Consiglio Ue, dalla Russia alla sicurezza Ue fino all’agricoltura e Medio Oriente. LE CONCLUSIONI E IL DOCUMENTO

Di seguito AGRICOLAE pubblica le conclusioni del Consiglio Ue in tema di agricoltura e il pdf con il documento completo, dalla Russia alla sicurezza Ue fino all’agricoltura e Medio Oriente.

Qui le conclusioni in pdf: 

euco-conclusions-2122032024-it

 

AGRICOLTURA

41. Il Consiglio europeo sottolinea l’importanza di un settore agricolo resiliente e sostenibile per la sicurezza alimentare e l’autonomia strategica dell’Unione, il valore di comunità rurali dinamiche e il ruolo essenziale della politica agricola comune a tale riguardo. Gli agricoltori necessitano di un quadro stabile e prevedibile, anche per accompagnarli nell’affrontare le sfide ambientali e climatiche.

42. Il Consiglio europeo è tornato a discutere delle attuali sfide nel settore agricolo e delle preoccupazioni espresse dagli agricoltori. Ha fatto il punto sui lavori in corso a livello europeo. Il Consiglio europeo invita la Commissione e il Consiglio a portare avanti senza indugio i lavori, in particolare per quanto riguarda:

a) tutte le possibili misure a breve e medio termine e soluzioni innovative, comprese quelle tese a ridurre gli oneri amministrativi e a realizzare una semplificazione per gli agricoltori;

b) il rafforzamento della posizione degli agricoltori nella filiera alimentare, in particolare al fine di garantire un reddito equo;

c) l’allentamento della pressione finanziaria sugli agricoltori mediante l’elaborazione di modalità di sostegno supplementare, come ad esempio la proroga del quadro temporaneo per gli aiuti di Stato, riferendo in merito in occasione del prossimo Consiglio europeo; d) la garanzia di una concorrenza leale e basata su regole a livello mondiale e nel mercato interno; e) modalità eque ed equilibrate per affrontare le questioni connesse alle misure commerciali autonome per l’Ucraina, preparando nel contempo una soluzione nel quadro dell’accordo di associazione/della zona di libero scambio globale e approfondita UE-Ucraina.

43. Il Consiglio europeo continuerà a seguire la situazione.

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Grano, Turchia diventa secondo esportatore mondiale dopo la Russia. E il 40% lo importa l’Italia. Al via l’Open Stocking

 




Compag: positiva clausola di salvaguardia per i prodotti cerealicoli provenienti da Kiev e stretta sulle importazioni russe

“Le importanti turbative del mercato, che si registrano oramai in maniera costante da settimane con i prezzi dei cereali – in particolare del grano – in forte discesa, stanno suscitando una grande preoccupazione da parte degli agricoltori e degli stoccatori italiani. Questi ultimi sono fortemente penalizzati da un mercato fermo, saturato dalle importazioni, con magazzini pieni di merce in prossimità dell’avvio dell’imminente campagna di raccolta del grano duro” afferma Fabio Manara, Presidente di COMPAG, la federazione nazionale delle rivendite agrarie.

Il grano duro ha registrato negli ultimi mesi un notevole aumento delle importazioni, con circa 3 milioni di tonnellate importate nel 2023. Tali politiche di import hanno implicato una significativa discesa delle quotazioni del prodotto italiano e una mancata richiesta di prodotto da parte dell’industria di trasformazione, già soddisfatta dagli approvvigionamenti di prodotto estero. I prezzi del prodotto italiano non sono competitivi rispetto a quelli del prodotto importato e ciò determina una scarsa marginalità per gli agricoltori, con un prezzo del grano duro che è sceso in media del 30% rispetto a inizio campagna di commercializzazione.

Le importazioni, per quanto necessarie a soddisfare la richiesta dell’industria di trasformazione a fronte di una non autosufficienza nazionale, andrebbero gestite in maniera tale da non creare perturbazioni significative al mercato nazionale, soprattutto riguardo alle produzioni tipiche dell’agricoltura italiana.

“Ci troviamo inoltre concordi in merito alla limitazione delle importazioni da Kiev – che nel 2023 ha aumentato le esportazioni di cereali verso i Paesi dell’UE – approvata dall’Assemblea plenaria del Parlamento europeo.  Quest’ultimo ha deciso di applicare il freno di emergenza su grano tenero, mais, orzo, avena e miele” continua Manara. “Al superamento della media delle esportazioni destinate al mercato europeo nel biennio 2021-2023 scatterà il ripristino dei dazi ordinari che erano stati sospesi nel 2022 con l’inizio della guerra in Ucraina. Nell’attesa di un via libera della misura a seguito del trilogo, auspichiamo che vengano assunte quanto prima iniziative per tutelare il mercato europeo e dunque quello italiano, attualmente in fase di forte sofferenza”.

Si registra una vera e propria invasione di prodotto proveniente dalla Russia che transita attraverso il Mar Nero, che sta facendo crollare le quotazioni del grano, destabilizzando il mercato e favorendo le speculazioni.  “Occorre fare un ulteriore passo regolando le importazioni dalla Russia che arrivano nel nostro territorio attraverso il Mar Nero” dichiara Manara “perché se l’obiettivo della UE è quello di avere una maggiore produzione interna per limitare la dipendenza dalle importazioni, è necessario adottare misure che tutelino le produzioni europee”.

A livello nazionale, sta prendendo avvio il registro di carico e scarico dei cereali – il cosiddetto Granaio Italia – previsto dalla Legge 178/2020, strumento nato per il monitoraggio dei cereali con l’obiettivo di rilevare eventuali anomalie legate all’origine della materia prima, a tutela del consumatore e degli agricoltori italiani.

“Siamo soddisfatti del confronto con l’On. La Pietra, Sottosegretario di Stato per il Ministero delle politiche agricole, della sovranità alimentare e delle foreste, che abbiamo incontrato in occasione della riunione convocata il 13 marzo scorso avente ad oggetto l’applicazione del registro di carico e scarico per il settore cerealicolo” conviene il Presidente di Compag, considerando buone le intenzioni del Ministero e le modifiche finora prospettate, e auspicando che anche per i prossimi passaggi venga mantenuto il confronto e la condivisione sull’avvio del registro telematico.

COMPAG condivide la necessità di attuare un monitoraggio delle produzioni cerealicole a livello nazionale, purché i dati possano essere fruibili da parte degli operatori obbligati alla tenuta del registro e, soprattutto, purché quest’ultimo non si traduca in un ulteriore carico burocratico e in un eccessivo appesantimento dell’operatività dei centri interessati dalla misura.




Grano, quotazioni in calo, Puglia in difficoltà. Vuolo (FI): Necessario intervento sulle importazioni sia russe che turche

“E’ in atto una vera a propria speculazione sul prezzo del grano duro. La Borsa Merci di Foggia certifica un significativo calo dei prezzi. Nell’ultimo mese e mezzo il calo è di 68 euro a tonnellata. Un dato certamente allarmante conseguenza dell’incremento di importazioni in Italia di grano dure dalla Russia. I dati Istat, relativi al periodo gennaio – novembre del 2023, attestano che le importazioni in Italia di grano duro dalla Russia ammontano a circa 400 mila tonnellate. Paragonando il dato allo stesso periodo del 2022, la quota si attesta attorno alle 32 mila tonnellate con un incremento di oltre il 1.100 %. Questa situazione mette a rischio la sopravvivenza di circa 200.000 aziende agricole con la

conseguenza di compromettere la continuità produttiva di grano duro in Italia. Al pari di quanto successo con il grano di importazione Turca, ho deciso di intervenire nuovamente e di chiedere alla Commissione europea di “prevedere l’estensione delle sanzioni ai prodotti agroalimentari russi, per salvaguardare la produzione interna italiana ed europea e di attuare politiche trasparenti per il contenimento delle importazioni. In particolar modo, ho chiesto all’esecutivo europeo di utilizzare il fondo di riserva agricola prevista dalla PAC per calmierare le perdite dei cerealicoltori italiani” Questo è il succo dell’interrogazione dell’Onorevole Lucia Vuolo presentata lo scorso 15 marzo alla Commissione europea.

 

Interrogazione con richiesta di risposta scritta alla Commissione

Articolo 138 del regolamento
Lucia Vuolo (PPE)

Oggetto: Quotazioni di grano duro in netto calo in Italia, necessaria una politica di intervento sulle importazioni dalla Russia

I dati Istat relativi al periodo gennaio – novembre del 2023 attestano che le importazioni in Italia di grano duro dalla Russia ammontano a circa 400 mila tonnellate. Paragonando il dato allo stesso periodo del 2022 la quota si attesta attorno alle 32 mila tonnellate con un incremento di oltre il 1.100 %. In Italia, soprattutto in Regioni come la Puglia, è in atto una speculazione sul prezzo del grano duro e la Borsa Merci di Foggia[1] certifica un calo che solo nell’ultimo mese e mezzo (febbraio – metà marzo 2024) è di 68 euro a tonnellata per le tipologie quali Fino, Mercantile, Buono Mercantile e biologico.
Questa situazione mette a rischio la sopravvivenza di circa 200.000 aziende agricole con la conseguenza di compromettere la continuità produttiva di grano duro in Italia.

