duro world wide.
Quello che i commentatori hanno definito ‘l’effetto Turchia’, è indubbiamente la breaking news della campagna cerealicola 2023/2024.
Basti guadare i dati.
Negli ultimi dieci anni, Ankara (che è sempre stata un importatore netto di grano duro) è passata dall’esportazione di 42 tonnellate (registrata nel 2013 a fronte di un import di oltre 580mila tonnellate), all’export di 1,3 milioni di tonnellate di quest’anno (il 40% delle quali vendute in Italia che è il principale produttore di pasta al mondo).
L’import, per contro, 2023 è stato di 285 mila tonnellate, in riduzione rispetto alla media degli ultimi anni.
Dalla differenza dei prezzi euro/chilo all’importazione e all’esportazione, la Turchia ha generato, inoltre, una plusvalenza di almeno 1,3 miliardi di lire turche (circa 40 milioni di euro) rivendendo a circa 400 euro a tonnellata prodotto acquistato dall’estero a 370 e dagli operatori nazionali a 250 euro.
I principali importatori turchi di grano duro nel 2023 sono stati Russia e, ancor prima Kazakhstan, da cui ha acquistato, nel 2023, circa 104mila tonnellate, nonostante la Repubblica del Centr’Asia registri quest’anno perdite di produzione del 37% a causa di condizioni climatiche avverse, secondo quanto riferito da fonti accreditate.
In questo, sono talmente forti i sospetti di triangolazioni che la Commissione europea ha avviato un’indagine per capire l’orikgine del grano duro che arriva in UE, soprattutto in Italia, primo trasformatore mondiale di pasta che deve assolutamente mantenere il ritmo di produzione anche per recuperare la perdita di fatturato degli anni precedenti. In sintesi, i molini devono avere grano di buona qualità da macinare e a buon prezzo, senza se e senza ma e quello turco rappresenterebbe una risposta quantitativamente e qualitativamente adeguata per sostenere la crescita di prezzo della pasta che si registra sui mercati mondiali (+12% in Europa, +8% in Usa).
Sicché, il balzo in avanti della Turchia nell’export di frumento duro, ancora tutto da capire, ha impattato pesantemente sul commercio cerealicolo globale generando un crollo dei prezzi del tutto inaspettato, tanto più se si considera che i principali Paesi produttori del mercato hanno tutti avuto perdite di raccolto a causa delle condizioni meteorologiche avverse che sono state il minimo comun denominatore di questa campagna.
Secondo il report informativo per la Commissione sperimentale nazionale del grano duro del ministero italiano dell’Agricoltura, realizzato da una collaborazione tra Ismea, Istituto nazionale di servizi per il mercato agroalimentare, e le borse merci telematiche delle principali piazze italiane (Bologna, Foggia, Milano e Roma), i cali di rese, oltre a quelli riferiti dal Kazakhstan, sono stati del 30% in Canada, dell’11% in Algeria, del 7,3 negli USA; del 5,5% in Europa e del 4,1% in Messico.
Inoltre, il Consiglio internazionale dei cereali stima che la produzione mondiale di frumento nel 2023/24 sarà al suo livello più basso degli ultimi 22 anni, con le scorte mondiali destinate a scendere al loro livello più basso degli ultimi 30 anni.
In questo scenario, la Turchia, per contro, ha visto un’incremento dei volumi prodotti di circa il 15%, dovuto, secondo quanto annunciato dal governo turco, ad un andamento meteorologico particolarmente favorevole.
La politica cerealicola turca – Fonti ufficiali di Ankara rivelano che la produzione nazionale di grano duro nel 2023 ha raggiunto il livello più alto in 18 anni. Se nel 2021, è stata di 3,15 milioni di tonnellate, nel 2022 di 3,75 milioni di tonnellate, nel 2023 è arrivata a 4,3 milioni di tonnellate con un incremento del 15% anno su anno.
La particolarità di questa campagna, oltre alla conquista del ruolo di esportatore leader, va inquadrata anche nelle dinamiche interne del settore.