Alla luce di quanto esposto, si chiede alla Commissione di:

1. prevedere l’estensione delle sanzioni ai prodotti agroalimentari russi, per salvaguardare la produzione interna italiana ed europea;
2. attuare politiche di maggiore trasparenza sui mercati con politiche di contenimento delle importazioni;
3. utilizzare il fondo di riserva agricola prevista dalla PAC per calmierare le perdite dei cerealicoltori italiani.

[1] https://www.fg.camcom.it/ Presentazione: 15.3.2024

 

 

 

 

 




Ue: Coldiretti, bene “stangata” da 40 mln su grano Putin

La decisione della Ue di imporre dazi sul grano di Putin si tradurrà in una “stangata” da oltre 40 milioni di euro di dazi aggiuntivi sulle importazioni di prodotto dalla Russia e risponde alle richieste di Coldiretti di tutelare i produttori italiani colpiti dal drammatico crollo delle quotazioni causate dall’invasione selvaggia di prodotto straniero. E’ quanto emerge da una stima Coldiretti diffusa in merito alla notizia del Financial Times sul fatto che nei prossimi giorni la Commissione europea si stia preparando ad introdurre una tariffa di 95 euro la tonnellata sui cereali provenienti dalla Russia e dalla Bielorussia.

Nel 2023 si è registrata un’invasione di grano duro russo per la pasta mai registrata prima della storia, con quasi mezzo milione di tonnellate che sono entrate nel nostro Paese, più del 1000% in più rispetto all’anno precedente, con un effetto dirompente sui prezzi pagati agli agricoltori italiani a causa di speculazioni e concorrenza sleale, secondo l’analisi del Centro Studi Divulga.

A tale invasione si è aggiunta peraltro quello dalla Turchia, Paese spesso oggetto di triangolazioni dello stesso grano russo, per un totale complessivo di oltre 1 milione di tonnellate di prodotto che hanno varcato i confini nazionali e abbattuto del 60% il prezzo del grano italiano. Si tratta di valori che – rileva la Coldiretti – portano la coltivazione ampiamente sotto i costi di produzione, rendendola di fatto antieconomica ed esponendo le aziende agricole al rischio crack, soprattutto nelle aree interne senza alternative produttive.

L’idea della Commissione di imporre dazi – conclude Coldiretti – è un primo passo verso uno stop deciso alle importazioni sleali, al quale devono essere aggiunte più risorse per i contratti di filiera del grano. Solo così sarà possibile tutelare il reddito degli agricoltori.




Grano, Turchia diventa secondo esportatore mondiale dopo la Russia. E il 40% lo importa l’Italia. Al via l’Open Stocking

Nel 2023, la Turchia è diventata il secondo esportatore mondiale di grano duro, recuperando ben quattordici posizioni, rispetto al 2013, nel ranking mondiale degli esportatori e passando da Paese importatore netto di questo cerale, a Paese leader su scala globale.

La competizione agguerrita che ha esercitato quest’anno con volumi un tempo impensabili per questo Paese, da sempre importatore netto, ha portato il Canada (colosso produttore di grano duro) a slittare, a fine campagna, dal primo al quarto posto degli esportatori globali. A febbraio il ranking mondiale era completamente ribaltato: Russia, al primo posto, seguita da Turchia, Kazakhstan e, poi, Canada.

Le conseguenze di questo nuovo scenario competitivo sono che, innanzitutto, Ottawa sta aumentando gli areali destinati alla semina di grano per compensare le perdite di resa. Si assiste, inoltre, ad una pericolosa corsa al ribasso dei prezzi che i player nordamericani stanno contrastando puntando sulle aggregazioni produttive e su grani di qualità, come il Khorasan venduto a marchio Kamut.

La multinazionale nordamericana ha già annunciato di volere espandere le superfici di produzione anche fino al raddoppio degli attuali 28mila ettari.
La variabile ‘Turchia’ – Per consolidare questo nuovo primato di mercato, Ankara sta aumentando pesantemente gli stock anche acquistando grano duro world wide.

Quello che i commentatori hanno definito ‘l’effetto Turchia’, è indubbiamente la breaking news della campagna cerealicola 2023/2024.
Basti guadare i dati.

Negli ultimi dieci anni, Ankara (che è sempre stata un importatore netto di grano duro) è passata dall’esportazione di 42 tonnellate (registrata nel 2013 a fronte di un import di oltre 580mila tonnellate), all’export di 1,3 milioni di tonnellate di quest’anno (il 40% delle quali vendute in Italia che è il principale produttore di pasta al mondo).

L’import, per contro, 2023 è stato di 285 mila tonnellate, in riduzione rispetto alla media degli ultimi anni.
Dalla differenza dei prezzi euro/chilo all’importazione e all’esportazione, la Turchia ha generato, inoltre, una plusvalenza di almeno 1,3 miliardi di lire turche (circa 40 milioni di euro) rivendendo a circa 400 euro a tonnellata prodotto acquistato dall’estero a 370 e dagli operatori nazionali a 250 euro.

I principali importatori turchi di grano duro nel 2023 sono stati Russia e, ancor prima Kazakhstan, da cui ha acquistato, nel 2023, circa 104mila tonnellate, nonostante la Repubblica del Centr’Asia registri quest’anno perdite di produzione del 37% a causa di condizioni climatiche avverse, secondo quanto riferito da fonti accreditate.

In questo, sono talmente forti i sospetti di triangolazioni che la Commissione europea ha avviato un’indagine per capire l’orikgine del grano duro che arriva in UE, soprattutto in Italia, primo trasformatore mondiale di pasta che deve assolutamente mantenere il ritmo di produzione anche per recuperare la perdita di fatturato degli anni precedenti. In sintesi, i molini devono avere grano di buona qualità da macinare e a buon prezzo, senza se e senza ma e quello turco rappresenterebbe una risposta quantitativamente e qualitativamente adeguata per sostenere la crescita di prezzo della pasta che si registra sui mercati mondiali (+12% in Europa, +8% in Usa).

Sicché, il balzo in avanti della Turchia nell’export di frumento duro, ancora tutto da capire, ha impattato pesantemente sul commercio cerealicolo globale generando un crollo dei prezzi del tutto inaspettato, tanto più se si considera che i principali Paesi produttori del mercato hanno tutti avuto perdite di raccolto a causa delle condizioni meteorologiche avverse che sono state il minimo comun denominatore di questa campagna.

Secondo il report informativo per la Commissione sperimentale nazionale del grano duro del ministero italiano dell’Agricoltura, realizzato da una collaborazione tra Ismea, Istituto nazionale di servizi per il mercato agroalimentare, e le borse merci telematiche delle principali piazze italiane (Bologna, Foggia, Milano e Roma), i cali di rese, oltre a quelli riferiti dal Kazakhstan, sono stati del 30% in Canada, dell’11% in Algeria, del 7,3 negli USA; del 5,5% in Europa e del 4,1% in Messico.

Inoltre, il Consiglio internazionale dei cereali stima che la produzione mondiale di frumento nel 2023/24 sarà al suo livello più basso degli ultimi 22 anni, con le scorte mondiali destinate a scendere al loro livello più basso degli ultimi 30 anni.
In questo scenario, la Turchia, per contro, ha visto un’incremento dei volumi prodotti di circa il 15%, dovuto, secondo quanto annunciato dal governo turco, ad un andamento meteorologico particolarmente favorevole.

La politica cerealicola turca – Fonti ufficiali di Ankara rivelano che la produzione nazionale di grano duro nel 2023 ha raggiunto il livello più alto in 18 anni. Se nel 2021, è stata di 3,15 milioni di tonnellate, nel 2022 di 3,75 milioni di tonnellate, nel 2023 è arrivata a 4,3 milioni di tonnellate con un incremento del 15% anno su anno.

La particolarità di questa campagna, oltre alla conquista del ruolo di esportatore leader, va inquadrata anche nelle dinamiche interne del settore.
Quest’anno, le operazioni di trading di Ankara, sono state svolte direttamente dallo Stato che ha acquistato dagli agricoltori tramite l’Ufficio nazionale delle colture del suolo (TMO), bypassando completamente l’industria di trasformazione che è rimasta fuori dai giochi anche a causa di problemi finanziari a causa della difficoltà di accesso al credito per l’impennata dei tassi di interesse registrata da giugno con la nomina alla presidenza della banca centrale della Repubblica turca della prima governatrice donna, Hafize Gaye Erkan.

Erkan, con un curriculum in ruoli apicali presso, fra gli altri, Goldman Sachs e la statunitense First Republic Bank, ha invertito la rotta della politica economica di Erdogan, denominata ‘Erdoganomics’ perché si è discostata molto delle linee guida della macroeconomia ortodossa.
Il presidente turco, fino a giugno scorso, aveva condotto il Paese verso un’inflazione che ha raggiunto picchi dell’85% con una perdita del valore della lira turca che, nel solo 2023, è stata del 30% rispetto al dollaro Usa, e del 78% se si prendono in considerazione gli ultimi cinque anni.

Per raggiungere questi ‘risultati’ ha speso la maggior parte delle riserve estere per sostenere la lira turca. Alla base di questa politica economica suicida finalizzata alla contrastare il grave impoverimento delle popolazione (sia pure in maniera effimera), c’era il suo obiettivo di venire rieletto alla presidenza, al voto di maggio. Cosa che poi avvenuta a seguito di un ballottaggio piuttosto serrato.

Secondo quanto riferito da Ahmet Guldal, direttore generale dell’Ufficio turco delle colture del suolo, la quantità di cereali prelevati dai produttori nella stagione 2023-2024 supera i 12 milioni di tonnellate che sono state conferite pagando ai produttori il prezzo ‘incredibile’ di 100 miliardi di lire turche (circa 800 lire turche a tonnellata, meno di 250 euro, a cui il governo ha aggiunto anche un bonus ulteriore di mille lire turche a tonnellata, altre 31 euro), il 25% in più rispetto alle quotazioni normalmente riconosciute dall’industria di trasformazione.

“Alla luce dei dati recenti – ha dichiaro Guldal alla rivista ekonomim.com – la produzione mondiale di frumento si riduce del 2,6% arrivando a 783 milioni di tonnellate. Nonostante una certa riduzione, le scorte di apertura della campagna turca erano a livelli record. Inoltre, anche la produzione del principale esportatore mondiale di grano, la Russia, ha registrato un altro livello record. Nelle operazioni di raccolta, sono stati coinvolti 2.500 addetti, 614 punti d’acquisto in tutto il Paese per arrivare a gestire un raccolto record di di oltre 12 milioni di tonnellate”.

“Con tali volumi – precisa Guldal – occorre anche un coordinamento dettagliato dello stoccaggio. L’Ufficio nazionale delle colture del suolo ha una propria capacità di stoccaggio di 4 milioni di tonnellate. Quest’anno, l’ha aumentata a 9,7 milioni di tonnellate, concedendo, per la prima volta, autorizzazioni a magazzini esterni tramite licenza. Una volta superata la quota di stoccaggio, abbiamo anche reso disponibili dei magazzini in affitto per arrivare ad avere un’ulteriore quota di prodotto accantonato di 2,5 milioni di tonnellate”.

Questa politica, chiamata di ‘open stocking’, è stata coordinata interamente dall’Ufficio nazionale delle colture del suolo e ha incrementato la capacità di stoccaggio fino ad arrivare a quota potenziale di 22 milioni di tonnellate di cui 6,5 milioni da magazzini autorizzati e in affitto.
Il mercato italiano del grano duro – ‘L’anomalia turca’ del 2023 ha mandato in sofferenza gli agricoltori italiani e tutti i player del mondo occidentale, primo fra tutti i Canada.
Quest’ultimo che sperava di rifarsi nella seconda parte della stagione cerealicola, adesso si ritrova parecchio prodotto che non riesce a vendere a causa della saturazione del mercato con la conseguenza che le quotazioni sono scese a 260 euro a tonnellata a febbraio e che i suoi stock stanno salendo alle stelle anche per via del grano di riporto, ossia spedito e restituito al mittente.

“Se anche la Turchia abbia raddoppiato la produzione media nel corso del 2023 – precisa Carlo Maresca, presidente della Federazione nazionale cereali alimentari di Confagricoltura, Confederazione Generale dellaAgricoltura Italiana, uno dei principali sindacati dei produttori del Paese -, il che di per sé è già un dato sorprendente; significherebbe che in alcune zone produttive del Paese, le rese siano state addirittura triple e questo è impossibile. Da qui si può dedurre che le operazioni di trading internazionale di frumento duro operate dalla Turchia nel 2023, soprattutto nei mesi di giugno, luglio, agosto e settembre, non possono essere giustificate solo da un aumento della produzione interna”.
Il sospetto degli operatori è che, dietro questo exploit, si possano celare operazioni di dumping finanziario in violazione degli accordi doganali tra Unione e Turchia. Sono molti i dubbi e interrogativi da parte dei player su questa manovra, che ha consentito al settore molitorio e pastaio italiano di disporre di materia prima estera in anticipo sui normali tempi di consegna da Usa e Canada e ad un prezzo stracciato rispetto alle quotazioni nazionali ed ai prezzi di riferimento internazionali.

Per questo motivo in passato sono state presentate alcune interrogazioni parlamentari in Parlamento Ue, in Senato e alla Camera il cui obiettivo era cercare di capire se la Turchia (o anche la Russia aggirando l’embargo), abbiano effettivamente commesso un’attività di dumping e, se così fosse, perché non siano state fermate. In seconda battuta, verificare se siano stati effettuati adeguati controlli sanitari alla frontiera ai sensi del Regolamento Ue 1158/2020, atteso che le derrate provenienti da Turchia e Russia sono a rischio di contaminazione nucleare, precisamente da Cesio 137, un radionuclide risultato dell’esplosione della centrale nucleare di Cernobyl, avvenuta nell’aprile 1986.

Anche la Commissione Europea è stata chiamata in causa per accertare se dietro il crollo dei prezzi in Italia c’è un caso di dumping in violazione degli accordi doganali tra Unione e Turchia.
Cosimo Montanaro, responsabile dell’Area Mercati, Analisi e informazioni del mercato agricolo e agroalimentare di Ismea segnala, però, che: “Il frumento turco non può influenzare il mercato nel mondo perché non ha un ruolo importante nell’export mondiale. Si tratta di cifre irrisorie rispetto al valore del mercato mondiale nel suo complesso che, tra import ed export, si riferisce a circa 40 milioni di tonnellate di prodotto. Il fenomeno di boom di esportazioni turche, circoscritto ai mesi estivi, andrebbe letto, con ogni probabilità, in un’ottica meramente congiunturale”.
Si dubita che il cosiddetto ‘effetto Turchia’ possa essere un fenomeno di una sola stagione. Secondo la Fao, quello destinato al mercato europeo ha registrato un costante incremento nell’ultimo quinquennio. Si è passati dalle 30mila tonnellate del 2019, alle 46mila del 2022 a circa 1 milione nel 2023 a conferma di una politica espansionistica in atto in questo settore da parte di Ankara.

“La mancanza di trasparenza su queste operazioni – precisa Valerio Filetti, presidente dell’associazione granaria di Bologna – richiederebbe analisi approfondite tanto più che stiamo parlando di un boom di export da un Paese che è da sempre stato importatore netto di grano duro per via di una produzione gravemente deficitaria rispetto al fabbisogno nazionale. Le dinamiche della guerra in Ucraina hanno variato canali di sbocco naturali e non essendoci più la disponibilità di alcuni porti nel flusso regolare delle merci da questi paesi, il trasporto si è spostato su altri mezzi come quelli su strada e su ferrovia”.
Il mercato italiano della pasta – L’Italia esporta ogni anno 3,6 milioni di tonnellate di pasta che generano un giro d’affari di 7 miliardi di euro. Una cifra che è in ascesa anche a causa della spinta inflattiva generalizzata.

“Non esistono ancora dati definitivi relativamente alle importazioni di grano duro turco in Italia nel primo semestre (luglio-dicembre 2023) dell’attuale campagna di commercializzazione – afferma Piero Luigi Piano, direttore di Italmopa, l’associazione dell’industria molitoria italiana -, ma stimiamo che il volume totale possa risultare di 450mila tonnellate circa, su un totale di circa 1,1 milioni tonnellate di frumento duro importate da paesi terzi. L’Italia è strutturalmente deficitaria in frumento duro e le importazioni coprono mediamente il 35 percento del fabbisogno dell’Industria della trasformazione. E’ importante precisare che tali importazioni sono complementari e non alternative alla produzione nazionale e pertanto il loro volume fluttua annualmente in funzione dell’esito quantitativo e qualitativo del nostro raccolto. Certamente i risultati non sempre soddisfacenti registrati negli ultimi anni, soprattutto per via di condizioni climatiche sfavorevoli, hanno necessitato un maggior ricorso alle importazioni che quest’anno potrebbero globalmente raggiungere o anche superare 2 milioni di tonnellate. Il volume di frumento duro trasformato in semola si attesta mediamente, e annualmente, intorno a 6 milioni di tonnellate. Si tratta di un quantitativo che fa registrare dei piccoli incrementi riconducibili in primis all’andamento positivo delle nostre esportazioni di pasta che rappresentano ormai il 60 percento della produzione nazionale”.