Quest’anno, le operazioni di trading di Ankara, sono state svolte direttamente dallo Stato che ha acquistato dagli agricoltori tramite l’Ufficio nazionale delle colture del suolo (TMO), bypassando completamente l’industria di trasformazione che è rimasta fuori dai giochi anche a causa di problemi finanziari a causa della difficoltà di accesso al credito per l’impennata dei tassi di interesse registrata da giugno con la nomina alla presidenza della banca centrale della Repubblica turca della prima governatrice donna, Hafize Gaye Erkan.
Erkan, con un curriculum in ruoli apicali presso, fra gli altri, Goldman Sachs e la statunitense First Republic Bank, ha invertito la rotta della politica economica di Erdogan, denominata ‘Erdoganomics’ perché si è discostata molto delle linee guida della macroeconomia ortodossa.
Il presidente turco, fino a giugno scorso, aveva condotto il Paese verso un’inflazione che ha raggiunto picchi dell’85% con una perdita del valore della lira turca che, nel solo 2023, è stata del 30% rispetto al dollaro Usa, e del 78% se si prendono in considerazione gli ultimi cinque anni.
Per raggiungere questi ‘risultati’ ha speso la maggior parte delle riserve estere per sostenere la lira turca. Alla base di questa politica economica suicida finalizzata alla contrastare il grave impoverimento delle popolazione (sia pure in maniera effimera), c’era il suo obiettivo di venire rieletto alla presidenza, al voto di maggio. Cosa che poi avvenuta a seguito di un ballottaggio piuttosto serrato.
Secondo quanto riferito da Ahmet Guldal, direttore generale dell’Ufficio turco delle colture del suolo, la quantità di cereali prelevati dai produttori nella stagione 2023-2024 supera i 12 milioni di tonnellate che sono state conferite pagando ai produttori il prezzo ‘incredibile’ di 100 miliardi di lire turche (circa 800 lire turche a tonnellata, meno di 250 euro, a cui il governo ha aggiunto anche un bonus ulteriore di mille lire turche a tonnellata, altre 31 euro), il 25% in più rispetto alle quotazioni normalmente riconosciute dall’industria di trasformazione.
“Alla luce dei dati recenti – ha dichiaro Guldal alla rivista ekonomim.com – la produzione mondiale di frumento si riduce del 2,6% arrivando a 783 milioni di tonnellate. Nonostante una certa riduzione, le scorte di apertura della campagna turca erano a livelli record. Inoltre, anche la produzione del principale esportatore mondiale di grano, la Russia, ha registrato un altro livello record. Nelle operazioni di raccolta, sono stati coinvolti 2.500 addetti, 614 punti d’acquisto in tutto il Paese per arrivare a gestire un raccolto record di di oltre 12 milioni di tonnellate”.
“Con tali volumi – precisa Guldal – occorre anche un coordinamento dettagliato dello stoccaggio. L’Ufficio nazionale delle colture del suolo ha una propria capacità di stoccaggio di 4 milioni di tonnellate. Quest’anno, l’ha aumentata a 9,7 milioni di tonnellate, concedendo, per la prima volta, autorizzazioni a magazzini esterni tramite licenza. Una volta superata la quota di stoccaggio, abbiamo anche reso disponibili dei magazzini in affitto per arrivare ad avere un’ulteriore quota di prodotto accantonato di 2,5 milioni di tonnellate”.
Questa politica, chiamata di ‘open stocking’, è stata coordinata interamente dall’Ufficio nazionale delle colture del suolo e ha incrementato la capacità di stoccaggio fino ad arrivare a quota potenziale di 22 milioni di tonnellate di cui 6,5 milioni da magazzini autorizzati e in affitto.
Il mercato italiano del grano duro – ‘L’anomalia turca’ del 2023 ha mandato in sofferenza gli agricoltori italiani e tutti i player del mondo occidentale, primo fra tutti i Canada.
Quest’ultimo che sperava di rifarsi nella seconda parte della stagione cerealicola, adesso si ritrova parecchio prodotto che non riesce a vendere a causa della saturazione del mercato con la conseguenza che le quotazioni sono scese a 260 euro a tonnellata a febbraio e che i suoi stock stanno salendo alle stelle anche per via del grano di riporto, ossia spedito e restituito al mittente.
“Se anche la Turchia abbia raddoppiato la produzione media nel corso del 2023 – precisa Carlo Maresca, presidente della Federazione nazionale cereali alimentari di Confagricoltura, Confederazione Generale dellaAgricoltura Italiana, uno dei principali sindacati dei produttori del Paese -, il che di per sé è già un dato sorprendente; significherebbe che in alcune zone produttive del Paese, le rese siano state addirittura triple e questo è impossibile. Da qui si può dedurre che le operazioni di trading internazionale di frumento duro operate dalla Turchia nel 2023, soprattutto nei mesi di giugno, luglio, agosto e settembre, non possono essere giustificate solo da un aumento della produzione interna”.
Il sospetto degli operatori è che, dietro questo exploit, si possano celare operazioni di dumping finanziario in violazione degli accordi doganali tra Unione e Turchia. Sono molti i dubbi e interrogativi da parte dei player su questa manovra, che ha consentito al settore molitorio e pastaio italiano di disporre di materia prima estera in anticipo sui normali tempi di consegna da Usa e Canada e ad un prezzo stracciato rispetto alle quotazioni nazionali ed ai prezzi di riferimento internazionali.
Per questo motivo in passato sono state presentate alcune interrogazioni parlamentari in Parlamento Ue, in Senato e alla Camera il cui obiettivo era cercare di capire se la Turchia (o anche la Russia aggirando l’embargo), abbiano effettivamente commesso un’attività di dumping e, se così fosse, perché non siano state fermate. In seconda battuta, verificare se siano stati effettuati adeguati controlli sanitari alla frontiera ai sensi del Regolamento Ue 1158/2020, atteso che le derrate provenienti da Turchia e Russia sono a rischio di contaminazione nucleare, precisamente da Cesio 137, un radionuclide risultato dell’esplosione della centrale nucleare di Cernobyl, avvenuta nell’aprile 1986.
Anche la Commissione Europea è stata chiamata in causa per accertare se dietro il crollo dei prezzi in Italia c’è un caso di dumping in violazione degli accordi doganali tra Unione e Turchia.
Cosimo Montanaro, responsabile dell’Area Mercati, Analisi e informazioni del mercato agricolo e agroalimentare di Ismea segnala, però, che: “Il frumento turco non può influenzare il mercato nel mondo perché non ha un ruolo importante nell’export mondiale. Si tratta di cifre irrisorie rispetto al valore del mercato mondiale nel suo complesso che, tra import ed export, si riferisce a circa 40 milioni di tonnellate di prodotto. Il fenomeno di boom di esportazioni turche, circoscritto ai mesi estivi, andrebbe letto, con ogni probabilità, in un’ottica meramente congiunturale”.
Si dubita che il cosiddetto ‘effetto Turchia’ possa essere un fenomeno di una sola stagione. Secondo la Fao, quello destinato al mercato europeo ha registrato un costante incremento nell’ultimo quinquennio. Si è passati dalle 30mila tonnellate del 2019, alle 46mila del 2022 a circa 1 milione nel 2023 a conferma di una politica espansionistica in atto in questo settore da parte di Ankara.
“La mancanza di trasparenza su queste operazioni – precisa Valerio Filetti, presidente dell’associazione granaria di Bologna – richiederebbe analisi approfondite tanto più che stiamo parlando di un boom di export da un Paese che è da sempre stato importatore netto di grano duro per via di una produzione gravemente deficitaria rispetto al fabbisogno nazionale. Le dinamiche della guerra in Ucraina hanno variato canali di sbocco naturali e non essendoci più la disponibilità di alcuni porti nel flusso regolare delle merci da questi paesi, il trasporto si è spostato su altri mezzi come quelli su strada e su ferrovia”.
Il mercato italiano della pasta – L’Italia esporta ogni anno 3,6 milioni di tonnellate di pasta che generano un giro d’affari di 7 miliardi di euro. Una cifra che è in ascesa anche a causa della spinta inflattiva generalizzata.