Il mercato canadese – Dal rapporto del 16 ottobre 2023 della Commissione per lo Sviluppo del Grano in Saskatchewan si apprende che, guardando al perimetro delle esportazioni di Ankara: “La Tunisia, in una sola asta, ha acquistato 100mila tonnellate di grano duro a 415-419 dollari Usa alla tonnellata, prezzo Cif (costo di assicurazione e nolo) di origine turca. L’ingresso della Turchia sul mercato mondiale del grano duro – si afferma nel rapporto – è forte di una produzione 2023/2024 stimata in 4 milioni di tonnellate di cui una buona parte già spedita principalmente in Italia e Canada”.

Un passaggio non da poco che riduce anche la forbice della bilancia commerciale non solo tra Turchia e Italia ma anche tra Turchia e il colosso cerealicolo Canada che, da sempre, è nel ranking dei principali esportatori verso Ankara e che quest’anno ha visto erodersi la quota di mercato in Europa, del 72%.
Da Saskatchewan fanno sapere che: “I valori del grano duro canadese continueranno a soffrire fino al ritorno della domanda in Canada nella seconda metà dell’anno di commercializzazione”, ossia non prima di gennaio-febbraio 2024”.
L’export di Ankara Oltreoceano, è considerato una vera e propria offensiva commerciale anche perché comporta che i prezzi Fob (Franco a Bordo) e all’ingrosso per l’esportazione in progressiva riduzione, accompagnati dalla riduzione dei prezzi delle offerte degli agricoltori canadesi sia spot che a consegna differita.Un effetto che si ripercuote su scala globale.

Per controllare la volatilità dei prezzi di mercato e l’andamento delle rese legate all’incertezza dell’andamento climatico, il governo di Ottawa ha realizzato nell’ultimo biennio due grandi accorpamenti tra big player del mercato. Da un lato, la fusione della della Saskatchewan Wheat Development Commission con la Saskatchewan Winter Cereals Development Commission, entrata in vigore dallo scorso primo agosto scorso.
D’altro canto la fusione tra la Bunge Ltd, colosso statunitense dell’agroalimentare, e Viterra, principale trader di grano canadese controllato dal gruppo svizzero Glencore che a sua volta vede tra i principali azionisti, due grandi fondi pensionistici nordamericani: il Canada Pension Plan Investment Board e British Columbia Investment Management Corporation- Quest’ultima operazione si concluderà a metà del 2024.

Secondo i termini dell’accordo, Glencore riceverà circa 3,1 miliardi di dollari in azioni Bunge e 1 miliardo di dollari in contanti, oltre alla partecipazione del 50% in Viterra, con il risultato che Glencore deterrà quindi circa il 15% delle partecipazioni nel gruppo aggregato. Glencore ha accettato di non vendere alcuna azione di Bunge per un periodo di 12 mesi dopo il completamento della fusione e, successivamente, di vendere solo azioni di Bunge nell’ambito di vendite ordinate. Glencore rivedrà periodicamente la propria strategia rispetto alla partecipazione e l’operazione di fusione.
Il blocco commerciale che si viene così a creare anche in risposta alla gestione degli stock di grano, strumento principale per l’andamento dei prezzi di mercato, per la maggior parte in mano all’asse asiatico (Cina e Russia) e che riguarda ben più della metà delle scorte globali, preoccupa non poco gli agricoltori perché l’obiettivo (per il momento) comune a tutte le potenze coinvolte, è quello di tenere il prezzo del grano basso. Certamente per contrastare la spinta inflattiva. Ma l’effetto secondario di queste tattiche è l’innegabile che porti ad un indebolimento del tessuto produttivo e della sovranità alimentare.

Una preoccupazione che ha portato i gruppi agricoli canadesi a chiedere sin da subito un maggiore controllo dell’operazione di accorpamento che determina un maggiore controllo del mercato.
La logistica – Uno dei fattori che incide sulla competitività dei player mondiali del grano duro è dato dal costo dei noli che sono impennati a seguito della guerra tra Israele e Gaza e il blocco del canale di Suez, o meglio del Corno d’Africa controllato dagli Huthi yemeniti filo-Hamas che lavorano per bloccare il passaggio delle navi destinate a transitare da Suez.
In questo modo, il grano in partenza dai porti nordamericani e in arrivo in Nord Africa ed Europa, dovrà viaggiare più del previsto per arrivare a destinazione, vuoi per la siccità in centro America che ha ridotto in maniera sensibile la portata del canale di Panama, e vuoi per il perdurare e l’ampliarsi del conflitto in Medio Oriente.

I riflessi sui prezzi di questo fenomeno sono ancora poco avvertiti, anche se in Italia i recenti rincari di Foggia e Napoli hanno già fatto segnare un primo punto a favore dei grani duri nazionali. Tuttavia i prezzi Fob per il Canadian Wheat Amber Durum saranno determinati presto, secondo gli esperti, solo dalle quotazioni di Vancouver, porto principale di partenza del grano duro canadese.
L’ostruzione dei porti canadesi della regione dei grandi laghi a causa del ghiaccio – attiva già dai primi mesi dell’anno – è stata seguita il 5 gennaio scorso dalla chiusura programmata della St. Lawrence Seaway, che ha isolato definitivamente fino a primavera tutti i porti cerealicoli nordamericani della regione dei grandi laghi della costa dell’Atlantico.
Si registrano, inoltre, importanti difficoltà a far viaggiare le navi attraverso il Canale di Panama, afflitto da una perdurante siccità che ne limita la capacità, riducendo il tonnellaggio delle navi in grado di attraversarlo e rallentando il traffico.
Questo significa che le navi in partenza dal porto di Vancouver in Canada, sulla costa del Pacifico, hanno solo tre strade per raggiungere l’Europa: percorrere l’Oceano Pacifico fino a guadagnare il Mar Rosso e da lì il Canale di Suez, oppure sulla stessa strada doppiare il burrascoso Capo di Buona Speranza davanti alle coste del Sud Africa, o ancora, terza ipotesi, guadagnare l’Atlantico dallo Stretto di Magellano in Cile.

Ma i recenti atti di guerra e pirateria contro i cargo mercantili, verificatisi nel Mar Rosso, stanno di fatto riducendo a sole due le vie del mare percorribili, che sono le più lunghe ed onerose: il Capo di Buona Speranza e lo Stretto di Magellano. A questi, ovviamente, si aggiunge quella, oggi più strategica che mani, del cosiddetto Corridoio di Mezzo, la via Transcaspica che, ridicendo le distanze di 2mila chilometri, privilegia le spedizioni tra Oriente e Occidente.

Mariangela Latella

 

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Confagricoltura: ottima notizia ipotesi della Commissione Ue di introdurre restrizioni a import prodotti agricoli dalla Russia

La Commissione europea sta valutando la possibilità di introdurre restrizioni alle importazioni di prodotti agricoli dalla Federazione Russa, a partire dai cereali. A breve, sarà presentata una specifica proposta.

 

“E’ un’ottima notizia – ha commentato il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti – Auspichiamo che il via libera venga dato al massimo livello politico, già in occasione del Consiglio europeo che si terrà il 21 e 22 marzo, a Bruxelles”.

 

Le sanzioni nei confronti della Federazione Russa – ricorda Confagricoltura – non si applicano ai prodotti destinati all’alimentazione.

 

“Di fronte alla profonda crisi dei mercati in Italia e nella Ue – prosegue Giansanti – abbiamo sollecitato un cambio di rotta e siamo lieti di apprendere che la Commissione abbia deciso di procedere verso la messa in opera di restrizioni in grado di ridare stabilità ai mercati e fermare il crollo dei prezzi agricoli all’origine”.

 

Confagricoltura evidenzia che, in base ai dati Istat, nel periodo gennaio-novembre 2023 le importazioni di grano duro dalla Federazione Russa sono ammontate a 400 mila tonnellate. Nello stesso periodo del 2022 si attestavano a 32 mila tonnellate. L’aumento è del 1.100%.

 




Prezzi: Coldiretti, speculazioni su grano turco e russo affondano 200mila agricoltori

Le speculazioni in corso sul prezzo del grano mettono a rischio la sopravvivenza di duecentomila aziende agricole e, con esse, la sovranità alimentare del Paese, aggravando la dipendenza dall’estero. A lanciare l’allarme è la Coldiretti con le importazioni di prodotto dalla Turchia e dalla Russia che stanno mettendo in ginocchio i produttori dello Stivale, dove le quotazioni sono scese ampiamente al di sotto dei costi di produzione.

“Occorre un impegno immediato per sostenere le aziende agricole italiane, portando a 30 milioni di euro la dotazione del Fondo nazionale per i contratti di filiera del grano – ha dichiarato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini – lavorando per prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione, come prevede la legge di contrasto alle pratiche sleali”.