“Non esistono ancora dati definitivi relativamente alle importazioni di grano duro turco in Italia nel primo semestre (luglio-dicembre 2023) dell’attuale campagna di commercializzazione – afferma Piero Luigi Piano, direttore di Italmopa, l’associazione dell’industria molitoria italiana -, ma stimiamo che il volume totale possa risultare di 450mila tonnellate circa, su un totale di circa 1,1 milioni tonnellate di frumento duro importate da paesi terzi. L’Italia è strutturalmente deficitaria in frumento duro e le importazioni coprono mediamente il 35 percento del fabbisogno dell’Industria della trasformazione. E’ importante precisare che tali importazioni sono complementari e non alternative alla produzione nazionale e pertanto il loro volume fluttua annualmente in funzione dell’esito quantitativo e qualitativo del nostro raccolto. Certamente i risultati non sempre soddisfacenti registrati negli ultimi anni, soprattutto per via di condizioni climatiche sfavorevoli, hanno necessitato un maggior ricorso alle importazioni che quest’anno potrebbero globalmente raggiungere o anche superare 2 milioni di tonnellate. Il volume di frumento duro trasformato in semola si attesta mediamente, e annualmente, intorno a 6 milioni di tonnellate. Si tratta di un quantitativo che fa registrare dei piccoli incrementi riconducibili in primis all’andamento positivo delle nostre esportazioni di pasta che rappresentano ormai il 60 percento della produzione nazionale”.
Il mercato canadese – Dal rapporto del 16 ottobre 2023 della Commissione per lo Sviluppo del Grano in Saskatchewan si apprende che, guardando al perimetro delle esportazioni di Ankara: “La Tunisia, in una sola asta, ha acquistato 100mila tonnellate di grano duro a 415-419 dollari Usa alla tonnellata, prezzo Cif (costo di assicurazione e nolo) di origine turca. L’ingresso della Turchia sul mercato mondiale del grano duro – si afferma nel rapporto – è forte di una produzione 2023/2024 stimata in 4 milioni di tonnellate di cui una buona parte già spedita principalmente in Italia e Canada”.
Un passaggio non da poco che riduce anche la forbice della bilancia commerciale non solo tra Turchia e Italia ma anche tra Turchia e il colosso cerealicolo Canada che, da sempre, è nel ranking dei principali esportatori verso Ankara e che quest’anno ha visto erodersi la quota di mercato in Europa, del 72%.
Da Saskatchewan fanno sapere che: “I valori del grano duro canadese continueranno a soffrire fino al ritorno della domanda in Canada nella seconda metà dell’anno di commercializzazione”, ossia non prima di gennaio-febbraio 2024”.
L’export di Ankara Oltreoceano, è considerato una vera e propria offensiva commerciale anche perché comporta che i prezzi Fob (Franco a Bordo) e all’ingrosso per l’esportazione in progressiva riduzione, accompagnati dalla riduzione dei prezzi delle offerte degli agricoltori canadesi sia spot che a consegna differita.Un effetto che si ripercuote su scala globale.
Per controllare la volatilità dei prezzi di mercato e l’andamento delle rese legate all’incertezza dell’andamento climatico, il governo di Ottawa ha realizzato nell’ultimo biennio due grandi accorpamenti tra big player del mercato. Da un lato, la fusione della della Saskatchewan Wheat Development Commission con la Saskatchewan Winter Cereals Development Commission, entrata in vigore dallo scorso primo agosto scorso.
D’altro canto la fusione tra la Bunge Ltd, colosso statunitense dell’agroalimentare, e Viterra, principale trader di grano canadese controllato dal gruppo svizzero Glencore che a sua volta vede tra i principali azionisti, due grandi fondi pensionistici nordamericani: il Canada Pension Plan Investment Board e British Columbia Investment Management Corporation- Quest’ultima operazione si concluderà a metà del 2024.