Dopo che nel 2023 sono arrivati quasi 900 milioni di chili di grano russo e turco, un’invasione mai registrata nella storia del nostro Paese, secondo l’analisi del Centro Studi Divulga, il Tmo, l’ente statale turco per i cereali, avrebbe bandito – sottolinea Coldiretti – una nuova gara internazionale per la vendita e l’esportazione di ulteriori 150 milioni di chili di prodotto, con il termine fissato all’11 marzo per la presentazione delle offerte.

Prezzi del grano nazionale in caduta libera. Un vero e proprio fiume di prodotto che, aggiunto a quello di grano canadese arrivato a superare il miliardo di chili, ha impattato sui prezzi del grano nazionale, praticamente in caduta libera.

“Le aste turche del frumento affossano ancora i prezzi del grano pugliese, con il crollo delle quotazioni che perdono altri 25 euro a tonnellata in 10 giorni ed il prezzo del grano fino che scende ancora a 335euro a tonnellata a Bari, mentre nei porti pugliesi continua il via vai di navi mercantili provenienti dalla Turchia. Le navi raggiungono i porti pugliesi anche con triangolazioni attraverso altri porti intermedi, cariche di grano estero che sta facendo crollare i compensi riconosciuti agli agricoltori, scesi rispetto allo scorso anno di oltre il 60%, in netta controtendenza rispetto all’aumento dei prezzi di vendita della pasta in crescita al dettaglio”, denunciano il presidente ed il direttore di Coldiretti Puglia, Alfonso Cavallo e Pietro Piccioni.

Si tratta di valori che – rileva la Coldiretti – portano la coltivazione sotto i costi di produzione, rendendola di fatto antieconomica ed esponendo le aziende agricole al rischio crack, soprattutto nelle aree interne senza alternative produttive. Un abbandono dei terreni che pesa anche sull’assetto idrogeologico del Paese – conclude Coldiretti – aprendo al rischio di desertificazione.




Cereali, De Castro: stop immediato a importazioni russe

Serve uno scatto di coraggio, con il blocco delle importazioni di cereali russi. I nostri agricoltori e produttori sono pronti a raccogliere questa sfida, rafforzando la produzione europea anche grazie alle necessarie misure di semplificazione della PAC, e diversificando le catene di approvvigionamento, a partire da quella con l’Ucraina.” Così Paolo De Castro, membro del Parlamento europeo, intervenendo nel dibattito con la Commissaria agli affari interni Ylva Johansson sulla necessità di imporre sanzioni sulle importazioni di prodotti agricoli russi e bielorussi nell’UE e di garantire la stabilità della produzione agricola dell’UE.

“Le strategie geopolitiche russe approfittano della forza del proprio settore agricolo – prosegue l’eurodeputato PD – con esportazioni cerealicole che si sono espanse a macchia d’olio non solo in Africa, ma anche nell’Unione, mettendo sotto ulteriore pressione la redditività delle nostre aziende agricole. Importazioni a basso costo che – secondo l’ex presidente della Commissione Agricoltura – hanno portato ad un crollo dei prezzi e delle semine europee, con effetti opposti all’obiettivo di una maggiore sicurezza alimentare che ci eravamo dati con l’esclusione dell’agroalimentare dai dodici pacchetti di sanzioni fin qui imposti a Mosca.”

“Il caso del gas – conclude De Castro – ce lo dimostra: seppur sembrasse impossibile, l’Europa ha dimostrato di avere la forza di sganciarsi da qualsiasi dipendenza, che sia di tipo energetico o di altre materie prime.”




Agricoltura, Prandini: Russia e Cina stanno inondando il mercato mondiale di cereali. Urge veloce risposta UE. VIDEOINTERVISTA

“Quella di oggi è stata una giornata importante in termini di confronto per quanto riguarda le sfide che riguarderanno la filiera agricola agroalimentare a livello globale. L’importanza del gioco che l’Italia dovrà mettere in campo da un lato è legato all’innovazione, ma anche la difesa della distintività dell’agroalimentare italiano sarà di straordinaria importanza, giocato a livello europeo, nella difesa di quello che è le nostre produzioni le nostre eccellenze, ma partendo da un giusto valore economico che deve essere riconosciuto ai nostri imprenditori”.

Così ad AGRICOLAE Ettore Prandini, presidente Coldiretti, a margine dell’incontro “Cibo italiano. Tra primati e nuove sfide”, organizzato presso il Centro studi americani con Coldiretti e Aletheia.

“Diversamente rischiamo di perdere ciò che oggi il mondo ci invidia. Sotto questo punto di vista sarà altrettanto importante avere una visione rispetto a quello che sta avvenendo oggi nel mondo, dove la Russia, in modo particolare, insieme alla Cina, stanno immettendo sul mercato una quantità di cereali che non si era mai vista nei decenni passati. Questo crea una condizione voluta di fragilità e soprattutto di criticità all’interno del sistema produttivo, mettendo in sofferenza i produttori, soprattutto nel contesto europeo, perché i prezzi attuali non coprono, come dicevamo, i costi di produzione e quindi serve una velocità in termini di attuazione, di risposta da parte dell’Europa rispetto a un meccanismo che diversamente rischia di avere delle forti criticità.

Noi stiamo lavorando in modo significativo a livello europeo anche con altri Stati membri anche con altre rappresentanze di altri Paesi proprio per ottenere nei prossimi giorni risposte concrete ai bisogni dei nostri agricoltori”.

Agricoltura. Ue impedisce di coltivare mentre Cina, Russia, India e Arabia puntano ad autosufficienza e stoccaggio. Niente guerre senza cibo

 




Ucraina: Divulga, aumenta import prodotti agricoli Italia da Russia (+9%) e Ucraina (+150%)

L’Italia ha aumentato in maniera importante le importazioni di prodotti agricoli da Ucraina (+150%) e Russia (+9%) nei due anni del conflitto.

È quanto emerge da un’analisi pubblicata dal Centro Studi Divulga all’interno del paper “Mari in tempesta”, approfondimento sull’impatto delle guerre in corso sul sistema agroalimentare.

Crescite sostenute si rilevano per i cereali dall’Ucraina, in particolare grano tenero (+260%), mais (+230%) e orzo (+128%), ma a crescere sono anche gli arrivi di carni avicole (oltre 700 tonnellate complessive), semi di girasole (+368%) e soia (+108%).

Dati rilevanti per l’import di grano duro dalla Russia, che con più di 400mila tonnellate (+1164% rispetto a prima della guerra) è diventato nel 2023 il terzo fornitore del nostro Paese dopo Canada e Turchia.
In crescita anche le importazioni dalla Russia di olio di girasole (+298%) e barbabietola da zucchero (+33,9%).




Pasta: Divulga, invasione di grano duro russo (+1164%) e turco (+798%)

L’Italia è stata invasa nel 2023 da un’ondata di grano duro russo (+1164%) e turco (+798%), mai registrata nella storia del nostro Paese, che ha fatto calare in maniera significativa le quotazioni del grano italiano.

È quanto emerge da un’analisi pubblicata dal Centro Studi Divulga all’interno del paper “Mari in tempesta”, approfondimento sull’impatto delle guerre in corso sul sistema agroalimentare.

Nel nostro Paese lo scorso anno si è registrato un considerevole aumento (+130% su base tendenziale) delle importazioni di grano duro proveniente da Paesi Extra-Ue.

A trainare questa crescita l’import di frumento duro proveniente appunto da Turchia e Russia, divenute rispettivamente secondo e terzo fornitore italiano, seguite da Canada +83% (che resta primo fornitore) e Kazakhstan +164%.

La situazione, in base all’analisi del Centro Studi Divulga su dati Ismea ed Eurostat, è cambiata radicalmente a partire dal mese di luglio.

Da quel momento, infatti, su un totale complessivo di 1,1 milioni di tonnellate di grano duro importate in Italia da Paesi Extra Ue (81% delle importazioni complessive europee), il grano duro turco rappresenta il 37% mentre quello russo il 31,4%.

La forte crescita delle importazioni da questi Paesi ha determinato evidenti riflessi sulle quotazioni interne: a partire da luglio, infatti, i prezzi del raccolto italiano 2023 sono calate in maniera significativa.

A gennaio 2024 le quotazioni registrano un calo di oltre 70 euro a tonnellata rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

Se consideriamo invece le quotazioni registrate nel mese di giugno 2022 e pari a 577 euro/tonnellata i prezzi del frumento duro nazionale hanno subito un calo di circa 190 euro a tonnellata, pari a oltre il 33%.

Gli arrivi dai Paesi Extra-Ue si sono moltiplicati proprio in concomitanza della fase di raccolta del grano italiano e dell’avvio della nuova campagna di commercializzazione.

 




Agricoltura. Ue impedisce di coltivare mentre Cina, Russia, India e Arabia puntano ad autosufficienza e stoccaggio. Niente guerre senza cibo

In una fase storica di forte incertezza sociale e geopolitica, dovuta prima al Covid e poi alla guerra russo-ucraina, l’approvvigionamento di cibo è divenuta questione centrale nelle agende politiche di tutti i governi. Il settore agricolo si è riscoperto comparto strategico per la sua capacità di sfamare le popolazioni e, in un mondo sempre più interconnesso, per la possibilità di affamarne altri. Dunque il cibo come risorsa e come arma, le cui dimostrazioni si sono avute nel corso degli ultimi anni con l’epidemia covid e con la strategia russa sul grano in grado di destabilizzare il commercio mondiale.

A dispetto dell’Europa e della strategia green della Pac verso una progressiva riduzione delle produzioni che – stando ai report della Wageningen University e del Dipartimento USA dell’Agricoltura avrebbe portato a un’inevitabile crescita della povertà e dell’insicurezza alimentare in tutto l’Occidente – alcuni Paesi sono andati esattamente nella direzione opposta con misure atte a garantire l’autosufficienza dei beni Primari. Russia, Cina e Arabia – che giocano un ruolo chiave nella geopolitica delle guerre in corso – hanno saputo maggiormente approfittare delle occasioni nate. 

Proteste agricoltori, Wageningen e USA avevano predetto: con Green Deal calo reddito e tensioni sociali in Ue con ‘effetto domino’ in tutto il mondo. I DOCUMENTI

La Cina rappresenta il più grande produttore al mondo di grano e nella recente Conferenza Centrale sul lavoro rurale svoltasi a Beijing è stato dichiarato come il paese del Dragone abbia raggiunto un nuovo record storico, con una produzione totale di 1390 miliardi di chilogrammi. Questo rappresenta un aumento di 17,76 miliardi di chilogrammi, pari all’1,3% rispetto all’anno precedente, con un andamento stabile a oltre 1.300 miliardi di chilogrammi per nove anni consecutivi.

A ciò si aggiungono le enormi capacità di stoccaggio del Dragone, in grado di modificare gli scenari del commercio globale, basti pensare che a gennaio 2022 (poco prima dello scoppio della guerra russo ucraina) la Cina possedeva il 69% delle riserve mondiali di mais, il 60% di quelle di riso e il 51% di grano. Scriveva il Corriere della Sera: “Entro il primo semestre 2022 il Paese del Dragone avrà comprato e stoccato il 60% del grano presente sui mercati mondiali. Il principale produttore al mondo, il caso vuole, è l’Ucraina che probabilmente ne è stato ignaro fornitore non immaginando quello che sarebbe accaduto solo pochi mesi dopo”.

Sull’altro fronte la Russia che detta le regole del commercio globale. Secondo i dati diffusi dal dipartimento Usa per l’agricoltura ha raggiunto un raccolto di grano record di oltre 92 milioni di tonnellate nel 2022-23, in aumento del 22%. In tal modo l’offerta totale di grano della Russia ha superato per la prima volta i 100,0 milioni di tonnellate. Si stima inoltre che la Russia esporterà 45,5 milioni di tonnellate nel 2022/23, riporta sempre lo Usda.

Qui il rapporto del Dipartimento USA dell’Agricoltura (Usda): 

Usda-Russia

Tra Cina e Russia si inserisce poi l’India che per il 2023/24 prevede nel grano la produzione record di 114 milioni di tonnellate, come ha fatto sapere il presidente della Food Corporation of India (FCI) Ashok K Meena, con il ministro dell’Unione Piyush Goyal che ha elogiato l’autosufficienza alimentare dell’India come un risultato straordinario. Una produzione in costante crescita, passata dai 107.7 milioni del 2021/22, ai 110.55 milioni di tonnellate del 2022/23 fino appunto agli attuali 114 milioni di tonnelate.

IL RUOLO DEI BRICS

Sarà importante ricordare che i tre maggiori produttori di grano (Cina, Russia, India), che puntano sulla sovranità e autosufficienza alimentare e che a dispetto delle criticità registrate negli ultimi anni hanno registrato numeri record nel settore agroalimentare, fanno parte dei BRICS, ossia del blocco delle economie mondiali “emergenti” (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) in ottica anti occidentale. Ed il ruolo dei BRICS rischia di divenire sempre più centrale in campo agroalimentare e geopolitico.

Se difatti mantenere il flusso di cereali ucraini rimane fondamentale per la sicurezza alimentare globale si capiscono le ragioni che hanno portato la Russia a ridurre drasticamente -con attacchi e strategie mirate- la produzione di grano ucraino ed a porre fine all’iniziativa sui cereali del Mar Nero. Dichiarava a luglio 2023 Josep Borrell, alto rappresentante per gli affari esteri: La Russia continua a utilizzare il cibo come arma. Ponendo fine agli accordi, la Russia è l’unica responsabile delle interruzioni delle forniture di cereali a livello mondiale e dell’inflazione dei prezzi alimentari a livello mondiale.”

Sullo sfondo l’allargamento a gennaio ad altri paesi: Egitto, Emirati Arabi, Etiopia e Iran. Con l’Arabia Saudita alle porte e in procinto di aderire, ma su cui pesano i rapporti con l’Iran (la TV di stato saudita aveva riferito all’inizio di gennaio -fa sapere Reuters- che il regno aveva aderito al blocco, per poi rimuovere le notizie dai suoi account sui social media in seguito). Ed è proprio in Arabia Saudita che continuano le politiche di approvvigionamento per fare “tesoro” dei beni Primari, in primis del grano (carboidrati) e di pollo (proteine) per garantire e aumentare l’autosufficienza e fornire i prodotti alimentari essenziali mirati.

Se la Pac 2023-2027 chiede agli agricoltori europei di ridurre le proprie produzioni, il New Dawn” 2023-2027  (nuova alba) del Regno Saudita è teso nella direzione di quella che viene chiamata in Arabia Saudita “Visione 2030” per garantire l’autosufficienza alimentare.

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Chiaro dunque che il blocco dei paesi Brics sia motivo di preoccupazione per le economie occidentali ed anche in questa ottica vanno interpretati gli sforzi italiani col piano Mattei e di un’Europa ancora troppo passiva in Africa, per non lasciare il continente africano in mano a russi, cinesi e sauditi. Ossia ai BRICS.

E la posta in palio è alta, non solo l’Africa rappresenta un enorme serbatoio di materie prime in grado di far fronte alle richieste green della sostenibilità ambientale, ma possiede anche il 60/65% delle terre arabili ancora non coltivate. Un potenziale enorme che garantirebbe maggiore sicurezza alimentare a livello globale. Ma oltre a materie prime, terre coltivabili e investimenti infrastrutturali l’Africa offre forza lavoro a basso costo.

L’Africa ha attualmente una popolazione di 1,3 miliardi di persone e per il 2100 dovrebbe crescere arrivando a 4,3 miliardi, oltre la metà dei 54 stati del continente vedrà la propria popolazione raddoppiata entro il 2050. Nello stesso anno si prevede che almeno il 25% della popolazione, cioè una persona su quattro, sarà africana. 

Altri dati fanno luce sul fenomeno.

Il 40% di tutti gli africani ad oggi sono bambini sotto i 14 anni. E se nel periodo 2020-2029 le madri africane metteranno al mondo 450 milioni di bambini, in quello 2040-2049 saranno addirittura 550 milioni. Quasi la metà di tutti i bambini nati nel mondo in quel decennio.

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Nel 2022 la Cina si è confermato il primo partner commerciale del continente con 282 miliardi di dollari di interscambio, in aumento dell’11% rispetto al 2021. Proseguono intanto gli investimenti, dalle infrastrutture all’energia all’estrazione di terre rare. 

Vi è poi il ruolo giocato dalla Russia, non solo in ambito commerciale con investimenti nel settore energetico ad esempio, ma specialmente a livello di influenza esercitata sul continente. Anche e soprattutto in campo militare.

Sullo scenario africano si sta poi affacciando prepotentemente l’Arabia Saudita. Il Fondo saudita per lo sviluppo firmerà accordi del valore di 2 miliardi di riyal (533 milioni di dollari) con i Paesi africani, ha fatto sapere il ministro delle Finanze saudita Mohammed Al Jadaan durante la conferenza economica arabo-saudita-africana a Riad lo scorso novembre.

LE PROTESTE AGRICOLE IN EUROPA

Per tutti questi motivi sembra apparire, a quanto emerge oggi con le proteste dei trattori in strada, contro intuitiva, oltre che controproducente, la scelta dell’Ue di ridurre le sue produzioni agricole in un momento di forti tensioni geopolitiche che negli ultimi anni stanno ridisegnando le sfere di influenza globale. Il che significa tra l’altro demandare l’approvvigionamento di cibo a paesi terzi, con tutti i rischi derivanti, dalla sicurezza alimentare fino al rischio approvvigionamento in caso di interruzione dei flussi.