Secondo i termini dell’accordo, Glencore riceverà circa 3,1 miliardi di dollari in azioni Bunge e 1 miliardo di dollari in contanti, oltre alla partecipazione del 50% in Viterra, con il risultato che Glencore deterrà quindi circa il 15% delle partecipazioni nel gruppo aggregato. Glencore ha accettato di non vendere alcuna azione di Bunge per un periodo di 12 mesi dopo il completamento della fusione e, successivamente, di vendere solo azioni di Bunge nell’ambito di vendite ordinate. Glencore rivedrà periodicamente la propria strategia rispetto alla partecipazione e l’operazione di fusione.
Il blocco commerciale che si viene così a creare anche in risposta alla gestione degli stock di grano, strumento principale per l’andamento dei prezzi di mercato, per la maggior parte in mano all’asse asiatico (Cina e Russia) e che riguarda ben più della metà delle scorte globali, preoccupa non poco gli agricoltori perché l’obiettivo (per il momento) comune a tutte le potenze coinvolte, è quello di tenere il prezzo del grano basso. Certamente per contrastare la spinta inflattiva. Ma l’effetto secondario di queste tattiche è l’innegabile che porti ad un indebolimento del tessuto produttivo e della sovranità alimentare.
Una preoccupazione che ha portato i gruppi agricoli canadesi a chiedere sin da subito un maggiore controllo dell’operazione di accorpamento che determina un maggiore controllo del mercato.
La logistica – Uno dei fattori che incide sulla competitività dei player mondiali del grano duro è dato dal costo dei noli che sono impennati a seguito della guerra tra Israele e Gaza e il blocco del canale di Suez, o meglio del Corno d’Africa controllato dagli Huthi yemeniti filo-Hamas che lavorano per bloccare il passaggio delle navi destinate a transitare da Suez.
In questo modo, il grano in partenza dai porti nordamericani e in arrivo in Nord Africa ed Europa, dovrà viaggiare più del previsto per arrivare a destinazione, vuoi per la siccità in centro America che ha ridotto in maniera sensibile la portata del canale di Panama, e vuoi per il perdurare e l’ampliarsi del conflitto in Medio Oriente.
I riflessi sui prezzi di questo fenomeno sono ancora poco avvertiti, anche se in Italia i recenti rincari di Foggia e Napoli hanno già fatto segnare un primo punto a favore dei grani duri nazionali. Tuttavia i prezzi Fob per il Canadian Wheat Amber Durum saranno determinati presto, secondo gli esperti, solo dalle quotazioni di Vancouver, porto principale di partenza del grano duro canadese.
L’ostruzione dei porti canadesi della regione dei grandi laghi a causa del ghiaccio – attiva già dai primi mesi dell’anno – è stata seguita il 5 gennaio scorso dalla chiusura programmata della St. Lawrence Seaway, che ha isolato definitivamente fino a primavera tutti i porti cerealicoli nordamericani della regione dei grandi laghi della costa dell’Atlantico.
Si registrano, inoltre, importanti difficoltà a far viaggiare le navi attraverso il Canale di Panama, afflitto da una perdurante siccità che ne limita la capacità, riducendo il tonnellaggio delle navi in grado di attraversarlo e rallentando il traffico.
Questo significa che le navi in partenza dal porto di Vancouver in Canada, sulla costa del Pacifico, hanno solo tre strade per raggiungere l’Europa: percorrere l’Oceano Pacifico fino a guadagnare il Mar Rosso e da lì il Canale di Suez, oppure sulla stessa strada doppiare il burrascoso Capo di Buona Speranza davanti alle coste del Sud Africa, o ancora, terza ipotesi, guadagnare l’Atlantico dallo Stretto di Magellano in Cile.
Ma i recenti atti di guerra e pirateria contro i cargo mercantili, verificatisi nel Mar Rosso, stanno di fatto riducendo a sole due le vie del mare percorribili, che sono le più lunghe ed onerose: il Capo di Buona Speranza e lo Stretto di Magellano. A questi, ovviamente, si aggiunge quella, oggi più strategica che mani, del cosiddetto Corridoio di Mezzo, la via Transcaspica che, ridicendo le distanze di 2mila chilometri, privilegia le spedizioni tra Oriente e Occidente.
Mariangela Latella
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