Per tale ragioni le proteste attualmente in corso, (che si consumano – almeno per ora – solo ed esclusivamente sul territorio comunitario) così come quelle dei mesi passati, in tutta Europa rischiano di spaccare un settore strategico per la sicurezza alimentare, economica e sociale delle nazioni. Il tutto a vantaggio di alcuni paesi, come appunto i BRICS e specialmente Cina, Russia o Arabia Saudita pronte ad approffitare dei passi falsi europei -tra inflazione e costi di produzione in costante aumento- e con meno remore dal punto di vista della sostenibilità ambientale. Ad oggi, così strutturata, più un fardello che una vera opportunità per l’Europa.

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Crisi Ucraina, Cremlino: In aumento produzione agroalimentare e partnership coi paesi extra Ue. Le sanzioni non ci indeboliscono

Mentre la Fao e l’Europa denunciano quotidianamente la situazione drammatica legata agli approvvigionamenti di grano e beni primari per alcuni paesi dell’Africa e dell’area del mediterraneo, col rischio di una crisi globale, la Russia prosegue la sua cooperazione in campo agroalimentare. Nonostante la guerra e le sanzioni occidentali si rafforzano i rapporti coi paesi extra Ue, consolidando la posizione nei mercati, secondo quanto riportano le fonti governative del Cremlino.

Accordi e partnership sono stati rafforzati con Egitto, Arabia Saudita, Turkmenistan e con i paesi BRICS (Brasile, India, Cina e Sud Africa), mentre la produzione agroalimentare russa continua ad aumentare, con picchi significativi su grano saraceno (+36,1%), riso (+28,6%), pasta (+15,1%) e nel comparto zootecnico.

 

Dmitry Patrushev ha tenuto numerosi incontri con colleghi stranieri. L’obiettivo è rafforzare la cooperazione nel campo dell’agricoltura” riporta in un comunicato il ministero dell’agricoltura russo.

“In un incontro con il ministro dell’approvvigionamento e del commercio interno dell’Egitto, Ali Al-Saeed El-Moselhi, si è discusso dell’espansione del commercio alimentare e del superamento delle barriere esistenti.

Il capo del ministero dell’Agricoltura ha confermato la disponibilità della Russia a continuare le consegne di prodotti agricoli all’Egitto, compreso il grano.

Si è tenuto anche un incontro con il vicepresidente del Gabinetto dei ministri del Turkmenistan Annageldi Yazmyradov. I paesi continuano ad aumentare gli scambi di prodotti agricoli; nei primi cinque mesi, gli scambi sono aumentati del 70%. La Russia è interessata ad espandere le consegne, compreso l’aumento delle esportazioni di cereali, petrolio e prodotti grassi e zucchero.”

 

La Russia è pronta ad aumentare l’offerta di prodotti agricoli all’India

“Le principali direzioni per lo sviluppo del commercio sono state discusse nella 2a riunione del gruppo di lavoro congiunto sulla cooperazione nel campo dell’agricoltura.

Le relazioni tra i due paesi del complesso agroindustriale si sviluppano sistematicamente. I produttori russi sono pronti ad ampliare la gamma di forniture, inclusa l’esportazione di carne di maiale e pollame. Ci sono prospettive anche per i legumi: piselli, fagioli, ceci e lenticchie. Inoltre, c’è interesse allo scambio di esperienze scientifiche, in particolare, attraverso le università agrarie e gli enti di ricerca.

 

Questioni di sicurezza alimentare nell’area di attenzione dei paesi BRICS

Questo argomento è stato al centro del 12° Incontro dei Ministri dell’Agricoltura di Russia, Brasile, India, Cina e Sud Africa. Questi paesi rappresentano circa un terzo della produzione agroindustriale mondiale.”

“La Russia provvede al proprio fabbisogno interno per quasi tutti i tipi di cibo e mantiene un forte potenziale di esportazione, con rifornimenti a 160 paesi del mondo. Il nostro Paese è pienamente aperto allo sviluppo delle relazioni commerciali” ha dichiarato Dmitry Patrushev.

Il fatturato commerciale con i paesi BRICS per 4 mesi di quest’anno è aumentato di quasi il 15% a oltre 3 miliardi di dollari.

Lo sviluppo del commercio fornisce alla popolazione dei BRICS un’alimentazione varia, di alta qualità e sana. Allo stesso tempo, è importante mantenere la stabilità delle catene finanziarie e logistiche.

 

Russia e Arabia Saudita rafforzano la cooperazione nella sfera agraria

“Le prospettive per lo sviluppo delle relazioni bilaterali sono state discusse oggi da Dmitry Patrushev e dal ministro dell’Ambiente, delle risorse idriche e dell’agricoltura del Regno Abdurrahman Al-Fadli.

Grazie al lavoro congiunto dei dipartimenti agricoli l’interazione tra i due paesi si è notevolmente rafforzata negli ultimi anni e, nonostante la pandemia, lo scorso anno il fatturato dei prodotti agricoli e alimentari è rimasto allo stesso livello.

Le aziende russe sono interessate ad espandere la loro presenza nel mercato saudita. Tra le posizioni di esportazione promettenti ci sono carne, latticini, dolciumi e prodotti halal.

Ad oggi sono state concordate le certificazioni per le principali tipologie di prodotti zootecnici e ciò ha permesso di attivare le forniture dal nostro Paese. In autunno, la Russia ha in programma di partecipare alla 39a mostra agricola a Riyadh. Ciò contribuirà allo sviluppo del partenariato tra le imprese dei due paesi.”

 

Cresce la produzione alimentare in Russia

Nei primi quattro mesi dell’anno è aumentata dell’1,9%. Tra i fattori vi sono un aumento della domanda nei mercati nazionali ed esteri, l’attuazione di nuovi progetti di investimento e una serie di misure per stimolare lo sviluppo della lavorazione.

La produzione è inoltre aumentata:

grano saraceno: +36,1%
riso: +28,6%
pasta: +15,1%

Inoltre è aumentata la produzione di burro, formaggio, latte e panna acida, oltre a carne e prodotti ittici.

Pertanto, l’industria alimentare russa ha mostrato un’elevata adattabilità alle condizioni attuali, la capacità di svilupparsi in modo sostenibile e di provvedere al mercato interno, nonostante fattori esterni avversi.

Dall’inizio dell’anno la produzione di bestiame e pollame in Russia è aumentata e nei primi quattro mesi, complessivamente, è aumentata del 6,7%. Compreso:

allevamento di suini: +6,2%,
produzione di bovini: +1,2%,
allevamento di pollame: +8,1%,
allevamento di ovini: +17,4%.

Quest’anno, per sostenere gli allevatori di bestiame, sono state introdotte restrizioni all’esportazione di cereali ed è stata estesa l’importazione della principale componente dei mangimi -soia e farina di semi di soia- e allo stesso tempo è stata limitata la loro esportazione all’estero. Attualmente, le imprese del settore operano come al solito e sono dotate di tutto il necessario, inclusi mangimi, farmaci veterinari, uova da cova e attrezzature.

 

Scrive inoltre il Ministero dell’agricoltura russo: 

“I prodotti importati che non produciamo continuano a arrivarci normalmente, ad esempio, i frutti tropicali provengono da paesi amici e non ci sono rischi. Inoltre, il problema della disponibilità di cibo si sta esacerbando nel mondo. L’ONU parla sempre più della minaccia della carestia in molti paesi, ma la sicurezza alimentare della Russia è protetta in modo affidabile e supportiamo attivamente i nostri partner esteri con la produzione in eccesso.

Inoltre le capacità delle nostre imprese consentono di aumentare la produzione, come dimostrano i risultati dei primi quattro mesi di quest’anno: la produzione è aumentata in tutte le aree (sia nella zootecnia, sia nell’industria alimentare, e nelle serre). Ai russi viene fornita una vasta gamma di prodotti alimentari e tutto ciò di cui i consumatori hanno bisogno rimarrà sugli scaffali .

È anche importante capire che lo stato sta ora assegnando un sostegno senza precedenti al complesso agroindustriale perché vede le prospettive del settore e ne comprende il significato sociale. Questo aiuta a mantenere bassi i prezzi. In Russia, il cibo rimane molto più conveniente che in Europa, negli Stati Uniti e in molti paesi del mondo. Oggi vediamo che nel mondo si sta sviluppando una situazione alimentare molto problematica. Tuttavia, la Russia è attualmente in grado di rifornirsi di cibo e inviare le eccedenze ai partner.”

 

Per migliorare la sicurezza alimentare mondiale, la Russia è pronta a fornire ai partner esteri prodotti di qualità. Secondo Dmitry Patrushev, la stabilità del mercato russo è stata e rimane una priorità assoluta, ed entro la fine della stagione agricola le esportazioni di grano supereranno i 37 milioni di tonnellate e nella prossima stagione il potenziale di commercio estero è stimato a 50 milioni di tonnellate.

“Vorrei sottolineare che per aumentare la sicurezza alimentare globale, la Russia è pronta a fornire ai suoi partner stranieri prodotti di alta qualità. Ma, ovviamente, nella situazione attuale, questo dipende in gran parte dalle capacità della logistica ”, ha affermato il ministro, osservando che, insieme a partner esteri e colleghi di altri dipartimenti, è possibile trovare le soluzioni necessarie.

Il governo stanzierà oltre 153 miliardi di rubli per sostenere l’agricoltura

“Queste misure aiuteranno le aziende agricole a continuare a svilupparsi con successo, oltre a risolvere i problemi di sicurezza alimentare, fornendo alle persone prodotti di qualità “, ha affermato Mikhail Mishustin.

La decisione è stata presa dal Presidente a seguito di un incontro svoltosi ad aprile sullo sviluppo dei complessi agroindustriali e ittici.

“Il sostegno aggiuntivo per il complesso agroindustriale russo nel 2022 ha superato i 220 miliardi di rubli. Di fronte alle nuove sfide, la questione di fornire agli agricoltori le risorse necessarie, in particolare il credito, sta assumendo la massima importanza” scrive il ministero.

Era stato scritto: 

Sicurezza alimentare: Rischio crisi globale. Produrre di più e aprire i mercati, puntando su ricerca e sviluppo. INTERVENTI DI: Qu Dongyu (Fao) e Di Maio

 

 




Il governo russo stanzia più di 900 milioni di rubli per tecnologie informatiche nel settore agricolo

Il governo russo stanzierà più di 900 milioni di rubli per l’introduzione delle più recenti tecnologie informatiche nel settore agricolo.

“Su istruzioni del presidente, il governo continua a sostenere lo sviluppo del settore agroalimentare tenendo conto dell’uso di tecnologie informatiche che soddisfano le esigenze odierne. Stiamo stanziando più di 900 milioni di rubli per l’applicazione delle tecnologie digitali in agricoltura”, ha dichiarato il primo ministro Mikhail Mishustin durante un incontro con i vice primi ministri lunedì scorso, riporta l’agenzia Interfax.

Questo è necessario per rendere i dati del Ministero dell’Agricoltura disponibili in tempo reale a tutte le parti interessate, compresi i privati, le imprese e le agenzie governative, ha detto.

“Per aumentare l’accuratezza delle stime del raccolto, quest’anno è prevista l’introduzione della tecnologia di intelligenza artificiale già in otto regioni pilota. Si tratta delle regioni di Voronezh, Kursk, Bryansk, Tula, Nizhny Novgorod e Mosca, del Territorio di Perm e del Tatarstan”, ha dichiarato Mishustin, aggiungendo che inizialmente l’esperimento sarà condotto su sette colture chiave: grano primaverile e invernale, semi di girasole, mais, barbabietola da zucchero, grano saraceno e patate.

Inoltre, entrerà in funzione il registro delle proprietà federali nel settore agroalimentare. Il registro aiuterà a raccogliere informazioni frammentate, ad analizzarle e a utilizzarle per prendere decisioni ponderate. Inoltre, i registri delle famiglie rurali, molti dei quali risalgono agli anni ’30 e spesso esistono solo in forma cartacea, saranno digitalizzati.

“Di conseguenza, il sistema governativo di monitoraggio e previsione della sicurezza alimentare diventerà più preciso”, ha dichiarato Mishustin.

 




Grano, ministro Difesa russo: porto Mariupol completamente sminato, funziona e pronto a far partire i carichi. Ucraina: russi vogliono prendersi mercato mondiale

Sarebbero tra i 15 e i 20 milioni le tonnellate di grano che rischiano di marcire nei campi ucraini a causa del pericolo mine. Potrebbero sbloccarsi invece i 25 milioni di tonnellate di grano stipate nei silos che – come aveva specificato il vicesindaco di Odessa, Oleg Brindak – possono resistere “un mese e mezzo al massimo. Non ci sono silos attrezzati, abbiamo sempre prodotto ed esportato. Non immaginavamo una guerra. I cereali sono stipati in normali magazzini e adesso è arrivato il caldo. Con 32 gradi il tempo di conservazione può arrivare a 45 giorni”.

Sarebbero invece 68 i cargo mercantili bloccati nei porti ucraini controllati dai russi.
“Otto a Kherson, sei a Mariupol, altri in Crimea” aveva detto Brindak a La Repubblica nel precisare come “il primo problema, da risolvere subito, è che i russi stanno vendendo il grano che ci hanno rubato. Vogliono sostituirsi a noi sul mercato mondiale, hanno già preso accordi con l’Arabia Saudita”.

Un’agenzia Interfax di oggi riporta le dichiarazioni del ministro della Difesa russo Sergei Shoigu:

“I porti marittimi di Mariupol e Berdyansk stanno funzionando come previsto e sono pronti per la spedizione di grano” ha dichiarato Shoigu durante una teleconferenza nel ribadire – riporta Interfax – che “anche il porto di Berdyansk ha iniziato a funzionare. Come da istruzioni del comandante in capo, siamo pronti a caricare grano in questi porti [Berdyansk e Mariupol]”.

Shoigu ha precisato che “il porto marittimo di Mariupol è stato completamente ripulito dalle mine” e “funziona normalmente e ha ricevuto le prime navi da carico”.

Secondo sempre quanto riporta Interfax, “nel mese di maggio 2022, l’Ucraina ha esportato 1,74 milioni di tonnellate di cereali e semi oleosi e altri prodotti agricoli con tutti i tipi di trasporto, con un aumento di 1,8 volte rispetto al mese di aprile, ha dichiarato il Ministero della Politica Agraria e dell’Alimentazione in un comunicato pubblicato martedì sul suo sito web.

“I canali di esportazione sono stati modificati da aprile a maggio 2022: il trasporto via acqua (porti fluviali e traghetti) ha trasportato rispettivamente 798.800 tonnellate e 22.100 tonnellate di prodotti esportati, il che ha reso i porti fluviali ucraini la principale via di esportazione”, hanno riferito i media ucraini.

A maggio, l’Ucraina ha esportato 959.350 tonnellate di mais (+60% rispetto ad aprile), 43.500 tonnellate di grano (+4,7 volte), 11.600 tonnellate di orzo (-2%), 341.800 tonnellate di semi di girasole (+3,3 volte), 66.620 tonnellate di soia (+17%) e 101.000 tonnellate di farina di estrazione di soia (+2,6 volte), hanno dichiarato dal ministero.

Gli acquirenti stranieri hanno ricevuto anche 202.650 tonnellate di olio vegetale (+56% rispetto ad aprile 2022) e 16.080 tonnellate di olio di soia, pari a circa 16.380 tonnellate esportate ad aprile.

Le esportazioni agroindustriali ucraine sono state inferiori rispetto allo scorso anno a causa della situazione in Ucraina. A titolo di confronto, nel maggio 2021 l’Ucraina ha esportato 2,24 milioni di tonnellate di mais, 857.800 tonnellate di grano, 22.000 tonnellate di orzo, 189.600 tonnellate di semi di girasole, 501.800 tonnellate di olio vegetale, 36.180 tonnellate di soia, 20.600 tonnellate di olio di soia e 440.000 tonnellate di farina di estrazione di soia.

Secondo il Ministero, a maggio 709.600 tonnellate di esportazioni agroindustriali, pari al 40% dell’intero ammontare, sono state trasportate su rotaia. I treni hanno trasportato il 56% di tutte le esportazioni di olio di soia, il 53% del mais esportato, il 48% della farina di estrazione di soia esportata, il 39% dell’orzo esportato, il 33% della soia esportata e il 28% dell’olio vegetale esportato.

Nel frattempo, i porti fluviali del Danubio hanno movimentato il 75% del grano esportato, il 59% dei semi di girasole esportati, il 57% dell’orzo esportato, il 50% della soia esportata e il 43% della farina di estrazione di soia esportata.

A maggio, i camion hanno trasportato il 40% dell’olio di soia esportato, il 32% dell’olio di girasole esportato e il 23% dei semi di girasole esportati.

“Il porto di Reni ha spedito 398.000 tonnellate di prodotti per l’esportazione, contro le 327.900 tonnellate esportate attraverso il porto di Izmail, 206.200 tonnellate di cereali, colture di semi oleosi e prodotti trasformati esportati attraverso Volodymyr Volynskyi – Hrubieszow, e altre 118.050 tonnellate esportate attraverso Chop-Zakhon – Cierna nad Tisou”, ha dichiarato il ministero.

Il ministro ucraino della Politica agraria e dell’alimentazione Mykola Solsky ha dichiarato all’inizio di maggio che l’Ucraina ha esportato 1,09 milioni di tonnellate di cereali ad aprile, ovvero cinque volte di più rispetto agli 0,2 milioni di tonnellate esportati a marzo.

Prima del 24 febbraio, l’Ucraina esportava mensilmente fino a 5 milioni di tonnellate di prodotti agricoli attraverso i porti di Odessa e Mykolaiv. Ma ora le sue capacità di esportazione sono limitate a circa 1 milione di tonnellate di grano al mese.